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Offerta Anomala: discende dal giudizio complessivo e non da una singola voce

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offerta tecnica

Il Tar Lazio, con la sentenza n. 3133 dell’11 marzo 2016 ha ribadito che secondo giurisprudenza consolidata, nelle gare d’appalto l’anomalia di un’offerta è il risultato di un giudizio di carattere globale e sintetico sull’attendibilità dell’offerta nel suo complesso, in relazione all’incidenza di tutte le singole voci eventualmente giudicate inattendibili, al fine di valutare se la singola inesattezza di una voce del prezzo offerto incida in modo significativo sulla serietà ed attendibilità dell’offerta complessiva, tenuto anche conto dell’entità della voce stessa nell’economia dell’offerta, non essendo ipotizzabile che possa farsi discendere un giudizio di anomalia da una singola voce (cfr. CdS III 3492/2014).

Pertanto, ad avviso del Collegio, l’anomalia dell’offerta si ricava dall’offerta nel suo complesso e non da una singola voce.

Nel caso di specie, il Collegio ha osservato che dall’analitico scrutinio delle voci di costo indicate dalla ricorrente e delle relative giustificazioni non emerge in nessuna di tali voci una incongruenza tale da generare ragionevoli dubbi sulla serietà dell’offerta complessiva, tenuto anche conto del margine di utile nonché dei profitti generati dall’organizzazione del servizio per l’impresa aggiudicataria.

Né si ravvisa una carenza nell’attività istruttoria, tenuto conto dei profili dell’offerta illustrati nei giustificativi nei quali si è dato dettagliato conto del costo del lavoro, degli sgravi contributivi, del costo dei prodotti, dei criteri per il calcolo del loro consumo, dei costi per i macchinari, per la sicurezza, per le spese generali, delle condizioni di favore che hanno inciso su tutte le voci principali dei prezzi offerti.

Quanto all’obbligo motivazionale gravante sull’Amministrazione, il Collegio spiega che  venendo in rilievo un giudizio positivo di congruità (e, dunque, di non anomalia), non è richiesta una motivazione rigorosa ed analitica, essendo sufficiente una motivazione per relationem alle giustificazioni, in quanto adeguate, del concorrente, ed incombendo su chi contesta l’aggiudicazione l’onere di individuare una manifesta irragionevolezza o erroneità o travisamento del giudizio escludente anomalie dell’offerta (v. Cons. St. sez. VI, 14 agosto 2015 n. 3935).

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

N. 03133/2016 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13364 del 2015, proposto dalla società cooperativa di Produzione e Lavoro 29 Giugno Servizi, rappresentata e difesa dall’avv. Angiolo Moretti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Angiolo Moretti in Roma, Piazzale Belle Arti, 8;

contro

Centro Agroalimentare Roma Car scpa, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Rando, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giuseppe Rando in Roma, Via Polibio, 15;

nei confronti di

Innocenti Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Tommaso Pallavicini, Roberto Folchitto, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Tommaso Pallavicini in Roma, Via Confalonieri, 5;

per l’annullamento

del verbale n. 7 del 29/9/2015 della Commissione per la valutazione delle offerte per la procedura aperta per l’affidamento dei servizi di pulizia, raccolta, rimozione, trasporto e smaltimento dei rifiuti, nonché di raccolta differenziata, trasbordo, compattazione, trasporto e avvio a recupero mediante riutilizzo o riciclaggio degli imballaggi o simili sulle aree e nei fabbricati del Centro Agroalimentare di Roma (CAR), indetta con bando trasmesso alla G.U.C.E. in data 4 giugno 2015, con il quale è stato dichiarato aggiudicatario provvisorio il costituendo RTI tra Innocenti srl (mandataria), LIASA 9.7 Cooperativa sociale (mandante) MAST S.c.a.r.l. (mandante)
e di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente e per la condanna di C.A.R. s.c.p.a. a far subentrare la cooperativa 29 giugno servizi nell’aggiudicazione e nella conseguente convenzione;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Centro Agroalimentare Roma Car scpa e della Innocenti Srl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2016 la dott.ssa Anna Maria Verlengia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso, spedito per la notifica il 29 ottobre 2015 e depositato il successivo 13 novembre, la società cooperativa di produzione e lavoro 29 giugno impugna l’aggiudicazione al Raggruppamento controinteressato della gara per l’affidamento dei servizi di pulizia, raccolta, rimozione, trasporto e smaltimento dei rifiuti e altri servizi indetta dal Centro Agroalimentare Roma (d’ora in poi C.A.R.) alla quale ha partecipato collocandosi al secondo posto in graduatoria con punti 92,680.
Avverso la predetta aggiudicazione articola il seguente motivo di gravame: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 86-88 d.lgs. n. 163/2006, eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, denunciando l’illegittimità della verifica di anomalia dell’offerta della controinteressata sulla base dei seguenti rilievi:
1) nel progetto tecnico di RTI Innocenti (paragrafi B1.3.1 fino a B1.4 escluso) non sarebbe chiara la descrizione della giornata tipo del servizio effettuato da RTI Innocenti. Si dichiara che il servizio è svolto dalla domenica al venerdì, benché il capitolato tecnico preveda (v. pp. 5, 7, 8 e 19) almeno un intervento quotidiano ed il dettaglio della giornata tipo presso ogni area con l’indicazione del personale impiegato e delle ore proposte in funzione dell’organizzazione presentata (punto 5 A); non vi sarebbe nessuna coerenza tra gli orari indicati all’inizio dei paragrafi e quelli poi riportati nelle tabelle;
2) nell’offerta tecnica è dichiarato che gli automezzi e i macchinari sono elettrici e diesel ma non viene fornita la marca o il modello (v. paragrafo B3.4) e la maggior parte di quelli elencati nell’offerta tecnica non sono inseriti nei giustificativi di offerta. I costi di gestione dichiarati nel triennio (€ 25.000,00) per bolli, assicurazione, manutenzione e consumi apparirebbero irrisori;
3) i preposti alla gestione delle emergenze non sono riportati all’interno dell’organigramma e non ne è quantificato il costo, e non è pertanto chiaro se la gestione delle emergenze sia affidata agli stessi addetti e se il costo della reperibilità sia stato conteggiato nel costo del personale (paragrafo B1.6). Nella gestione delle emergenze è indicato un tempo (45 minuti) superiore a quello di 30 minuti proposto dalla ricorrente;
4) al paragrafo B2.1 i dosatori di prodotti utilizzati non sono specificati né sono inseriti tra i costi di mezzi ed attrezzature;
5) al paragrafo B2 non è indicato l’impianto verso il quale sono trasportati i rifiuti ortofrutticoli e di origine animale, né i costi di costruzione, gestione, ammortamento e trasferimento;
6) alle pagine 49 e 50 del progetto tecnico sono indicate migliorie, proposte di valorizzazione ed eco sociali, senza traccia di giustificativo economico dei relativi oneri;
7) incongruità dell’importo di 15.000 euro nel triennio per le spese generali.
Si è costituita la controinteressata Innocenti srl, la quale, con memoria depositata il 24 novembre 2015, eccepisce l’inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione della comunicazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva trasmessa il 29/9/2015, nonché per difetto di legittimazione processuale in capo al presidente del Consiglio d’Amministrazione della Cooperativa 29 giugno e resiste nel merito.
Il 24 novembre 2015 si è costituita con memoria formale la resistente C.A.R.
A seguito della Camera di Consiglio del 26 novembre 2015 il Tribunale, con ordinanza n. 5304/2015, ha respinto la richiesta misura cautelare.
Con memoria depositata il 1° febbraio 2016 il C.a.r. eccepisce l’improcedibilità e/o l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, in ragione della mancata impugnazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva, insistendo nel merito sulla infondatezza del ricorso.
In vista dell’udienza di merito la ricorrente presenta ulteriori memorie a sostegno della fondatezza delle doglianze alle quali la resistente e la controinteressata replicano con ulteriori memorie.
Alla pubblica udienza del 18 febbraio 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato e ciò esime il Collegio dalla scrutinio delle eccezioni in rito proposte dalla controinteressata e dal C.A.R.
Con un unico articolato motivo la cooperativa ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 86-88 d.lgs. n. 163/2006, eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria nella fase di verifica dell’anomalia dell’offerta presentata dalla controinteressata.
Tali vizi emergerebbero da alcune incongruenze elencate nel ricorso e consistenti in rilevate discrepanze tra l’offerta tecnica e il capitolato che verranno meglio analizzate nel prosieguo.
Il motivo è infondato.
1. Una prima serie di incongruenze riguarderebbe la mancata descrizione della giornata tipo, l’insufficienza di un servizio organizzato dalla domenica al venerdì e la non coerenza tra gli orari indicati nel corpo del progetto tecnico e quelli riportati nelle tabelle.
I rilievi sono smentiti dalla lettura della giornata tipo, descritta nelle pp. 10-11-12-13-14 del progetto tecnico per ciascuna area, nelle quali, all’elencazione degli addetti, segue l’orario di lavoro giornaliero dalla Domenica al Venerdì, il numero di risorse e gli orari.
La Stazione Appaltante, quanto alla mancanza di servizio nella giornata di Sabato, ha valutato tale circostanza ritenendola congrua rispetto agli orari di operatività del mercato, nonché conforme al servizio svolto fino ad oggi dall’odierna ricorrente.
Peraltro la diversa previsione del capitolato Tecnico non appare porsi in contrasto con l’offerta tecnica della Innocenti, laddove si limita a prevedere interventi almeno quotidiani e non la necessaria distribuzione del servizio su tutti e sette i giorni della settimana, clausola che non appare incompatibile con l’ordinaria durata settimanale di qualsivoglia servizio, nella quale è di regola previsto un giorno di riposo, che, nel caso di specie, viene a coincidere con quello dell’attività del mercato (sabato).
La censura, peraltro, è generica, in quanto non esplicita in quale modo tale organizzazione del servizio verrebbe ad incidere sulla serietà dell’offerta, né l’attività sette giorni su sette risulta prevista inderogabilmente dalla lex specialis di gara.
2. Non trovano riscontro nella lettura del progetto tecnico (vedi pp. 38-46) neanche le omissioni rilevate dalla ricorrente in ordine alla marca o al modello degli automezzi e dei macchinari offerti, risultando invece descritta la tipologia di veicolo, corredata di fotografia, la modalità di impiego e le caratteristiche.
Nelle pagine 11-13 dei giustificativi risultano poi descritti i costi dei macchinari e delle attrezzature e motivato il costo complessivo da imputare a tali voci, in virtù del possesso di un parco macchine ed attrezzature già ammortizzate, in perfetto stato e funzionanti.
I costi indicati si riferirebbero a spese di spostamento, revisione e manutenzione, mentre l’incidenza dei costi indicati dalla ricorrente troverebbe una congrua giustificazione nell’organizzazione del servizio svolto anche per altre committenti, nella disponibilità di una autofficina interna e nella favorevole ubicazione geografica della sede della Innocenti rispetto alla sede del C.A.R.
Da ciò consegue la non manifesta inattendibilità dell’importo indicato per i costi relativi ai macchinari.
3. Con un terzo rilievo la ricorrente denuncia la mancata previsione dei preposti alla gestione delle emergenze nell’ambito dell’organigramma, la mancata quantificazione del costo relativo al loro impiego e della reperibilità.
Tale rilievo non trova riscontro nel progetto tecnico nel quale nelle pagine 8 e seguenti vi è l’organigramma di tutte le figure coinvolte nel servizio e a pagina 22 vi è una descrizione della modalità e tempi di intervento della gestione delle emergenze.
Nel paragrafo b1.6 si legge che gli addetti alla gestione delle emergenze saranno nominati dall’ATI e formati in collaborazione con la Committente. La circostanza che in tale parte del progetto tecnico non sia stata indicata l’incidenza del costo del personale impiegato per l’emergenza, proprio perché si tratta di impiego eventuale e non prevedibile, non risulta possa viziare la valutazione di non incongruità dell’offerta.
Considerato che la controinteressata ha indicato il numero complessivo degli addetti a disposizione ed ha garantito modalità di gestione delle emergenze la cui compatibilità con l’organigramma predisposto non risulta messa in dubbio, non si ravvisano elementi idonei a ritenere inattendibile l’offerta neanche sotto questo profilo.
Il tempo di intervento proposto (45 minuti), benché superiore a quello offerto dalla ricorrente, è stato ritenuto congruo, con valutazione non sindacabile, per non manifesta illogicità.
4. In ordine alla mancata contabilizzazione dei costi dei dosatori la controinteressata offre ragionevoli spiegazioni di tale peculiarità, in quanto i dosatori sarebbero offerti in comodato d’uso dai fornitori che provvedono alla installazione del macchinario e sono imputati al consumo di prodotti.
5. Quanto all’impianto di smaltimento dei rifiuti ortofrutticoli e dei sottoprodotti di origine animale, il progetto tecnico alle pagine 27 e 28 ne illustra le modalità di deposito temporaneo e di trasporto e a pagina 15 dei giustificativi illustra caratteristiche e localizzazione degli impianti di cui intende avvalersi avendone la disponibilità e che costituiscono, in base a quanto si legge a p. 16 dei giustificativi, fonte di ulteriori profitti, che si aggiungeranno all’utile dichiarato per l’appalto in oggetto, grazie al recupero dei rifiuti vegetali e non.
Anche il rilievo di cui al punto 5 trova pertanto smentita nella documentazione prodotta dalla controinteressata.
6. Con un ulteriore rilievo la ricorrente denuncia la mancata produzione di giustificativo economico delle migliorie e delle proposte di valorizzazione presentate da Innocenti.
La controinteressata replica con una elencazione delle economie e degli utili derivanti dalla conversione dei rifiuti conferiti, ampiamente sufficiente a coprire i costi delle migliorie proposte.
7. Con riferimento, infine, alla incongruità dell’importo di 15.000 euro per le spese generali, il rilievo è generico e, comunque, non tiene conto delle giustificazioni riportate a pagina 13 sulla cui attendibilità deve ritenersi che la Stazione Appaltante abbia fatto le sue valutazioni, scevre da censure sindacabili in questa sede.
E’, infatti, giurisprudenza consolidata, dalla quale il Collegio non vede ragione per discostarsi, che nelle gare d’appalto l’anomalia di un’offerta è il risultato di un giudizio di carattere globale e sintetico sull’attendibilità dell’offerta nel suo complesso, in relazione all’incidenza di tutte le singole voci eventualmente giudicate inattendibili, al fine di valutare se la singola inesattezza di una voce del prezzo offerto incida in modo significativo sulla serietà ed attendibilità dell’offerta complessiva, tenuto anche conto dell’entità della voce stessa nell’economia dell’offerta, non essendo ipotizzabile che possa farsi discendere un giudizio di anomalia da una singola voce (cfr. CdS III 3492/2014).
Dall’analitico scrutinio delle voci di costo indicate dalla ricorrente e delle relative giustificazioni non emerge, per quanto osservato, in nessuna di tali voci una incongruenza tale da generare ragionevoli dubbi sulla serietà dell’offerta complessiva, tenuto anche conto del margine di utile nonché dei profitti generati dall’organizzazione del servizio per l’impresa aggiudicataria.
Né si ravvisa una carenza nell’attività istruttoria, tenuto conto dei profili dell’offerta illustrati nei giustificativi nei quali si è dato dettagliato conto del costo del lavoro, degli sgravi contributivi, del costo dei prodotti, dei criteri per il calcolo del loro consumo, dei costi per i macchinari, per la sicurezza, per le spese generali, delle condizioni di favore che hanno inciso su tutte le voci principali dei prezzi offerti.
Quanto all’obbligo motivazionale gravante sull’Amministrazione, venendo in rilievo un giudizio positivo di congruità (e, dunque, di non anomalia), non è richiesta una motivazione rigorosa ed analitica, essendo sufficiente una motivazione per relationem alle giustificazioni, in quanto adeguate, del concorrente, ed incombendo su chi contesta l’aggiudicazione l’onere di individuare una manifesta irragionevolezza o erroneità o travisamento del giudizio escludente anomalie dell’offerta (v. Cons. St. sez. VI, 14 agosto 2015 n. 3935).
Atteso che, alla luce delle giustificazioni presentate dalla controinteressata, la verifica di anomalia appare sufficientemente istruita e motivata con riferimento alle voci di costo illustrate dall’ATI Innocenti, il gravato procedimento di verifica deve considerato scevro dalle prospettate illegittimità, con conseguente infondatezza della domanda caducatoria.
L’accertata insussistenza dei vizi dedotti determina altresì l’infondatezza della domanda risarcitoria, non ricorrendo il presupposto del danno ingiusto.
Per questi motivi il ricorso, ivi compresa la domanda risarcitoria, va respinto, poiché infondato.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 1.000,00 (mille/00) oltre accessori di legge per ciascuna parte costituita.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Mario Alberto di Nezza, Presidente FF
Michelangelo Francavilla, Consigliere
Anna Maria Verlengia, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/03/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Giurdanella.it.


Trivellazioni: domani la prima udienza innanzi al TAR Lazio

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Domani, 16 marzo 2016, si terrà al Tar Lazio l’udienza in camera di consiglio per la sospensione dell’efficacia del Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico, che proroga della concessione di coltivazione di idrocarburi per la società Edison S.p.A. e che di fatto autorizza la costruzione di una piattaforma di estrazione, denominata Vega B, nel canale di Sicilia nella parte prospicente la costa della provincia di Ragusa.

Il giudizio, instaurato da Legambiente ONLUS, Touring Club Italiano e Greenpeace ONLUS contro il Ministero dell’Ambiente e il Ministero dello Sviluppo Economico vedrà celebrarsi domani la prima udienza di quella che è una vicenda molto discussa, soprattutto in vista del referendum NOTRIV del prossimo 17 aprile.

Molti comuni sono intervenuti nel giudizio a supporto delle ragioni dei ricorrenti, tra cui il Comune di Vittoria rappresentato in giudizio anche dall’Avv. Carmelo Giurdanella che domani interverrà in udienza al fine di sottolineare come il provvedimento ministeriale impugnato rappresenti di fatto una grave lesione della sovranità del nostro Stato che in questo modo si piega agli interessi economici di altri Stati, perdendo di vista l’obiettivo della tutela della salute, dell’ambiente, della difesa del territorio e della protezione dell’economia costiera dall’ inquinamento, diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione.

Giurdanella.it.

Intese restrittive della concorrenza: spetta all’Antitrust dimostrare la violazione

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Il Tar Lazio con la sentenza n. 3983 dell’1 aprile 2016, ha fornito chiarimenti in merito alle intese restrittive della concorrenza ed al relativo onere probatorio.

Il Tar in primo luogo ha precisato che l’unico presupposto perché l’intesa possa essere considerata anticoncorrenziale e debba essere vietata, è costituito dall’avere per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente l’andamento della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante.

Per la sussistenza del relativo illecito è sufficiente poi la presenza dell’oggetto anticoncorrenziale, e non anche, necessariamente, dell’effetto: le pratiche concordate ben rivelandosi possibili pur in assenza di effetti anticoncorrenziali, in quanto la pratica presuppone un comportamento dipendente dalla concertazione, ma non implica necessariamente che il comportamento stesso abbia avuto ricadute effettuali nel senso di impedire o falsare la concorrenza (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22 marzo 2001 n. 1699 richiamato da T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 13 dicembre 2010 n. 36126 e 4 settembre 2007, n. 8951).

Il Collegio osserva che la legge, quindi, inibisce ogni tipo di iniziativa consistente nel “concordamento” delle linee di azione delle singole imprese, anche in funzione dell’eliminazione di incertezze sul reciproco comportamento, posto che tali iniziative finiscono con il sostituire all’alea della concorrenza il vantaggio della concertazione, così erodendo i benefici che in favore dei consumatori derivano dal normale uso della leva concorrenziale, ossia dalla fisiologica tensione di ogni impresa concorrente a ritagliarsi fette di mercato proponendo condizioni, sotto il profilo economico o sul versante dei caratteri dei prodotti e dei servizi, più appetibili per il fruitore (ex multis: T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 15 gennaio 2007 n. 204; id., 3 ottobre 2006 n. 9878 e 2 dicembre 2005 n. 12835).

Sul piano probatorio il Collegio rileva che nella consolidata giurisprudenza comunitaria principio fondamentale è quello per cui spetta all’Autorità produrre elementi probatori precisi e concordanti che corroborino la ferma convinzione che l’infrazione sia stata commessa (ex multis, cause riunite T-67/00, T-68/00, T-71/00 e T- 78/00, JFE Engineering/Commissione, 8 luglio 2004, punto 179; causa T- 11/06, 5 ottobre 2011, Romana Tabacchi/Commissione, punto 129) e che gli elementi di prova posti a base di una decisione antitrust devono dunque essere ragionevoli, affidabili e non contraddittori (sentenza Trib. DE, T-38/02, Groupe Danone/Commissione, 25 ottobre 2005, punto 286).

Coerentemente la giurisprudenza italiana ha precisato che spetta all’Autorità dimostrare il collegamento e la coerenza tra i vari eventi che ritiene alla base di una intesa vietata e, conseguentemente, provare che tali elementi non siano razionalmente giustificabili in maniera alternativa (Cons. Stato, sez. VI, 7 marzo 2008, n. 1006). 

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

N. 03983/2016 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8460 del 2015, proposto da:
Società Mychef Ristorazione Commerciale Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Ferdinando Nicotra, Carmelo Mendolia e Andrea Lazzaretti, con domicilio eletto presso lo Studio Rinaldi e Associati in Roma, l.go di Torre Argentina, 11;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – Antitrust, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale Dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Società Cheff Express Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Sanino, Massimo Frontoni e Giuliano Sollima, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Sanino in Roma, viale Parioli, 180;

per l’annullamento

previa sospensione dell’esecuzione

– del provvedimento n. 25435 (1775) dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, adottato nell’adunanza del 22 aprile 2015 (di seguito, “Provvedimento”), notificato a MyChef Ristorazione Commerciale S.p.A. in data 7 maggio 2015, con cui: a) è stato contestato alla ricorrente di aver posto in essere un’intesa orizzontale in violazione dell’articolo 101 del TFUE, avente per oggetto il coordinamento in occasione di 16 specifiche gare organizzate e gestite dalla società Roland Berger Strategy Consultants S.r.l. nel 2013 per l’affidamento di sub-concessioni ristoro poste sulla rete di pertinenza della società Autostrade per l’Italia S.p.A.; b) è stata diffidata la medesima società ad astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata; c) è stata irrogata una sanzione pecuniaria amministrativa pari a € 4.968.600 a carico di MyChef Ristorazione Commerciale S.p.A.;
– delle “Linee guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, irrogate dall’Autorità in applicazione dell’articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90”, pubblicate dall’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in data 31 ottobre 2014;
– di ogni altro atto presupposto, connesso o comunque conseguente;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – Antitrust e della Società Chef Express S.p.A.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 febbraio 2016 la dott.ssa Rosa Perna e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. MyChef Ristorazione Commerciale s.p.a. (di seguito, “MyChef” oppure la “società”), odierna esponente, è una società attiva nel settore della ristorazione in concessione e gestisce ristoranti pubblici, snackbar ed esercizi di vendita al dettaglio per viaggiatori ubicati in aree di servizio autostradali, terminali aeroportuali e stazioni ferroviarie, centri espositivi e centri commerciali.
Con il ricorso in epigrafe contesta la legittimità della determinazione con la quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM” o l’“Autorità”), a conclusione del procedimento istruttorio I/775, avendo ritenuto che la ricorrente, unitamente a Chef Express s.p.a. (di seguito, “Chef Express), avesse posto in essere un’intesa orizzontale restrittiva della concorrenza – avente per oggetto il coordinamento in occasione di 16 specifiche gare organizzate e gestite nel 2013 dalla società Roland Berger Strategy Consultants S.r.l. per l’affidamento di sub-concessioni ristoro poste sulla rete di pertinenza della società Autostrade per l’Italia S.p.A. – ha applicato una sanzione amministrativa pecuniaria di importo pari ad € 4.968.600 a carico di MyChef.
Nel sottolineare, preliminarmente, che il Provvedimento si appalesa illegittimo, sia perché fondato su presupposti erronei e preconcetti, sia per il metodo d’indagine seguito dall’Autorità, meramente presuntivo e sfornito di qualunque seria prova documentale, sia infine, quanto alla determinazione della connessa sanzione irrogata, l’odierna deducente ha proceduto alla ricostruzione della vicenda nonché alla sintetica esposizione dell’iter procedimentale che ha condotto alla conclusiva irrogazione della contestata sanzione.
2. Nel corso del 2013, su incarico di Autostrade per l’Italia S.p.A. (di seguito, “ASPI”), concessionaria del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per la costruzione e l’esercizio della rete autostradale, Roland Berger Strategy Consultants S.r.l. (di seguito, “RB”) avviava le procedure di gara per l’affidamento dei servizi di ristoro e market da svolgersi in 43 punti di ristoro della rete autostradale, pubblicando le relative Sollecitazioni a presentare offerte, rispettivamente, in data 10 luglio 2013 (prima tranche) e 30 settembre 2013 (seconda tranche).
In tale contesto, nella sua qualità di advisor, in data 25 febbraio 2014 RB segnalava all’Autorità alcune anomalie emerse in occasione dell’analisi di congruità delle offerte che avrebbero caratterizzato le prime due tranche di gara, in particolare rilevando come 16 dei 43 lotti caratterizzanti le prime due tranche di gara sarebbero stati “contraddistinti dal comportamento insolito e speculare di due offerenti”, nello specifico le società Chef Express S.p.A. e My Chef Ristorazione Commerciale S.p.A., e più precisamente:
– nei lotti 356, 367, 368, 373, 377, 380, 381, 385, MyChef era risultata prima in graduatoria avendo presentato offerte tecniche di buona qualità associate, tuttavia, a rilanci contenuti sulla componente economica, a fronte di offerte presentate da Chef Express caratterizzate da modesta qualità tecnica ma forti rilanci sulla componente economica;
– nei lotti 347, 349, 351, 363, 370, 371, 375, 386, specularmente, Chef Express era risultata prima in graduatoria avendo presentato offerte tecniche di buona qualità (associate a rilanci contenuti sulla componente economica), a fronte di offerte presentate da MyChef caratterizzate da modesta qualità tecnica ma forti rilanci sulla componente economica.
3. Sul complesso degli elementi agli atti AGCM riteneva di poter “ipotizzare l’esistenza di un possibile coordinamento tra le società MyChef Ristorazione Commerciale S.p.A. e Chef Express S.p.A. (attuato in occasione delle 16 gare in oggetto), con l’obiettivo di influenzare artificialmente il confronto competitivo e, verosimilmente, le condizioni economiche di aggiudicazione dei relativi lotti, in violazione della normativa a tutela della concorrenza” (così, §4 del Provvedimento sanzionatorio n. 25435, oggetto dell’odierno giudizio).
Con Provvedimento n. 24837 del 12 marzo 2014, AGCM avviava quindi il procedimento istruttorio 1775 contro le società MyChef e Chef Express per accertare l’esistenza di una presunta intesa restrittiva della concorrenza in violazione dell’art. 101 del TFUE.
In data 18 febbraio 2015, l’Autorità, ritenendo gli addebiti non manifestamente infondati, autorizzava l’invio della Comunicazione delle risultante istruttorie (di seguito, “CRI”) alle parti coinvolte nel procedimento, ex art. 14 D.P.R. 217/98, con la quale veniva altresì fissato in via provvisoria il 31 marzo 2015 quale termine di chiusura della fase di acquisizione degli elementi probatori.
In data 18 marzo 2014 venivano effettuate verifiche ispettive presso le sedi delle società MyChef e Chef Express, nonché presso le rispettive sedi di ASPI e di RB.
In data 1° aprile 2015 i rappresentanti delle società venivano sentiti in audizione di fronte all’Autorità, la quale, nell’adunanza del 22 aprile 2015, ritenendo provate le condotte contestate e confermando quasi integralmente l’impianto accusatorio contenuto nella CRI, adottava il provvedimento sanzionatorio n. 25435.
4. Il Provvedimento sanziona le società MyChef e Chef Express poiché esse avrebbero “posto in essere un’intesa orizzontale in violazione dell’articolo 101 del TFUE, avente per oggetto il coordinamento in occasione di 16 specifiche gare organizzate e gestite dalla società Roland Berger Strategy Consultants S.r.l. nel 2013 per l’affidamento di sub-concessioni ristoro poste sulla rete di pertinenza della società Autostrade per l’Italia S.p.A.” (lett. a del dispositivo), con l’obiettivo di depotenziare le offerte economiche presentate in gara dagli altri partecipanti e di facilitare l’aggiudicazione dei relativi lotti alla controparte.
5. Avverso il suddetto provvedimento MyChef si è gravata con il ricorso in epigrafe, censurandone la legittimità sia avuto riguardo all’iter istruttorio seguito e alle conclusioni rassegnate dall’AGCM, sia relativamente alla errata applicazione delle norme poste a fondamento dell’ingente e gravissima sanzione applicata, affidando l’impugnativa ai seguenti argomenti di doglianza:
1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L. 241/1990, dell’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e dell’art. 6 CEDU. Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria, della erroneità, della contraddittorietà e illogicità manifesta.
La ricorrente lamenta che la contestazione e la conseguente sanzione adottata dall’AGCM si basano su documenti contraddittori e lacunosi, interpretati in modo preconcetto e unilaterale al solo scopo di legittimare una ricostruzione dei fatti non conforme al vero; le argomentazioni addotte e i documenti prodotti dalla società nel corso dell’istruttoria non sono stati esaminati o comunque considerati dall’Autorità, che non ha fornito alcuna motivazione al riguardo; le considerazioni contenute nella CRI sono state esattamente riprodotte nel Provvedimento impugnato, con ulteriore violazione del principio di separazione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie, nonché dell’equo processo sancito dall’art. 6 CEDU.
AGCM ha ritenuto che le offerte economiche presentate da MyChef fossero connotate da una “intrinseca anomalia, non giustificabile da spiegazioni alternative alla collusione” (§71 del Provvedimento); tuttavia, non è dato comprendere quale sia stato il ragionamento logico giuridico seguito dall’Autorità a supporto di siffatta affermazione; in ogni caso, la tesi di AGCM è del tutto sfornita di approfondita analisi economica ed è viziata da un’evidente carenza di istruttoria.
E’ inoltre infondata l’affermazione secondo cui le offerte di MyChef “non appaiono compatibili con un reale interesse all’acquisizione dei relativi lotti”; altrettanto illogico e sfornito di istruttoria è l’assunto, centrale nel ragionamento di AGCM, in base al quale, attraverso le offerte asseritamene anomale, le parti intendessero in realtà “esasperare” il meccanismo della formula matematica utilizzata da RB nelle gare in questione.
Gli stessi vizi di istruttoria e di motivazione ricorrono, poi, in relazione alle prove documentali citate nel Provvedimento, ridotte a due sole pagine del documento 1.15.
Un’altra macroscopica carenza del Provvedimento riguarda la mancata prova di incontri tra le parti, cioè di “contatti qualificati” in occasione dei quali sarebbe stato concordato il disegno collusivo.
2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 13 D.P.R. 217/98 e dell’art. 24 legge 7 agosto 1990 n. 241. Violazione del diritto di difesa e del diritto di accesso. Eccesso di potere.
Il Provvedimento risulta essere viziato per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio: alcuni dei documenti posti a fondamento della decisione di AGCM sono stati sottratti al legittimo accesso della ricorrente, nonostante le reiterate richieste – tra questi, il parere ricevuto da RB su uno degli elementi cardine dell’istruttoria, e cioè il particolare funzionamento della formula matematica – in quanto contenenti dati commercialmente sensibili o, comunque riservati o, ancora, informazioni non pertinenti né rilevanti ai fini del procedimento.
3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 legge 689/181, degli artt. 15 e 31 legge 287/90, degli artt. 1 e 7 e ss. legge 241/90. Eccesso di potere sotto il profilo dell’ingiustizia e dell’illogicità manifesta, del travisamento, dello sviamento.
Il Provvedimento è illegittimo laddove impone una sanzione in aperta violazione del principio di legalità, in quanto dichiara espressamente di fare applicazione delle “Linee guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità in applicazione dell’art. 15, comma 1, della legge n. 287/90”, deliberate in data 22 ottobre 2014 e quindi successivamente allo svolgimento dei fatti addebitati a MyChef con il Provvedimento medesimo; inoltre l’Autorità è incorsa in una palese contraddizione nell’applicazione delle Linee Guida, poiché al §88 del Provvedimento ha contestato alle parti la violazione di una norma di carattere comunitario, e cioè dell’art. 101 del TFUE, ma ha poi quantificato la sanzione con i criteri dell’art. 15, L.287/90 e sulla base delle Linee Guida, retroattivamente applicate, anziché secondo i connessi criteri previsti per gli illeciti antitrust comunitari.
4. Violazione degli artt. 15 e 31 legge 287/90. Violazione ed errata applicazione dell’art. 18 delle Linee Guida. Eccesso di potere sotto il profilo della erroneità manifesta, dello sviamento dalla causa tipica e dall’interesse pubblico:
Anche laddove le Linee Guida richiamate da AGCM dovessero ritenersi applicabili, il Provvedimento risulterebbe tuttavia illegittimo in quanto fa riferimento al paragrafo 18 delle stesse, che disciplina le ipotesi di “Collusione nell’ambito di procedure di gare di appalti pubblici”, laddove, nel caso di specie, non si versa nell’ambito di un “appalto pubblico” ma di una procedura di individuazione dei soggetti, cui attribuire l’utilizzo di spazi destinati all’esercizio dell’attività commerciale di ristorazione, secondo le regole del diritto privato.
5. Violazione degli artt. 15 e 31 legge- 287/90, nonché dell’art. 3 legge 241/90. Errata applicazione delle Linee Guida. Eccesso di potere sotto il profilo della erroneità manifesta, dello sviamento e della disparità di trattamento:
AGCM ha calcolato la sanzione moltiplicando l’importo di aggiudicazione di ogni lotto (CFris) per tutti gli anni di durata delle concessioni aggiudicate (§91 del Provvedimento) senza fornire alcuna motivazione in relazione a tale modus operandi, sebbene il Paragrafo 18 delle Linee Guida non contempli siffatto meccanismo “moltiplicatorio”, ma anzi stabilisca che non occorre “introdurre aggiustamenti per la durata dell’infrazione ai sensi dei paragrafi precedenti”; il Provvedimento è inoltre irrazionale nella parte in cui considera il valore delle vendite come riferibile “al futuro” anziché parametrarlo alla effettiva partecipazione all’infrazione.
La sanzione è stata determinata senza far riferimento al rapporto percentuale della sanzione medesima rispetto al fatturato complessivo delle parti, oltretutto determinando una disparità di trattamento e mancanza di uniformità rispetto a casi simili.
6. Violazione degli artt. 15 e 31 legge 287/90, dell’art. 11 legge 689/1981 e dell’art. 3 della legge 241/90. Eccesso di potere sotto il profilo della gravità, proporzionalità, ragionevolezza e congruità nella determinazione della sanzione. Manifesta iniquità, ingiustizia e sproporzione sotto molteplici aspetti.
L’Autorità ha qualificato la presunta intesa restrittiva come una infrazione “molto grave”, avendo come oggetto “il condizionamento di gare ad evidenza pubblica ed avendo altresì prodotto effetti sulle condizioni di aggiudicazione delle gare stesse” (§89 del Provvedimento), fissando la sanzione nella misura del 20% (all’interno del range tra 15% e 30%), in considerazione del fatto che “l’intesa ha avuto piena attuazione e determinato l’affidamento del servizio”; tale conclusione è però contraddetta dalla stessa RB che, nel corso del procedimento istruttorio, ha ammesso che le offerte “non hanno tuttavia determinato l’individuazione degli operatori primi in graduatoria nei lotti in oggetto, poiché, anche in assenza di tali rilanci, i servizi sarebbero comunque stati assegnati ai medesimi operatori”, confermando “le graduatorie già definite in data 17 dicembre 2013 e 10 febbraio 2014” e riconoscendo la “validità complessiva dei meccanismi di assegnazione dei punteggi”.
La parte ricorrente ha concluso insistendo per l’accoglimento del gravame proposto, previa sospensione dell’esecuzione, con conseguente annullamento dell’atto oggetto di censura.
6. L’Autorità intimata, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell’impugnativa.
Nel presente giudizio si è costituita anche Chef Express s.p.a., insistendo per l’accoglimento del ricorso proposto da MyChef.
7. In occasione della camera di consiglio del 29 luglio 2015, la Ricorrente, in vista della sollecita fissazione dell’udienza di merito, ha rinunciato alla domanda cautelare di sospensione degli atti impugnati.
Successivamente, in conseguenza della diffida con la quale AGCM preannunciava l’iscrizione della sanzione al ruolo esecutivo, MyChef ha riproposto la domanda cautelare, che la Sezione ha accolto con ordinanza n 5390/2015 del 3 dicembre 2015, disponendo la sospensione del provvedimento sanzionatorio.
8. In vista dell’udienza di merito, in data 3 febbraio 2016 la società ha prodotto in giudizio le “Note tecniche sulla formula impiegata nella valutazione dell’offerta economica”, redatte dal Prof. Nicola Impollonia, relative alle procedure di gara per cui è causa.
Con memoria conclusionale dell’8 febbraio 2016 MyChef, nel riproporre le proprie censure e conclusioni, ha dedotto l’inammissibilità della produzione documentale di AGCM del 1° febbraio 2016 per omesso deposito di taluni dei documenti risultanti dall’indice che li contrassegnava.
Con successiva nota del 9 febbraio 2016 l’Autorità, nel provvedere nuovamente al deposito dei documenti già prodotti, ha chiarito che i documenti già inseriti nell’indice del 1° febbraio, contrassegnati con la lettera “R” e non depositati, avevano carattere di riservatezza e sarebbero stati esibiti solo dietro ordine di questo Tribunale.
9. Alla Pubblica Udienza del 24 febbraio 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Nell’esaminare le censure svolte con l’epigrafata impugnativa, ritiene il Collegio che occorra: esaminare i fatti come ricostruiti da AGCM e le prove poste alla base della affermazione di responsabilità della società ricorrente; esaminare la qualificazione giuridica data ai fatti dall’Autorità; valutare se la ricostruzione dei fatti sia ragionevole, le prove raccolte sufficienti, la qualificazione giuridica corretta (Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 2010, n. 10; id., 2 marzo 2004, n. 926; Tar Lazio, sez. I, 18-6-2012, n. 5559).
2. Il provvedimento impugnato. Nell’ambito di un accertamento operato con il provvedimento qui impugnato per quanto di ragione, AGCM ha accertato la sussistenza di una intesa orizzontale, restrittiva della concorrenza in violazione dell’art. 101 TFUE, intervenuta tra Chef Express e MyChef e avente per oggetto il coordinamento in occasione di 16 specifiche gare organizzate e gestite nel 2013 dalla società Roland Berger Strategy Consultants S.r.l. per l’affidamento di sub-concessioni ristoro poste sulla rete di pertinenza della società Autostrade per l’Italia S.p.A ., finalizzato alla ripartizione delle gare medesime (§56).
2.1 Secondo l’Autorità “tale coordinamento si è di fatto realizzato attraverso la ripartizione dei lotti di rispettivo interesse – otto per ciascuna parte – e l’individuazione di un meccanismo di offerte incrociate – messo in atto in occasione di tali 16 gare con le quali ciascuna parte ha di fatto supportato la combinazione di offerte (tecnica ed economica) proposta in gara dalla controparte. Più specificamente, il meccanismo prevedeva che nei lotti di interesse di una determinata società, quest’ultima presentasse offerte tecniche di buona qualità associate a rilanci contenuti sulla componente economica; a supporto di tale combinazione di offerte, nei medesimi lotti la controparte proponeva offerte tecniche di modesta qualità associate a rilanci economici elevati. (§57) Come rilevato dallo stesso advisor, la formula matematica utilizzata per la valutazione delle offerte economiche nelle prime due tranche di gara ha difatti sortito l’effetto di “appiattire” le offerte economiche dei partecipanti alle gare; tale effetto, in altri termini, sarebbe derivato dal fatto che la formula sin lì utilizzata dall’advisor sarebbe stata tale per cui il punteggio economico attribuito al rilancio di un determinato partecipante fosse in funzione anche della media dei rilanci presentati in gara dagli altri partecipanti. (§58)
Più precisamente, come si legge nel Provvedimento, “le parti hanno di fatto usufruito, a loro favore, delle peculiarità della formula matematica utilizzata da RB nelle prime due tranche di gara, consapevoli che un rilancio economico assai elevato avrebbe sortito l’effetto di “avvicinare” le altre offerte economiche o, più precisamente, avrebbe reso meno ampie le differenze tra i punteggi economici (POE) attribuiti alle diverse offerte economiche presentate in gara: a tal proposito, lo stesso RB ha evidenziato che l’effetto di “appiattimento” dei punteggi attribuiti ai diversi rilanci economici, insito nella formula utilizzata, “è stato comunque esasperato dalla presenza di offerte anormalmente elevate””. (§59) Di conseguenza, “depotenziando di fatto le offerte economiche presentate in gara, si determinava il conseguente effetto per cui il confronto concorrenziale in gara venisse a basarsi quasi esclusivamente sul contenuto dell’offerta tecnica. Motivo per cui, con riferimento agli 8 lotti ai quali ciascuna società era interessata, la medesima proponeva un rilancio economico assai ridotto, consapevole del fatto che tale rilancio non avrebbe avuto un peso notevole nella valutazione complessiva dell’offerta in ragione del rilancio elevato presentato nel medesimo lotto dalla società controparte; tuttavia, nei medesimi lotti, la società proponeva un’offerta tecnica di buon livello, consapevole del fatto che la componente tecnica sarebbe stata fondamentale nell’aggiudicazione della gara.” (§60)
2.2 L’Autorità ha quindi ritenuto che il suddetto meccanismo trovasse conferma nelle risultanze istruttorie costituite da taluni documenti, sia nella forma di e-mail che nella forma di appunti manoscritti, relativi alle gare oggetto del procedimento, rinvenuti nelle sedi di MyChef e Chef Express nel corso delle attività ispettive e copiosamente descritti nel Provvedimento (§§ 19-29 e 61-70).
2.3 Secondo l’impostazione seguita da AGCM, “Nel caso di specie, oltre alle evidenze documentali sopra richiamate, numerosi elementi inducono a ritenere che la condotta delle parti sia connotata da un’intrinseca anomalia non giustificabile da spiegazioni alternative alla collusione. Si richiama, in particolare, l’assoluta simmetria e specularità dei comportamenti tenuti dalle due parti in occasione delle 16 gare in esame […], nonché l’assoluta specularità degli esiti di tali gare, non solo in termini di equa aggiudicazione tra Chef Express e MyChef dei 16 lotti di gara, ma anche di sistematica aggiudicazione, per ciascuna delle due parti, dei lotti nei quali è stata presentata una offerta tecnica elevata ma un contenuto rilancio economico sulla base d’asta. (§71) Inoltre, “le combinazioni di offerte (tecnica ed economica) proposte dalle parti in occasione delle 16 gare in oggetto, oltre a non mostrarsi improntate a razionalità economica, non appaiono compatibili con un reale interesse all’acquisizione dei relativi lotti”. (§73)
Di qui la conclusione che “gli elevati rilanci sulla base d’asta osservati non paiono potersi spiegare in altro modo se non con l’obiettivo di comprimere il ruolo discriminante delle offerte economiche nell’aggiudicazione del lotto, favorendo in tal modo la scarsa offerta economica presentata dall’altro partecipante alla strategia coordinata.” (§77)
Dai richiamati elementi l’Autorità ha quindi considerato confermato quanto emerso dal predetto quadro documentale e ritenuto che “l’equilibrio collusivo che si è registrato (ossia l’adozione del suddetto meccanismo in modo sistematico e speculare in occasione di 16 gare, equamente aggiudicate a ciascuna delle parti del procedimento) non possa essere frutto di scelte razionali individualmente assunte. Pertanto, le combinazioni di offerte tecniche ed economiche presentate dalle parti in occasione delle 16 gare oggetto del procedimento non possono rappresentare un esito “naturale” quanto piuttosto il frutto di una collusione mirata ad interferire, con l’obiettivo di aggiudicarsele equamente, sulle dinamiche competitive delle 16 gare oggetto del procedimento. (§80)
2.4. Come il Provvedimento chiarisce, “Il settore interessato dalle condotte in esame è rappresentato dalle procedure di affidamento dei 43 punti ristoro situati nelle aree di servizio della rete ASPI, per le quali le sollecitazioni ad offrire sono state pubblicate in data 10 luglio 2013 (1° tranche) e 30 settembre 2013 (2° tranche). […] In tale più ampio contesto, il mercato rilevante […] può considerarsi quello relativo alle 16 gare aggiudicate alle parti, il cui fatturato atteso ammonta a circa 31 milioni di euro. (§55)
3. Le valutazioni di AGCM. Dall’accertamento operato dall’Autorità è risultato che per effetto dell’intesa si è verificata un’alterazione del normale confronto concorrenziale, determinandosi condizioni di concorrenza in sede di gara diverse da quelle che si sarebbero determinate in assenza della stessa, nel senso che l’individuazione del meccanismo collusivo sopra descritto ha annullato ogni forma di concorrenza reciproca tra due importanti operatori della ristorazione autostradale. (§85)
Sulla base degli accertamenti di fatto e delle argomentazioni giuridiche utilizzate, l’Autorità è pervenuta a ritenere che “il comportamento posto in essere dalle società My Chef e Chef Express con riferimento alle 16 gare di cui sopra, miri precipuamente ad alterare le dinamiche competitive di gare ad evidenza pubblica e, in generale, procedure di affidamento a rilevanza europea, manifestando pertanto un oggetto anticoncorrenziale. […] In ogni caso, l’intesa in questione risulta altresì avere prodotto anche effetti anticoncorrenziali nella misura in cui ha consentito alle Parti di aggiudicarsi le 16 sub-concessioni ristoro oggetto del procedimento a condizioni economiche più vantaggiose rispetto a quelle che si sarebbero ragionevolmente determinate in assenza del meccanismo collusivo”. (§87) Inoltre, “I comportamenti sopra descritti sono potenzialmente idonei a pregiudicare il commercio intracomunitario e pertanto integrano gli estremi di un’infrazione dell’articolo 101, par. 1, del TFUE […] (considerato che) la fattispecie oggetto del presente procedimento appare idonea a condizionare la partecipazione alle gare in esame e, pertanto, anche l’aggiudicazione delle relative sub–concessioni ristoro, con riferimento a qualificati concorrenti nazionali e comunitari.” (§87)
4. Le valutazioni del Collegio. È in primo luogo largamente acquisito che, per quanto attiene alle intese restrittive della concorrenza, l’unico presupposto perché l’intesa possa essere considerata anticoncorrenziale e debba essere vietata, è costituito dall’avere per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente l’andamento della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante.
Secondo costante giurisprudenza, ai fini della verifica della condotta anticoncorrenziale, non è sempre indispensabile distinguere tra accordi e pratiche concordate, essendo ben più importante individuare, rispetto ai semplici comportamenti paralleli privi di concertazione, le forme di collusione che ricadono nei divieti antitrust (T.A.R. Lazio, sez. I, 13 dicembre 2010, n. 36126, Liquigas s.p.a.; id., 20 settembre 2005 n. 6546, Imballaggi metallici; Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2001, n. 1189, Assitalia; Corte Giustizia CE 8 luglio 1999, Anic e T.P.G., 20 marzo 2002, HFB).
Nella logica della normativa antitrust, la nozione di intesa è infatti oggettiva e tipicamente comportamentale, anziché formale, avendo al centro l’effettività del contenuto anticoncorrenziale ovvero l’effettività di un atteggiamento comunque realizzato che tende a sostituire con una collaborazione pratica la competizione che la concorrenza comporta (T.A.R. Lazio, sez. I, 8 maggio 2007 n. 4123, relativa alla fornitura di prodotti antisettici e disinfettanti alle strutture sanitarie pubbliche).
Per la sussistenza dell’illecito, quindi, è sufficiente la presenza dell’oggetto anticoncorrenziale, e non anche, necessariamente, dell’effetto: le pratiche concordate ben rivelandosi possibili pur in assenza di effetti anticoncorrenziali, in quanto la pratica presuppone un comportamento dipendente dalla concertazione, ma non implica necessariamente che il comportamento stesso abbia avuto ricadute effettuali nel senso di impedire o falsare la concorrenza (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22 marzo 2001 n. 1699 richiamato da T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 13 dicembre 2010 n. 36126 e 4 settembre 2007, n. 8951).
Il divieto, da intendersi alla luce della concezione comunitaria in materia di concorrenza, secondo cui ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta che intende seguire sul mercato, si specifica nel precetto che – pur dovendosi tenere ferma la libertà di scelta da parte delle imprese, incluso il diritto a reagire in maniera intelligente al comportamento, constatato o atteso dei concorrenti – è sempre vietato ogni contatto, diretto o indiretto, tra gli operatori che abbia per oggetto o per effetto di influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente o di informare tale concorrente sulla condotta che l’impresa stessa ha deciso di porre in atto.
La legge, quindi, inibisce ogni tipo di iniziativa consistente nel “concordamento” delle linee di azione delle singole imprese, anche in funzione dell’eliminazione di incertezze sul reciproco comportamento, posto che tali iniziative finiscono con il sostituire all’alea della concorrenza il vantaggio della concertazione, così erodendo i benefici che in favore dei consumatori derivano dal normale uso della leva concorrenziale, ossia dalla fisiologica tensione di ogni impresa concorrente a ritagliarsi fette di mercato proponendo condizioni, sotto il profilo economico o sul versante dei caratteri dei prodotti e dei servizi, più appetibili per il fruitore (ex multis: T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 15 gennaio 2007 n. 204; id., 3 ottobre 2006 n. 9878 e 2 dicembre 2005 n. 12835).
5. Sul piano probatorio si consideri, poi, che nella consolidata giurisprudenza comunitaria principio fondamentale è quello per cui spetta all’Autorità produrre elementi probatori precisi e concordanti che corroborino la ferma convinzione che l’infrazione sia stata commessa (ex multis, cause riunite T-67/00, T-68/00, T-71/00 e T- 78/00, JFE Engineering/Commissione, 8 luglio 2004, punto 179; causa T- 11/06, 5 ottobre 2011, Romana Tabacchi/Commissione, punto 129); gli elementi di prova posti a base di una decisione antitrust devono dunque essere ragionevoli, affidabili e non contraddittori (sentenza Trib. DE, T-38/02, Groupe Danone/Commissione, 25 ottobre 2005, punto 286).
Coerentemente, la giurisprudenza italiana ha precisato che spetta all’Autorità dimostrare il collegamento e la coerenza tra i vari eventi che ritiene alla base di una intesa vietata e, conseguentemente, provare che tali elementi non siano razionalmente giustificabili in maniera alternativa (Cons. Stato, sez. VI, 7 marzo 2008, n. 1006). Infatti, nell’ambito di procedimenti antitrust “il criterio guida per prestare il consenso all’ipotesi ricostruttiva formulata dall’Autorità è quello della c.d. congruenza narrativa, in virtù del quale l’ipotesi sorretta da plurimi indizi concordanti può essere fatta propria nella decisione giudiziale quando sia l’unica a dare un senso accettabile alla “storia” che si propone per la ricostruzione della intesa illecita. [ … ] In tale quadro i vari “indizi” costituiscono elementi del modello globale di ricostruzione del fatto, coerenti rispetto all’ipotesi esplicativa coincidente con la tesi accusatoria. Unitamente all’acquisizione di informazioni coerenti con le contestazioni mosse (riscontri), deve essere esclusa l’esistenza di valide ipotesi alternative alla tesi seguita dall’Autorità” (Cons. Stato, sez. VI, 25 marzo 2009, n. 1794; id., 20 febbraio 2008, n. 594).
6. Nel caso che ne occupa, l’impianto accusatorio del Provvedimento si basa sui seguenti passaggi:
I) esistenza di un meccanismo collusivo di offerte incrociate e ritenute “anomale” e “irrazionali”, non giustificabili con una spiegazione alternativa;
II) finalità collusiva del parallelismo di condotte, attuata mediante un utilizzo distorto della formula matematica elaborata da RB;
III) esistenza di prove documentali a sostegno della tesi accusatoria;
IV) concreta produzione di effetti sulla aggiudicazione delle gare.
Ad avviso del Collegio, la ricostruzione complessivamente operata dall’Autorità non è tuttavia congruamente motivata e rispondente ai fatti, come risultanti dalla istruttoria procedimentale, sicché nella fattispecie non è configurabile una intesa vietata ai sensi dell’art. 101 TFUE, né, in ogni caso, risulta provata la partecipazione della ricorrente ad un’intesa restrittiva della concorrenza.
7. Ed invero, meritevoli di adesione risultano le censure di cui al primo motivo di ricorso, con cui la ricorrente contesta il Provvedimento per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, illogicità ed erroneità manifeste, e quindi per erronea applicazione dell’art. 101 TFUE, per l’effetto negando di aver stipulato o concluso alcuna intesa anticoncorrenziale nel 2013 per le gare in esame.
7.1 In primo luogo, dall’esame del Provvedimento non si evince il ragionamento logico giuridico seguito dall’Autorità a supporto della ritenuta esistenza di un meccanismo collusivo di offerte incrociate, non giustificabili con una spiegazione alternativa e aventi finalità collusiva del parallelismo di condotte.
Nessun argomento utile può trarsi dal richiamo operato da AGCM ad una media dei rialzi registrati nelle altre Aree di Servizio in gara. Ciò in quanto la media dei ribassi è un dato astratto, nozionale, che non può essere decisivo per la verifica delle eventuali anomalie delle offerte, non fosse altro che le Aree di Servizio (AdS) oggetto di gara non erano identiche tra loro ma presentavano caratteri differenti – per estensione, tipologia di servizio e ubicazione – di tal che l’Autorità avrebbe dovuto valutare le offerte economiche della ricorrente sulla base di elementi oggettivi, e non basandosi sui dati medi forniti dall’advisor, che nulla potevano esprimere in ordine al reale impatto economico e alla regolarità delle offerte nelle singole gare.
Del resto, la giurisprudenza censura l’utilizzazione da parte dell’Autorità del mero dato medio, che “costituisce certamente un dato di grande rilievo economico […], ma che non sembra determinante, quando si debba appurare l’esistenza di un preventivo coordinamento tra gli operatori economici […]: obiettivo per cui sarebbe di certo preferibile conoscere i veri e propri aumenti tariffari, con le corrispondenze, anche temporali, ovvero le divergenze, al fine di confermare o meno la ritenuta concertazione” (TAR Lazio, sez. 1, 7.5.2014, n. 4730).
7.2 Inoltre, nel Provvedimento non è stato dato rilievo agli argomenti addotti da MyChef nella fase istruttoria, volti a dimostrare la razionalità delle proprie offerte anche a seguito del mutato impianto nelle gare del 2013 del criterio di attribuzione dei punteggi rispetto alle precedenti edizioni (2008), come il dimezzamento della base d’asta – che ha consentito il riassorbimento dell’eccedenza con rialzi molto maggiori rispetto al passato – e l’introduzione di correttivi e meccanismi di indicizzazione, non presenti nelle gare del 2008.
Come la ricorrente chiarisce nel ricorso in epigrafe, tali circostanze le hanno consentito di formulare rilanci economici sulla base d’asta molto maggiori rispetto al 2008 perché comunque ampiamente remunerativi in caso di aggiudicazione delle AdS.
L’offerta economica complessiva (cioè il CFris + rialzo) di MyChef nelle 16 gare in questione rappresenta, in media, il 9,6% rispetto alle vendite totali della singola AdS, ed è quindi addirittura inferiore, di per sé, al dato medio relativo alla sola base d’asta del 2008 (cioè senza considerare il rialzo proposto), che si attestava al 10,7% delle vendite della singola AdS”. Inoltre, nelle sole 8 gare vinte da ChefExpress, in relazione alle quali MyChef avrebbe proposto “offerte anomale”, la ricorrente ha proposto un rialzo medio pari all’8,0% delle vendite totali; se a tale dato si unisce il CFris medio per le medesime 8 gare (pari al 5,3%) si arriva ad un dato complessivo (CFris + base d’asta) di appena il 13,3%.
Ne consegue che le offerte non si appalesano né anomale né irrazionali se rapportate ad un dato oggettivo, quale è l’incidenza sulle vendite totali della AdS.
7.3 A fronte della oggettività e della plausibilità delle ragioni offerte da MyChef a sostegno della propria condotta in gara nella formulazione dei rilanci economici, l’Autorità avrebbe dovuto porsi il ragionevole dubbio sulla possibilità che le condotte poste a base dell’ipotesi accusatoria oggetto di contestazione potessero essere spiegate diversamente dalla mera supposizione di una concertazione tra le imprese, essendo in tal senso anche l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, laddove statuisce: “qualora, a fronte della semplice constatazione di un parallelismo di comportamenti sul mercato, il ragionamento dell’Autorità sia fondato sulla supposizione che le condotte poste a base dell’ipotesi accusatoria oggetto di contestazione non possano essere spiegate altrimenti se non con una concertazione tra le imprese, a queste ultime basta dimostrare circostanze plausibili che pongano sotto una luce diversa i fatti accertati dall’Autorità e che consentano, così, di dare una diversa spiegazione dei fatti rispetto a quella accolta nell’impugnato provvedimento” (Tar Lazio, Sez. I, 18 dicembre 2015, n. 14281; id., 7 maggio 2014, n. 4731).
7.4 Sotto altro, connesso profilo, l’Autorità non può essere seguita laddove sostiene che con le offerte contestate le parti intendessero avvantaggiarsi a vicenda, usufruendo “a loro favore, delle peculiarità della formula matematica utilizzata da RB nelle prime due tranche di gara, consapevoli che un rilancio economico assai elevato avrebbe sortito l’effetto di “avvicinare” le altre offerte economiche o, più precisamente, avrebbe reso meno ampie le differenze tra i punteggi economici (POE) attribuiti alle diverse offerte economiche presentate in gara” (§ 59).
L’assunto si basa infatti su di un’affermazione indimostrata, vale da dire che la formula di gara, per la sua struttura, fosse idonea ad essere funzionalizzata dai concorrenti per finalità collusive; mentre in realtà non risultano provate, né la possibilità di un consapevole utilizzo della formula per finalità determinate (nella specie: collusive) da parte dei concorrenti né, soprattutto, la prevedibilità degli effetti applicativi della formula in una gara in cui non erano note, ex ante, le offerte e i rilanci di tutti gli altri concorrenti, diversi dai soggetti dell’ipotetico accordo collusivo.
In tal senso depone anche la relazione dell’esperto incaricato dalla società ricorrente, Prof. Ing. Nicola Impollonia (“Note tecniche sulla formula impiegata nella valutazione del punteggio dell’offerta economica”), che attraverso la simulazione matematica di ipotesi concrete giunge ad affermare, attraverso un percorso logico che il Collegio ritiene chiaro e plausibile (Cass. SS.UU., 20 gennaio 2014, n. 1013; Cons. Stato, sez. VI, 15 maggio 2015, n. 2479), che “la formula per l’assegnazione adottata da Roland Berger Strategy Consultants S.r.l. nella Lettera è particolarmente robusta e fortemente refrattaria ad eventuali strategie collusive di offerte incrociate” (pag. 10 cfr. perizia tecnica del Prof. Ing. Impollonia).
L’esperto chiarisce infatti che “La formula è praticamente insensibile ad eventuali offerte economiche particolarmente aggressive (con rialzo marcatamente superiore a quello medio) in quanto queste non incidono in maniera apprezzabile sulla determinazione dei punteggi economici degli altri concorrenti”, essendosi dimostrato che “gli effetti prodotti da offerte con forte rialzo siano comparabili e verosimilmente anche inferiori a quelli conseguenti ad offerte con rialzo molto basso o nullo (o addirittura alla scelta di un concorrente di non partecipare alla gara)”; per poi concludere che “La formula adottata nella Lettera, pertanto, può considerarsi a tutti gli effetti indipendente” specificando che “al generico concorrente non sarà possibile condizionare il punteggio degli altri mediante strategie distorsive […]” atteso che “gli esiti infatti risultano estremamente modesti e in ogni caso imprevedibili ai fini di eventuali meccanismi collusivi, sia dipendendo essi dalla concreta entità dei rilanci presentati da tutti gli altri partecipanti (non conoscibili ex ante) sia, in ogni caso, essendo totalmente imprevedibili e non univoci”.
7.5 Le considerazioni svolte impongono di escludere non solo la possibilità di utilizzo della formula di gara da parte di un concorrente per fini collusivi, ma anche la intrinseca idoneità della condotta della ricorrente, per come ricostruita nel Provvedimento, ad incidere sulle gare in oggetto per finalità antitrust; laddove la giurisprudenza amministrativa chiaramente afferma che “il concordamento suscettibile di essere represso ove si proponga finalità restrittive della concorrenza deve dimostrarsi, in ragione del programma che ne costituisce fondamento, suscettibile di incidere sulla corretta e fisiologica dinamica della competizione concorrenziale, dimostrandosi preordinato ad alterarne il normale sviluppo” (Tar Lazio, sez. I, 07/05/2013, n. 4478).
La suddetta conclusione trova conferma, nel caso all’esame, dai Verbali di gara dell’11 dicembre 2013 e relativi allegati da 1 a 7 e dai Verbali di gara del 6 febbraio 2014 e relativi allegati da 1 a 7 (che illustrano i giudizi resi da RB in relazione alle 16 offerte presentate rispettivamente da Chef Express e da MyChef nelle gare in questione), in cui RB ha giudicato positivamente le offerte suddette, oggetto del Procedimento, senza sollevare alcuna osservazione in ordine alla loro congruità, ritenendo espressamente i relativi Business Plan pienamente sostenibili.
Ancora, nessuna osservazione è stata mossa, dopo l’avvio dell’Istruttoria, da ASPI (nota ASPI prot. 9397 del 19.05.2014) che ha anzi dichiarato di proseguire l’iter finalizzato alla stipula delle Convezioni per i Lotti aggiudicati ai soggetti interessati, e, in data 11 giugno 2014, ha stipulato le convenzioni relative alle Ads aggiudicate a MyChef e Chef Express.
Significativa, infine, la nota di RB del 25 febbraio 2014 in cui si dichiara espressamente che le condotte dei soggetti interessati “non hanno tuttavia determinato l’individuazione degli operatori primi in graduatoria nei lotti in oggetto, poiché anche in assenza di tali rilanci i servizi sarebbero stati assegnati ai medesimi operatori”.
8. Quanto precede dimostra dunque la totale assenza, nel caso di specie, di quegli elementi costitutivi di un accordo, quali elaborati da costante e consolidata giurisprudenza comunitaria e nazionale, secondo cui è configurabile un accordo quando le “imprese abbiano espresso la loro comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo” (Tar Lazio, sez. I, 2 dicembre 2009, n. 12313, Unipi; Cons. Stato, sez. VI, 9 aprile 2009, n. 2201, Trambus; nonché, Tribunale dell’Unione Europea, causa T-9/99, HFB, 20 marzo 2002, punto 199).
8.1 E invero, osserva il Collegio che, “perché il parallelismo dei comportamenti tra più imprese divenga una condotta abusiva, è necessario che esso sia concordato: dunque, per irrogare una sanzione ci vuole una prova, diretta o indiretta, di una concertazione tra le imprese, ossia di un flusso informativo tra le stesse, che precede e può persistere con il dato oggettivo del comportamento, ed è funzionalmente adeguato a provocarlo”; pertanto, “affinché i contatti tra imprese possano assumere rilevanza sotto il profilo antitrust e possano, dunque, dirsi qualificati, è necessario che gli stessi riguardino incontri nei quali emerga chiaramente che le parti intendessero concertare pratiche contrarie alla concorrenza” (Tar Lazio, sez. I, 7 maggio 2014, n. 4730).
8.2 Peraltro, come la giurisprudenza amministrativa ha avuto occasione di considerare, “dal momento che in materia di intese vietate è ben rara l’acquisizione di una prova piena (il c.d. smoking gun: il testo dell’intesa; documentazione inequivoca della stessa; atteggiamento confessorio dei protagonisti) e dal momento che un atteggiamento di eccessivo rigore finirebbe per vanificare nella pratica le finalità perseguite dalla normativa antitrust, può reputarsi sufficiente (e necessaria) l’individuazione di indizi, purché gravi precisi e concordanti, circa l’intervento di illecite forme di concertazione e coordinamento” (Cons. Stato, sez. VI, 23 maggio 2012, n. 3026).
L’esistenza della concertazione deve perciò potersi desumersi in via indiziaria da elementi oggettivi, quali la durata, uniformità e parallelismo dei comportamenti; gli incontri tra le imprese; gli impegni, ancorché generici e apparentemente non univoci, di strategie e politiche comuni; i segnali e le informative reciproche, il successo pratico dei comportamenti, che non potrebbe derivare da iniziative unilaterali, ma solo da condotte concertate (Tar Lazio, sez. I, 2 dicembre 2009, n. 12313).
8.3 L’Autorità tuttavia non fornisce prova, né diretta né indiretta, dei “contatti qualificati” in occasione dei quali i soggetti sanzionati avrebbero concordato il disegno collusivo.
Osserva il Collegio che la prova documentale su cui fondamentalmente si basa il Provvedimento, rubricata sub I.15, consta di un complesso di fogli che, seppure di origine comune in quanto rinvenuti da AGCM presso la sede di Chef Express, risultano privi di omogeneità quanto al resto; si tratta infatti di un insieme eterogeneo di appunti, e-mail, tabelle e altro, provenienti da autori diversi e, per la maggior parte, privi di data certa, cui l’Autorità a fini probatori ha impresso una destinazione unitaria, ma inidonei in sé a consentire la esatta ricostruzione temporale dei fatti che da tali documenti si pretenderebbero provati – e, in primo luogo, l’anteriorità di essi rispetti alla partecipazione alle gare in esame – così come la rilevanza degli stessi.
Del pari indimostrata è l’attinenza alle tranche di gara del 2013, e quindi la rilevanza ai fini che ne occupano, del documento n. 67 (il c.d. “simulatore”), sub II.47, reperito presso MyChef, e predisposto per spiegare il funzionamento della formula matematica utilizzata da RB nel 2008, la cui collocazione temporale sembrerebbe rendere il documento stesso del tutto estraneo al procedimento de quo.
8.4 Nel caso all’esame, dunque, l’impianto accusatorio di AGCM è basato su singole evidenze prive di univoca valenza e di idoneo valore probatorio, che la medesima Autorità “ha inteso rendere significative sulla base di un ragionamento circolare nel quale le argomentazioni utilizzate hanno spesso una struttura presuntiva, alla quale si fa, tuttavia, ricorso in assenza dei necessari presupposti logici o fattuali”; in tal modo, difetta quella basilare individuazione di dati noti e incontrovertibili “che consente il ricorso all’utilizzo della presunzione, cosicché l’intero iter argomentativo utilizzato, nel quale ciascuna presunzione individua il fatto noto in una precedente presunzione, presenta quella struttura tautologica e circolare che la ricorrente ha inteso contestare” (Tar Lazio, sez. I, 18 dicembre 2015, n. 14281).
Tale deficit probatorio risulta tanto più evidente nel caso di specie, in cui – come già evidenziato dal Collegio – la condotta di gara tenuta dalla società ricorrente non poteva configurarsi come univocamente diretta a sorreggere un’intesa illecita, con la conseguenza che l’Autorità avrebbe dovuto supportare il proprio ragionamento assertivo con prove documentali dalle quali desumere che le parti avessero avuto contatti volti allo scambio di informazioni in merito agli andamenti delle gare e ai comportamenti da assumere in relazione alle stesse.
E seppure è un dato ormai acquisito alla giurisprudenza, comunitaria e nazionale, quello che, in mancanza di documenti che provino direttamente la concertazione tra le imprese interessate, è necessario accertare se i comportamenti “costituiscano un complesso di indizi seri, precisi e concordanti di una previa concertazione” (Corte di Giustizia, 31 marzo 1993, C-89/85; Cons. Stato, sez. VI, 20 marzo 2001, n. 1671; id., 23 aprile 2002, n. 2002), nel caso all’esame, il procedimento logico seguito da AGCM non sembra tuttavia atto ad “individuare una ipotesi ricostruttiva che risponda al criterio della cd. congruenza narrativa, che ricorre quando l’ipotesi proposta dall’Autorità risulti sorretta da plurimi indizi concordanti e sia l’unica a dare un senso accettabile alla storia che si propone per la ricostruzione della intesa illecita” (Cons. Stato, sez. VI, 25 marzo 2009, n. 1794).
Al contrario, il tessuto motivazionale sembra poggiare su mere congetture e supposizioni, attraverso “l’utilizzo […] della tecnica della citazione parziale e suggestiva delle acquisizioni documentali, al fine di enfatizzare messaggi non univocamente desumibili dai testi da cui sono tratti […], (così) conferma(ndo) la ricorrenza, nel provvedimento in esame, di un’impostazione interpretativa nella quale le emergenze istruttorie sono state spesso oggetto di una lettura orientata, coerente con l’impianto accusatorio iniziale” (Tar Lazio, sez. I, 18 dicembre 2015, n. 14281).
9. Per quanto complessivamente esposto, il ricorso, assorbita ogni altra censura e deduzione, va accolto e, per l’effetto, gli atti impugnati vanno annullati.
10. Sussistono comunque giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Rosa Perna, Consigliere, Estensore
Ivo Correale, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/04/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Giurdanella.it.

Specializzazioni Avvocati: il Tar Lazio annulla in parte il DM

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Il Tar Lazio con una serie di sentenze del 14 aprile 2016 ha annullato parzialmente il decreto ministeriale 12 agosto 2015, n. 144, recante il regolamento sulle specializzazioni degli avvocati, nella parte relativa all’elenco delle materie per le quali è possibile conseguire il titolo di specialista (art. 3) e nella parte relativa al colloquio per il conseguimento del titolo di specialista sulla base della comprovata esperienza (art. 6 comma 4).

In particolare, in riferimento all’art. 3 del regolamento, contente la suddivisione dei settori di specializzazione, il Tar evidenzia che né dalla mera lettura dell’elenco, né dalla relazione illustrativa del Ministero è dato cogliere quale sia il principio logico che ha presieduto alla scelta delle diciotto materie. Il Collegio osserva che non risulta rispettato né un criterio codicistico, né un criterio di riferimento alle competenze dei vari organi giurisdizionali esistenti nell’ordinamento, né infine un criterio di coincidenza con i possibili insegnamenti universitari, più numerosi di quelli individuati dal decreto. L’incompletezza dell’elenco era stata già rilevata dal Consiglio di Stato che si è pronunciato in sede consultiva sullo schema di regolamento, con rilievo al quale il Ministero si è adeguato in maniera parziale. Ad avviso del Tar l’attuale irragionevolezza della disposizione, infine, non può essere elisa dalla teorica (e futura) possibilità di revisione dell’elenco prevista dall’art. 4 del d.m. Pertanto,  il Tar ha annullato l’art. 3 del regolamento in parte qua.

Accolta anche la censura relativa alla previsione di cui all’art. 6 comma 4 ai sensi della quale l’avvocato che voglia conseguire il titolo di specialista sulla base della comprovata esperienza professionale deve sostenere un colloquio sulle materie comprese nel settore di specializzazione dinanzi al Consiglio nazionale forense. Ad avviso del tar la norma pecca di irragionevolezza per genericità, non avendo la disposizione regolamentare chiarito alcunché in ordine al contenuto del colloquio e alle modalità di svolgimento dello stesso.

Il Tar evidenzia come  l’assenza di specificazioni e di definizioni puntuali è dunque tale da conferire al Consiglio nazionale forense una latissima discrezionalità operativa, che, oltre ad essere foriera di confusione interpretativa e distorsioni applicative (con ricadute anche in punto di concorrenza tra gli  avvocati), si pone in assoluta contraddizione con la funzione stessa del regolamento in esame, che, ai sensi dell’art. 9 della legge, è quella di individuare un procedimento di conferimento definito in maniera precisa e dettagliata, a tutela dei consumatori utenti e degli stessi professionisti che intendano conseguire il titolo.

Pertanto il Tar Lazio ha annullato anche l’art. 6 del regolamento in parte qua.

Si riporta in calce il testo della sentenza n. 4426 del 14 aprile 2016.

***

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13776 del 2015, proposto da:
Anf – Associazione Nazionale Forense, in persona del legale rappresentante p.t., e Luigi Pansini, rappresentati e difesi dagli avv.ti Emilio Toma e Loredana Papa, elettivamente domiciliati in Roma, Via Cosseria, 2, presso lo studio legale Placidi;

contro

Il Ministero della giustizia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento del decreto del Ministro della giustizia n. 144/15 – regolamento recante disposizioni per il conseguimento ed il mantenimento del titolo di avvocato specialista.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 marzo 2016 la dott.ssa Roberta Cicchese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La legge n. 247 del 31 dicembre 2012 ha dettato la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, prevedendo, all’art. 9, la possibilità per gli avvocati di conseguire il titolo di avvocato specialista.

In data 12 agosto 2015, il Ministro della giustizia ha adottato il decreto ministeriale contenente il “Regolamento recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, a norma dell’articolo 9 della legge 31 dicembre 2012, n. 247” .

L’Associazione nazionale forense e l’avv. Luigi Pansini, in proprio, hanno impugnato il suddetto decreto ministeriale.

Il ricorso è affidato a due motivi di doglianza, uno estremamente articolato e rivolto avverso specifiche previsioni regolamentari ed un altro, sostanzialmente solo enunciato, con il quale si rappresenta l’illegittimità costituzionale dello stesso articolo 9 della legge n. 247/2012.

Il primo motivo di ricorso prospetta violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione di legge (art. 9 della legge 31 dicembre 2012, n. 247; degli artt. 4 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale; artt. 3 e 41 della Costituzione, artt. 56, 101 e 102 del TFUE, art. 3 della legge n. 241/1990), violazione dei principi generali in materia di libera iniziativa economica, violazione dei principi comunitari di tutela della concorrenza, violazione del principio generale di irretroattività delle norme, eccesso di potere per illogicità, sviamento, travisamento, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta, irragionevolezza, contraddittorietà, incongruità, difetto assoluto di motivazione.

I ricorrenti, articolando la doglianza in otto punti, hanno censurato l’art. 3 del regolamento, che individua i settori di specializzazione, l’art. 6, nella parte in cui, al comma 4, stabilisce che nel caso di domanda fondata sulla comprovata esperienza, il Consiglio Nazionale Forense sottopone il richiedente ad un colloquio sulle materie di specializzazione, l’art. 7, che contiene la disciplina dei percorsi formativi, l’art. 10, che disciplina l’aggiornamento professionale specialistico e l’art. 14 che contiene le disposizioni transitorie.

Da ultimo i ricorrenti hanno prospettato, in via subordinata, l’illegittimità derivata del regolamento per illegittimità costituzionale dell’art. 9 della legge n. 247/2012 per violazione degli artt. 2, 3 e 41 della Costituzione.

Si è costituito il Ministero della Giustizia che ha chiesto il rigetto del ricorso.

I ricorrenti hanno depositato una memoria in vista dell’udienza di discussione.

All’udienza del 9 marzo 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’art. 9 della legge n. 247 del 31 dicembre 2012, contenente la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, ha introdotto nell’ordinamento italiano la possibilità per gli avvocati di conseguire il titolo di specialista.

La norma, rubricata “specializzazioni”, così dispone:

1.E’ riconosciuta agli avvocati la possibilità di ottenere e indicare il titolo di specialista secondo modalità che sono stabilite, nel rispetto delle previsioni del presente articolo, con regolamento adottato dal Ministro della giustizia previo parere del CNF, ai sensi dell’articolo 1.

2. Il titolo di specialista si può conseguire all’esito positivo di percorsi formativi almeno biennali o per comprovata esperienza nel settore di specializzazione.

3. I percorsi formativi, le cui modalità di svolgimento sono stabilite dal regolamento di cui al comma 1, sono organizzati presso le facoltà di giurisprudenza, con le quali il CNF e i consigli degli ordini territoriali possono stipulare convenzioni per corsi di alta formazione per il conseguimento del titolo di specialista.All’attuazione del presente comma le università provvedono nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

4. Il conseguimento del titolo di specialista per comprovata esperienza professionale maturata nel settore oggetto di specializzazione è riservato agli avvocati che abbiano maturato un’anzianità di iscrizione all’albo degli avvocati, ininterrottamente e senza sospensioni, di almeno otto anni e che dimostrino di avere esercitato in modo assiduo, prevalente e continuativo attività professionale in uno dei settori di specializzazione negli ultimi cinque anni.

5. L’attribuzione del titolo di specialista sulla base della valutazione della partecipazione ai corsi relativi ai percorsi formativi nonché dei titoli ai fini della valutazione della comprovata esperienza professionale spetta in via esclusiva al CNF.

Il regolamento di cui al comma 1 stabilisce i parametri e i criteri sulla base dei quali valutare l’esercizio assiduo, prevalente e continuativo di attività professionale in uno dei settori di specializzazione.

6. Il titolo di specialista può essere revocato esclusivamente dal CNF nei casi previsti dal regolamento di cui al comma 1.

7. Il conseguimento del titolo di specialista non comporta riserva di attività professionale.

8. Gli avvocati docenti universitari di ruolo in materie giuridiche e coloro che, alla data di entrata in vigore della presente legge, abbiano conseguito titoli specialistici universitari possono indicare il relativo titolo con le opportune specificazioni”.

Il regolamento, adottato dal Ministero della giustizia ai sensi del comma 1, si compone di 16 articoli, solo alcuni dei quali sono oggetto delle censure articolate in gravame, mentre invece, con il secondo motivo di doglianza, è stata prospettata l’illegittimità derivata del regolamento per illegittimità costituzionale dell’art. 9 della legge n. 247/2012 per violazione degli artt. 2, 3 e 41 della Costituzione.

Ai punti 1 e 2 del primo motivo di doglianza, che, per motivi sistematici, vengono esaminati in maniera unitaria, i ricorrenti censurano le previsioni contenute nell’art. 7 del regolamento e concernenti il conferimento del titolo di avvocato specialista a seguito dell’esito positivo di percorsi formativi.

Essi rilevano, in primo luogo, come illegittimamente il regolamento abbia trasformato un titolo di qualificazione professionale in un ben diverso titolo di formazione culturale, non necessariamente rilevante sul piano della specializzazione forense.

Rappresentano poi come, sebbene la norma di legge avesse affidato, in materia, un ruolo centrale alle università, le previsioni regolamentari contenute nell’art. 7 abbiano invece accentrato nel Consiglio nazionale forense e nei Consigli dell’ordine degli avvocati poteri e ruoli non previsti dalla legge.

In particolare, mentre il terzo comma dell’art. 9 della legge prevede la mera facoltà, per le università, di stipulare convenzioni con il Consiglio nazionale forense e con i Consigli dell’ordine degli avvocati, nel regolamento la stipula delle convenzioni diviene obbligatoria, ciò che si evincerebbe dall’utilizzo del termine “stipulano”.

Lamentano ancora il fatto che nel regolamento non vi è alcun riferimento ai corsi di alta formazione, pure menzionati dall’art. 9 della legge.

Quanto all’accentramento di funzioni nelle mani del Consiglio nazionale forense, i ricorrenti rilevano poi come, ai sensi del citato art. 7 del regolamento, questo ha competenze in materia di:

– elaborazione delle linee generali dei corsi per il conseguimento del titolo di avvocato specialista ed individuazione del programma dettagliato dei suddetti corsi;

– organizzazione esecutiva dei corsi, nomina dei docenti e della commissione che valuta le prove finali del corso;

– rilascio e revoca del titolo.

Tale concentrazione di poteri in capo al CNF, che determina una sorta di “esclusiva” nel rilascio dei titoli, violerebbe i principi di cui agli articoli 3 e 41 della Costituzione e agli artt. 56, 101 e 102 TFUE, in quanto idonea a limitare sia la libertà di iniziativa economica nel campo dell’offerta di percorsi formativi tesi al rilascio del titolo, sia i principi in tema di concorrenza.

A sostegno di quanto dedotto, i ricorrenti invocano la sentenza della Corte di Giustizia n. 1/2003, la quale ha ritenuto che un regolamento dell’ordine degli esperti contabili del Portogallo relativo al conseguimento di crediti formativi gestiti dall’ordine stesso integrasse una decisione di un’associazione di imprese e che fosse idonea a falsare o restringere la concorrenza all’interno del mercato comune.

La prospettazione non può essere condivisa.

Osserva, in primo luogo, il collegio come la attribuzione di competenze esclusive al Consiglio nazionale forense dei poteri in tema di conferimento del titolo di avvocato specialista è, in realtà, contenuta nell’art. 9, comma 5, della legge n. 247/2012, rispetto alla quale il regolamento si pone come meramente esecutivo.

La previsione di legge, alla quale andrebbe dunque direttamente riferito il prospettato contrasto con gli invocati principi di libertà di iniziativa economica e di concorrenza, è, tuttavia, sottoposta, ad opera di ulteriori disposizioni contenute nella medesima norma, ad una serie di limiti e condizioni tali da escludere la ritenuta illegittimità.

Viene infatti in rilievo il terzo comma dell’art. 9, che ha stabilito che i percorsi formativi sono organizzati presso le facoltà di giurisprudenza (più correttamente individuate dal regolamento negli attuali dipartimenti), con le quali il Consiglio nazionale forense e i Consigli degli ordini degli avvocati possono stipulare convenzioni.

La previsione garantisce un alto livello culturale dei suddetti percorsi e un tendenziale livellamento degli standard qualitativi dei medesimi sul territorio nazionale ed è idonea ad escludere, già di per sé, la riferibilità al Consiglio nazionale forense della gestione, in proprio, dell’attività di formazione proposta.

Né ad una diretta imputazione al Consiglio nazionale dell’attività di gestione dei corsi può giungersi enfatizzando la circostanza che allo stesso compete, in ogni caso, la valutazione finale in tema di conferimento e che il medesimo partecipi, in qualche modo, al procedimento di costruzione e gestione dei corsi.

Deve piuttosto osservarsi come, proprio a seguito dell’articolazione procedimentale disciplinata in sede regolamentare – e che prevede la partecipazione di rappresentati del Consiglio nazionale forense, unitamente a magistrati e professori, sia alla commissione istituita presso il Ministero della giustizia, che ai comitati scientifico e di gestione – l’iter formativo risulta, non solo dettagliatamente scandito, ma anticipatamente condiviso, con valutazioni di carattere generale, dal Consiglio nazionale medesimo, che non potrà quindi rimettere in discussione il contenuto culturale dei corsi in sede di conferimento dei titoli.

Il censurato “potere esclusivo di conferimento del titolo” finisce, in tal modo, per consistere in null’altro che in una verifica della sussistenza delle condizioni per il conferimento medesimo.

L’esclusiva riserva, di conseguenza, risulta priva di apprezzabili margini di discrezionalità – astrattamente idonei ad alterare la concorrenza tra professionisti – essendo, in sostanza, finalizzata a garantire l’uniformità di valutazione delle competenze corrispondenti al percorso.

Così disciplinata, l’attività di formazione svolta nei percorsi di cui al comma 3 dell’art. 9 della legge n. 247/2012 e all’art. 7 del regolamento non può in alcun modo essere equiparata ad una attività di formazione professionale “fornita” dal Consiglio, al quale sono attribuiti, come visto, solo compiti consultivi, a monte, e di certificazione vincolata, a valle; in modo tale che il sistema risultante dalla legge e dal regolamento integra una fattispecie del tutto eterogenea rispetto a quella oggetto del precedente della Corte di giustizia invocato dalla ricorrente (nella quale il Consiglio dell’ordine offriva esso stesso l’attività formativa finalizzata all’acquisizione di crediti).

Al punto 3 del primo motivo, i ricorrenti hanno poi sostenuto che il regolamento abbia individuato in maniera irrazionale e incongruente l’elenco delle materie nelle quali è possibile conseguire il titolo di specialista, rappresentando come in alcuni campi vi sarebbe una notevole segmentazione di una sola materia (diritto civile) in piccoli settori, mentre per altre materie (diritto amministrativo e diritto penale) non vi sarebbe analoga possibilità di specializzazione.

L’elenco, inoltre, sarebbe carente nella parte in cui non prevede materie a cui sono dedicate intere sezioni dei tribunali.

La doglianza è fondata.

Né dalla mera lettura dell’elenco, né dalla relazione illustrativa del Ministero è dato, infatti, cogliere quale sia il principio logico che ha presieduto alla scelta delle diciotto materie.

Ed infatti non risulta rispettato né un criterio codicistico, né un criterio di riferimento alle competenze dei vari organi giurisdizionali esistenti nell’ordinamento, né infine un criterio di coincidenza con i possibili insegnamenti universitari, più numerosi di quelli individuati dal decreto.

L’incompletezza dell’elenco era stata già rilevata dal Consiglio di Stato che si è pronunciato in sede consultiva sullo schema di regolamento, con rilievo al quale il Ministero si è adeguato in maniera parziale.

Piuttosto sembra che si sia attinto, solo per frammenti, a ciascuno di tali criteri, senza che tuttavia emerga un unitario filo logico di selezione.

Considerata la delicatezza della disciplina posta e la necessaria funzionalizzazione della normazione secondaria alla perseguita finalità di rendere il mercato delle prestazioni legali più leggibile per i consumatori, non è dunque possibile condividere l’argomentazione difensiva spesa dall’amministrazione, secondo cui la censura impingerebbe in una valutazione di merito riservata all’amministrazione.

Ed infatti, anche le valutazioni e le scelte rimesse all’attività regolamentare non possono sottrarsi al rispetto dei principi di intrinseca ragionevolezza e di adeguatezza rispetto allo scopo perseguito.

L’art. 3 del regolamento deve essere, di conseguenza, annullato in parte qua.

Medesima condivisione per la prospettazione dei ricorrenti si impone con riferimento alle argomentazioni spese al punto 4 del primo motivo di ricorso e con le quali gli stessi hanno contestato la previsione regolamentare, contenuta nell’art. 6 del d.m. in esame, in forza della quale l’avvocato che voglia conseguire il titolo di specialista sulla base della comprovata esperienza professionale deve sostenere un colloquio sulle materie comprese nel settore di specializzazione dinanzi al Consiglio nazionale forense.

L’accoglimento della doglianza non può essere determinato dalla censurata commistione tra le due tipologie di procedimento che consentono il conseguimento del titolo (percorso formativo e comprovata esperienza) o dalla rilevata assenza di puntuale previsione nella norma primaria, ma va correlato, come pure correttamente dedotto dai ricorrenti, alla intrinseca irragionevolezza della norma per genericità, non avendo la disposizione regolamentare chiarito alcunché in ordine al contenuto del colloquio e alle modalità di svolgimento dello stesso.

L’assenza di specificazioni e di definizioni puntuali è dunque tale da conferire al Consiglio nazionale forense una latissima discrezionalità operativa, che, oltre ad essere foriera di confusione interpretativa e distorsioni applicative (con ricadute anche in punto di concorrenza tra gli avvocati), si pone in assoluta contraddizione con la funzione stessa del regolamento in esame, che, ai sensi dell’art. 9 della legge, è quella di individuare un procedimento di conferimento definito in maniera precisa e dettagliata, a tutela dei consumatori utenti e degli stessi professionisti che intendano conseguire il titolo.

In parte qua, di conseguenza, va annullato l’art. 6 del regolamento.

Non può essere invece condivisa la censura articolata, al punto 5 del primo motivo di ricorso, avverso la previsione regolamentare che àncora il requisito della comprovata esperienza maturata esclusivamente al criterio del numero di incarichi professionali trattati per anno, il quale, nella ricostruzione delle parti, risulterebbe insufficiente ad “integrare i criteri indicati dalla disposizione normativa”, tanto più che proprio l’idea di un numero identico di affari sarebbe illogica con riferimento alla profonda differenza dei campi nei quali la specializzazione può essere conseguita.

Rileva, per contro, il collegio come il numero di incarichi richiesti ( peraltro rideterminato in un numero significativamente più basso di quello originariamente individuato a seguito dei rilievi mossi sia dalle commissioni parlamentari che dal Consiglio di Stato in sede consultiva), appare in sé ragionevole, atteso che si tratta di una soglia minima sicuramente accessibile da parte di chi svolga effettivamente in maniera specialistica una specifica attività professionale, così che deve ritenersi che il Ministero abbia correttamente effettuato, sul punto, la sottesa valutazione di merito.

Può dunque passarsi all’esame delle doglianze articolate al punto 6, con le quali i ricorrenti hanno censurato la previsione, contenuta nell’art. 10 del regolamento, nella parte in cui attribuisce al Consiglio nazionale forense e ai Consigli dell’ordine degli avvocati il compito di organizzare e gestire l’aggiornamento professionale d’intesa con le associazioni forensi specialistiche maggiormente rappresentative di cui all’art. 35, comma 1, lettera s, della legge n. 247/2012, ciò che il regolamento avrebbe fatto in assenza di apposita previsione nel corpo normativo di rango primario.

Inoltre, la previsione della possibilità per il CNF di concludere intese esclusivamente con le suddette associazioni limiterebbe ed escluderebbe la libertà degli operatori di organizzare e gestire i corsi di aggiornamento professionale specialistico nella maniera ritenuta idonea e rispondente allo scopo, in ciò violando le prescrizioni costituzionali e comunitarie in materia di libertà di iniziativa economica.

L’alterazione degli equilibri concorrenziali sarebbe ancora più evidente alla luce del fatto che, ai sensi dell’art. 35 della legge n. 247/2012 e del successivo regolamento di attuazione del CNF dell’11 aprile 2013, al Consiglio è attribuita in via esclusiva la gestione dell’elenco delle associazioni forensi maggiormente rappresentative.

Il motivo è infondato.

Ed infatti il censurato articolo 10 si limita a stabilire, al comma 1, che il Consiglio nazionale forense e i consigli dell’ordine, d’intesa con le associazioni forensi maggiormente rappresentative, “promuovono” l’organizzazione di corsi di formazione continua nelle materie specialistiche, precisando poi, al comma 2, che ai fini del mantenimento del titolo di specialista l’avvocato deve dimostrare di avere partecipato in modo proficuo e continuativo “a scuole o corsi di alta formazione nello specifico settore di specializzazione per un numero di crediti non inferiore a 75 nel triennio di riferimento e, comunque, a 25 per ciascun anno”.

Il tenore letterale della disposizione, diversamente da quanto prospettato in ricorso, è tale da non creare alcuna riserva esclusiva, in materia di organizzazione dei corsi, in capo al Consiglio nazionale e ai consigli dell’ordine, ai quali è riservato un mero ruolo di promozione.

Resta poi ferma, ai sensi del secondo comma e alla luce di una necessaria interpretazione della norma regolamentare in senso conforme ai principi costituzionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa economica e di concorrenza, la possibilità per altri operatori economici (siano essi scuole o enti promotori di corsi di alta formazione) di proporre ulteriori corsi, dei quali provvederanno a chiedere l’accreditamento secondo le regole generali in materia di crediti formativi.

Va poi respinta la censura, articolata al punto 7 del primo motivo di ricorso, con la quale si è contestato l’art. 10 del regolamento sotto il diverso profilo dell’avere ancorato, irragionevolmente ed ingiustificatamente, il mantenimento del titolo di specialista ai soli titoli culturali, sganciati dall’attività pratica.

L’affermazione, infatti, non trova riscontro nella lettera del testo regolamentare, atteso che il successivo art. 11 ha previsto il mantenimento del titolo anche a mezzo dell’esercizio continuativo della professione nel settore di specializzazione.

Da ultimo, va esaminata la censura articolata al punto 8 del primo motivo di ricorso, con la quale i ricorrenti hanno contestato l’art. 14 del d.m., contenente le disposizioni transitorie, sia nella parte in cui ha limitato il riconoscimento dei titoli pregressi solo a quelli conseguiti negli ultimi cinque anni (ciò che sarebbe stato fatto in assenza di corrispondente previsione normativa), sia nella parte in cui tratta in maniera più favorevole coloro che hanno conseguito i titoli di specializzazione nel quinquennio rispetto a coloro che lo conseguiranno secondo la nuova disciplina, atteso che ai primi il titolo di specialista è attribuito in assenza di ulteriori adempimenti e senza valutazione dell’effettivo svolgimento della professione.

La prospettazione non può essere condivisa.

Come emerge dalla lettura dell’art. 9 della legge n. 247/2012 e dell’intero regolamento, il titolo di avvocato specialista è stato introdotto come titolo meramente facoltativo, che non attribuisce riserva di esercizio di una determinata attività difensiva, e con uno spiccato tratto di “attualità”, dovendo le stesso fornire agli utenti una indicazione effettiva su una specifica e sussistente competenza dell’avvocato.

In tale ottica sono stati previsti requisiti per l’accesso al titolo decisamente meno stringenti di quelli previsti per l’accesso alle specializzazioni universitarie previste per differenti attività professionali (si pensi in particolare alle specializzazioni mediche, che prevedono un numero predeterminato di specializzandi, i quali devono superare un esame di ammissione), ma giustifica, di conseguenza, una verifica costante del mantenimento del livello di specializzazione.

La particolare qualificazione che il titolo conseguito nel quinquennio deve avere per conservare effetto, fa sì che neppure sussista la lamentata disparità di trattamento con coloro che conseguiranno i titoli di specializzazione secondo la nuova disciplina.

Da ultimo va respinto il secondo motivo di doglianza, con il quale i ricorrenti hanno sostenuto l’illegittimità derivata del regolamento per illegittimità costituzionale dell’art. 9 della legge n. 247/2012 per violazione degli artt. 2, 3 e 41 della Costituzione, alla luce di quanto sopra osservato circa la non riferibilità al Consiglio nazionale dell’attività economica di offerta di corsi formativi finalizzati all’ottenimento del titolo di specialista.

Le spese di lite possono essere compensate in ragione della reciproca soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla le previsioni contenute nell’art. 3, comma 1, del regolamento impugnato, dalla lettera a) alla lettera t) e le previsioni di cui all’6, comma 4, del medesimo regolamento.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Giulia Ferrari, Consigliere

Roberta Cicchese, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/04/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Giurdanella.it.

Possesso requisiti di partecipazione: perentorio il termine per inviare l’attestazione

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requisiti

Il Tar Lazio con la sentenza n. 4967 del 2 maggio 2016 ha affermato che sono perentori  i termini indicati dalla Stazione appaltante per inviare la documentazione attestante il possesso dei requisiti di partecipazione, in considerazione delle esigenze di certezza e celerità della procedura ad evidenza pubblica.

Al riguardo,il Tar Lazio evidenzia che  l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con decisione del 25 febbraio 2014 n. 10, ha affermato la perentorietà dei termini di dieci giorni previsti dai commi 1 e 2, dell’articolo 48, del d.lgs. n. 163/2006, entro i quali gli operatori economici sorteggiati, l’aggiudicatario ed il concorrente che lo segue in graduatoria, devono presentare la documentazione a comprova dei requisiti, salva l’oggettiva impossibilità della produzione della documentazione.

Sul punto inoltre con la citata decisone dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 10/2014 è stato precisato che «la presentazione della documentazione comprovante il possesso dei requisiti deve avvenire, da parte dell’aggiudicatario e del secondo classificato, entro un termine perentorio …., questo termine è lo stesso, di dieci giorni dalla data della richiesta, previsto nel primo comma dell’articolo, non essendovi motivo per ritenere che le disposizioni dei due commi, fondate sulla stessa ratio e coordinate con il rinvio del secondo al primo, si differenzino poi per la durata del periodo fissato per l’adempimento, non emergendo alcuna specificità in tal senso nel comma secondo, attinente anzi, come detto, ad una fase del procedimento che ha raggiunto il proprio esito e tanto più, quindi, deve essere informata ad esigenze di celerità». Pertanto, viene in rilievo «un adempimento essenziale per la definizione del procedimento in connessione con il suo scopo poiché, se la verifica è positiva, viene stipulato il contratto, se manca, si procede al ricalcolo della soglia di anomalia e all’eventuale nuova aggiudicazione, con effetto determinante, in entrambi i casi, per la conclusione efficace della procedura».

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

N. 04967/2016 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11704 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da Food Service Srl, Soc. Sapori Catering Srl, rappresentati e difesi dagli avv. John Riccardo Paladini, Valeria Pecorone, con domicilio eletto presso John Riccardo Paladini in Roma, Via Premuda, 3;

contro

Regione Lazio, rappresentata e difesa dall’avv. Stefania Ricci, domiciliata in Roma, Via Marcantonio Colonna, 27;

nei confronti di

Bar Banqueting Srl;

per l’annullamento

previa adozione di misure cautelari,

del provvedimento del 04/09/2015 protocollo n. 472140 (doc. 1) con il quale la Regione Lazio comunicava alla Capogruppo Food Service S.r.l. ed alla mandante Sapori Catering S.r.l. la “decadenza dalla gara” “Concessione del servizio di bar e tavola calda/fredda nella sede Regione Lazio, Via Rosa Raimondi Garibaldi n. 7 – Roma CIG 6084877758” e di ogni atto successivo e consequenziale, con conseguente declaratoria di inefficacia del contratto eventualmente stipulato nelle more, e per la condanna dell’Ente intimato a risarcire il danno cagionato alle ricorrenti in forma specifica, mediante l’aggiudicazione nei confronti delle medesime società all’affidamento della concessione e subentro nell’esecuzione del contratto eventualmente già stipulato, proponendosi sin da ora la subordinata richiesta di risarcimento per equivalente monetario nella misura che sarà determinata in corso di causa (atti impugnati con il ricorso introduttivo del giudizio); in parte qua, della determinazione n. G12511 del 19 ottobre 2015 con la quale la Regione Lazio – Risorse Umane e Sistemi Informativi, dichiarava l’esclusione per decadenza dalla gara dell’ATI: Food Service s.r.l. – Sapori Catering; procedeva all’escussione della cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all’A.N.A.C. per l’ATI Food Service s.r.l. – Sapori Catering s.r.l.; procedeva allo scorrimento della graduatoria determinando seconda in graduatoria la Società Lorystoro S.r.l.; aggiudicava definitivamente il servizio in questione alla Società Bar Banqueting S.r.l., limitatamente alla parte in cui viene data attuazione alle sanzioni comminate dalla Regione Lazio nei confronti delle Società ricorrenti (atti impugnati con motivi aggiunti); oltre al risarcimento dei danni.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 aprile 2016 il dott. Roberto Proietti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso introduttivo del giudizio la parte ricorrente ha impugnato gli atti indicati in epigrafe, deducendo censure attinenti violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili, ed evidenziando quanto segue.

Nell’ambito della procedura di gara indetta dalla Regione Lazio per la “Concessione del servizio di bar e tavola calda/fredda nella sede Regione Lazio, Via Rosa Raimondi Garibaldi n. 7”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea in data 12/03/2015, alla quale le due Società ricorrenti avevano partecipato come capogruppo e mandataria della costituenda ATI, l’Ente committente, con nota del 10/08/2015, prot. n. 437970, comunicava alla Ditta “Bar Banqueting” S.r.l. l’aggiudicazione provvisoria della gara di cui all’oggetto, comunicando altresì il “collocamento” al secondo posto, della predetta graduatoria, alla Food Service S.r.l., capogruppo della costituenda ATI con la Sapori Catering S.r.l.

La stazione appaltante, in asserita applicazione dell’art. 48, comma 2, del D. Lgs. 163/2006, provvedeva a richiedere, soltanto alla seconda aggiudicataria, la verifica del possesso dei requisiti comprovanti la capacità tecnica professionale mediante la produzione di un elenco dei servizi prestati negli ultimi tre anni per un importo complessivo di €. 800.000,00, fissando all’uopo, in maniera del tutto arbitraria, un termine di dieci giorni per il deposito della documentazione.

La stessa documentazione non veniva richiesta alla aggiudicataria in quanto quest’ultima era già risultata sorteggiata nella fase iniziale della gara, talché aveva già ottemperato alla dimostrazione dei requisiti richiesti.

La Food Service S.r.l. afferma di aver provveduto a trasmettere, tramite il caricamento nel sistema AVCpass, copia dei bilanci degli ultimi tre anni e documentazione comprovante l’esecuzione di contratti con varie amministrazioni pubbliche e private, a dimostrazione della propria capacità economica-professionale.

La Sapori Catering S.r.l., invece, riscontrava un problema nel caricamento della documentazione nel sistema AVCpass, il quale rifiutava di accettare la documentazione caricata dalla Sapori Catering S.r.l. segnalando un “termine scaduto” (a conferma di ciò, parte ricorrente ha depositato copia della “schermata” del “cruscotto gestione PASSoe” relativo all’utenza della Sapori Catering S.r.l.: doc. 2).

Sapori Catering S.r.l., affermando di non aver avuto la possibilità di caricare la documentazione richiesta dalla committente nel sistema AVCpass, ha rappresentato di aver provveduto ad inviare alla Regione Lazio la documentazione attestante il possesso della capacità tecnica professionale a mezzo raccomandata spedita il 23/08/2015 (cfr. doc. 3 di parte ricorrente), chiedendo l’acquisizione dei documenti che erano stati richiesti.

Con nota del 04/09/2015, protocollo n. 472140, la Regione Lazio comunicava alla ATI Capogruppo Food Service S.r.l. ed alla mandante Sapori Catering S.r.l., la “decadenza dalla gara, ai sensi dell’art. 48 del D. Lgs. 163/2006, nonché la comunicazione che la cauzione provvisoria sarebbe stata escussa e che il fatto sarebbe stato segnalato all’AVCP (ora A.N.A.C.)” per non avere dette imprese rispettato il termini di dieci giorni “stabilito” dall’Amministrazione per il deposito della documentazione richiesta.

Avverso il provvedimento di “decadenza dalla gara”, comunicato in data 04/09/2015, la Food Service S.r.l. presentava alla Regione Lazio apposita istanza di riesame e di rettifica “in autotutela” della decisione adottata, mediante la notifica di “comunicazione di preavviso di ricorso” ex art. 243 bis del Codice degli appalti.

Ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni assunte dall’Amministrazione, la parte ricorrente le ha impugnate dinanzi al TAR del Lazio, avanzando le domande indicate in epigrafe e deducendo le seguenti censure: violazione dei principi ordinamentali di buon andamento, imparzialità, proporzionalità e ragionevolezza (art. 3 e 97 Cost.); violazione e/o falsa applicazione di legge, con particolare riferimento all’art. 48, comma 1 e 2, del D. Lgs. 163/2006 e dell’art. 6 comma 11 del D. Lgs. 163/2006; eccesso di potere per errore sui presupposti di fatto e diritto, per erronea valutazione dei fatti.

Parte ricorrente afferma, anzitutto, che il termine di cui al secondo comma dell’articolo 48 del D.lgs. n. 163/2006, non avrebbe natura perentoria e, quindi, il non aver inviato entro dieci giorni la documentazione richiesta formulata in data 10/08/2015, non avrebbe dovuto comportare né la decadenza dalla procedura di gara, né l’escussione della cauzione provvisoria e la segnalazione all’AVCP (poi, A.N.A.C.).

In sostanza, agendo in questo modo, la Stazione appaltante avrebbe violato l’art. 48, comma 2, del D. Lgs. 163/2006, e l’art. 6, comma 11, del medesimo codice dei contratti pubblici, oltre che i principi costituzionali di imparzialità ed eguaglianza di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Peraltro, nella fattispecie, entrambe le Società facenti parte della costituenda ATI hanno adempiuto a quanto richiesto dalla Stazione appaltante, dando prova del possesso dei propri requisiti economici e professionali.

Food Service S.r.l. ha caricato i propri documenti nel Sistema AVCpass in quanto al momento del caricamento il sistema ha accettato il deposito eseguito mentre, Sapori Catering S.r.l. sarebbe vista preclusa la possibilità di caricare i documenti nel sistema AVCpass perché il sistema ha ritenuto “scaduta” la richiesta e non ha accettato il deposito.

Tuttavia, secondo parte ricorrente, il sistema non avrebbe potuto rifiutare il deposito della documentazione perché la richiesta non era scaduta essendo il termine in questione non perentorio.

Tra l’altro, nel sistema AVCpass la scadenza della richiesta del 20/08/2015 è indicata richiamando non già l’art. 48 comma 2 del codice di contratti pubblici ma, l’art. 42, comma 1, lettera a), che viene richiamato nel citato articolo 48 relativamente ai controlli che devono essere effettuati nella fase iniziale della gara.

Oltre a quanto sopra, la parte ricorrente ha affermato che nella fattispecie non sarebbero applicabili le sanzioni (esclusione dalla gara, escussione della cauzione e segnalazione del fatto all’autorità) previste dall’art. 48, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006, in quanto avuto riguardo alla natura non perentoria del richiamato termine di cui all’articolo 48, comma 2, del codice dei contratti pubblici, non si sarebbe verificata l’ipotesi normativamente descritta riguardante il caso “in cui essi (l’aggiudicatario ed il concorrente che segue in graduatoria) non forniscano la prova o non confermino le loro dichiarazioni si applicano le suddette sanzioni”.

Infatti, tali sanzioni si applicano solo in caso di mancata prova o mancata conferma delle dichiarazioni rese in sede di presentazione dell’offerta ma, nel caso di specie, la costituenda ATI con capogruppo Food Service S.r.l. non ha omesso di fornire la prova dei requisiti, né è emerso che le dichiarazioni rese erano inesatte o non veritiere, posto che entrambe le Società hanno fornito alla Stazione appaltante quanto richiesto.

Peraltro, la Regione Lazio, con il provvedimento impugnato, non ha dichiarato “l’esclusione” dalla gara ma, la “decadenza dalla gara”, omettendo di considerare che le ricorrenti non si erano aggiudicate la procedura ad evidenza pubblica.

In sostanza, secondo parte ricorrente, la Regione Lazio non avrebbe potuto applicare l’esclusione (in quanto non prevista dalla legge), né dichiarare la decadenza (prevista dal bando solo per l’aggiudicataria).

Oltre alla domanda di annullamento, la parte ricorrente ha avanzato domanda di risarcimento danni, affermando che i provvedimenti impugnati hanno comportato effetti pregiudizievoli matrimonialmente valutabili in relazione all’escussione della cauzione, resa mediante fideiussione assicurativa, ed alla segnalazione all’AVCP (ora ANAC).

Pertanto, dopo aver chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato, parte ricorrente ha chiesto il ristoro dei danni nel seguente modo: in via preliminare, disponendo l’annullamento del provvedimento di decadenza dalla gara, con conseguente riapertura della graduatoria ed eventuale revoca dell’aggiudicazione definitiva qualora già dichiarata; in via subordinata, in caso di annullamento dell’intera procedura di gara, il risarcimento delle spese sopportate per la partecipazione alla predetta gara (progetti redatti dall’architetto, documentazione, rilievi, costi della fideiussione, ecc.) il tutto da determinare in separato giudizio, unitamente alle spese del presente giudizio.

Con memoria recante motivi aggiunti notificata il 13.11.2015, parte ricorrente ha impugnato, in parte qua, limitatamente alla parte in cui viene data attuazione alle sanzioni comminate dalla Regione Lazio nei confronti delle Società ricorrenti, la determinazione n. G12511 del 19 ottobre 2015 con la quale la Regione Lazio – Risorse Umane e Sistemi Informativi, ha dichiarato l’esclusione per decadenza dalla gara dell’ATI Food Service s.r.l. – Sapori Catering; ha proceduto all’escussione della cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all’A.N.A.C. per l’ATI Food Service s.r.l. – Sapori Catering s.r.l.; ha proceduto allo scorrimento della graduatoria determinando seconda in graduatoria la Società Lorystoro S.r.l.; ha aggiudicato definitivamente il servizio in questione alla Società Bar Banqueting S.r.l..

La Regione Lazio, costituitasi in giudizio, ha affermato l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.

A sostegno delle proprie ragioni, l’Amministrazione ha prodotto note, memorie e documenti per sostenere la correttezza del proprio operato e l’infondatezza delle censure proposte dalla parte ricorrente.

Con ordinanza n. 5519/2015, la domanda cautelare proposta dalla ricorrente è stata respinta.

Con successive memorie le parti hanno argomentato ulteriormente le rispettive difese.

All’udienza del 5 aprile 2016 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO

1. Il Collegio ritiene che le censure di parte ricorrente siano infondate e debbano essere respinte.

Dagli atti di causa emerge che con Determinazione n. G02534 del 12.03.15 la Regione Lazio ha avviato una procedura aperta per la concessione del servizio bar e tavola calda/fredda nella sede di Via R. Raimondi Garibaldi, da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi dell’art.83 del D. Lgs. n.163/06.

Il bando di gara è stato pubblicato su GUUE del 12 marzo 2015, GURI – V Serie Speciale – Contratti Pubblici n. 33 del 18 marzo 2015, su giornali quotidiani, nonché sul sito istituzionale dell’Ente sezione “Bandi di gara”.

Entro il termine fissato del 21 aprile 2015 sono pervenute 8 offerte tra cui quella dell’ATI Food Service srl -Sapori Catering e Bar Banqueting srl.

All’esito delle valutazioni della Commissione giudicatrice nominata con determinazione n. G04894 del 23.04.15, è risultata aggiudicataria provvisoria la Società Bar Banqueting srl, e seconda classificata l’ATI Food Service srl – Sapori Catering srl.

Con nota prot. 437970 del 10.08.15, l’aggiudicazione provvisoria è stata comunicata agli operatori economici interessati, evidenziando che la stessa sarebbe divenuta definitiva (ex art. 11, comma 8, del D.Lgs. n. 163/2006) a seguito della positiva verifica del possesso di tutti i prescritti requisiti autocertificati, verifica da effettuare solo nei confronti della seconda classificata, ai sensi dell’art. 48, comma 2, del codice dei contratti pubblici, poiché la prima classificata era stata già controllata in fase di gara, a seguito di sorteggio.

Quindi, con la citata nota del 10.08.15, è stato richiesto all’ATI Food Service srl – Sapori Catering srl. (seconda classificata) di fornire entro 10 giorni dalla data della nota stessa la documentazione attestante il possesso del requisito della capacità tecnico-professionale fornendo l’elenco dei principali servizi prestati negli ultimi tre anni (2012-2013-2014), per un importo complessivo di € 800.000,00, inserendola nel sistema AVCpass.

Entro il termine indicato (20/08/2015) solo la capogruppo Food Service srl, ha presentato la documentazione, caricandola in data 19.08.15 nell’AVCpass, mentre la mandante Sapori Catering s.r.l. non risulta aver provveduto ad inserire alcun documento.

Con nota pervenuta il 26/08/2015, Sapori Catering s.r.l. ha dichiarato di aver “generato file con firma certificata il 12/08/2015 e caricato

su libreria AVCP” e di aver commesso un errore di caricamento, pertanto ha allegato i documenti in formato cartaceo (cfr. doc. 3 di parte resistente).

Con nota prot. n. 472140 del 04.09.2015, la Stazione appaltante, preso atto che non si era provveduto, nei termini stabiliti, a inserire i suddetti documenti nel Sistema AVCpass, ha comunicato a Sapori Catering s.r.l. la decadenza con relativa esclusione dalla gara.

Successivamente, con determinazione n. G12511 del 19.10.15, sono stati la gara è stata aggiudicata definitivamente a Società Bar Banqueting srl.

2. Premesso quanto sopra, va rilevati che le Società ricorrenti contestano la perentorietà del termine indicato dalla Stazione appaltante per inviare la documentazione attestante il possesso dei requisiti di partecipazione, affermando che l’art. 48, comma 2, del codice dei contratti pubblici non recherebbe alcun termine per l’invio della documentazione ma solo per la richiesta della stessa.

Il Collegio ritiene errato quanto affermato da parte ricorrente, osservando che il termine in questione è da considerare perentorio in considerazione delle esigenze di certezza e celerità della procedura ad evidenza pubblica.

Al riguardo, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con decisione del 25 febbraio 2014 n. 10, ha affermato la perentorietà dei termini di dieci giorni previsti dai commi 1 e 2, dell’articolo 48, del d.lgs. n. 163/2006, entro i quali gli operatori economici sorteggiati, l’aggiudicatario ed il concorrente che lo segue in graduatoria, devono presentare la documentazione a comprova dei requisiti, salva l’oggettiva impossibilità della produzione della documentazione.

Ne consegue (come correttamente rilevato dall’Amministrazione regionale resistente) che, nel caso di specie, anche se Sapori Catering Srl (con nota del 26/08/2015) ha inviato i documenti richiesti in formato cartaceo ed ha chiesto, in caso di mancata accettazione degli stessi, di fare “nuova richiesta su AVCP…” , che ragionevolmente la Stazione appaltante non ha accolto tale richiesta in quanto il termine di 10 giorni era scaduto e, quindi, ha deciso di garantire la par condicio e la celerità del procedimento.

Sul punto, con la citata decisone dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 10/2014 è stato precisato che «la presentazione della documentazione comprovante il possesso dei requisiti deve avvenire, da parte dell’aggiudicatario e del secondo classificato, entro un termine perentorio …., questo termine è lo stesso, di dieci giorni dalla data della richiesta, previsto nel primo comma dell’articolo, non essendovi motivo per ritenere che le disposizioni dei due commi, fondate sulla stessa ratio e coordinate con il rinvio del secondo al primo, si differenzino poi per la durata del periodo fissato per l’adempimento, non emergendo alcuna specificità in tal senso nel comma secondo, attinente anzi, come detto, ad una fase del procedimento che ha raggiunto il proprio esito e tanto più, quindi, deve essere informata ad esigenze di celerità». Pertanto, viene in rilievo «un adempimento essenziale per la definizione del procedimento in connessione con il suo scopo poiché, se la verifica è positiva, viene stipulato il contratto, se manca, si procede al ricalcolo della soglia di anomalia e all’eventuale nuova aggiudicazione, con effetto determinante, in entrambi i casi, per la conclusione efficace della procedura».

3. Va respinta anche la censura con la quale le Società ricorrenti contestano l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 48 del codice dei contratti pubblici, considerato che il secondo comma dell’articolo 48 del D. Lgs. n. 163/2006 rinvio al primo comma del medesimo articolo, specificando che si applicano le sanzioni ivi previste qualora non venga fornita la prova del possesso dei requisiti o non siano confermate le dichiarazioni rese in sede di offerta.

Alla luce di tale disciplina, correttamente la Stazione appaltante, non avendo ricevuto nei termini previsti la documentazione attraverso gli strumenti informatici indicati nella lex specialis, ha adottato gli atti impugnati, tra l’altro, comunicando l’escussione della cauzione provvisoria e segnalando il fatto all’Autorità.

Riguardo al fatto che la richiesta della Stazione appaltante abbia riguardato l’operatore economico collocatosi secondo in graduatoria, va rilevato che trattasi di un concorrente che deve essere pronto a subentrare nell’affidamento in caso di rinuncia o impossibilità da parte del primo classificato.

Ciò, pur a voler prescindere dal fatto che le offerte ritenute valide sono considerate ai fini del calcolo della soglia di anomalia e, quindi, la verifica in questione rileva anche sotto questo profilo.

In sostanza, il comportamento del concorrente assume rilevo sotto diversi aspetti e, quindi, con la previsione dell’escussione della cauzione e della segnalazione all’Autorità, si responsabilizzano i partecipanti in ordine alle dichiarazioni rese al fine di garantire la serietà e l’affidabilità dell’offerta.

Per tale ragione, l’escussione della cauzione e la comunicazione del fatto all’A.N.AC. costituiscono una conseguenza della violazione dell’obbligo di diligenza gravante sull’offerente, tenuto conto che gli operatori economici, con la domanda di partecipazione e al momento della partecipazione alla gara, si impegnano ad osservare le regole della procedura ad evidenza pubblica.

Riguardo all’escussione della cauzione ed alla comunicazione all’A.N.A.C. per mancata presentazione della documentazione di cui all’art. 48 del d.lgs. n. 153/2006, l’Autorità si è pronunciata con la Determinazione n, 1 del 15 gennaio 2014, rilevando che “il potere sanzionatorio della stagione appaltante si esplica attraverso l’esclusione dalla gara e l’escussione della cauzione, ed è esercitato non solo in caso di mancata conferma delle dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell’offerta ma anche “quando tale prova non sia fornita”, e cioè sia in caso di omissione o di rifiuto, come anche in caso di ritardo rispetto al termine perentorio di dieci giorni. Si tratta di sanzioni che la stazione appaltante applica in modo automatico, indipendentemente dall’effettivo possesso o meno dei requisiti dichiarati dall’operatore economico, essendo l’esclusione e l’incameramento della cauzione volti a sanzionare il comportamento inadempiente dell’operatore economico nel partecipare a quella specifica gara”. In sostanza, deve essere colpito “il comportamento scorretto del singolo operatore in ragione dell’interesse di portata generale a che nel settore degli appalti pubblici agiscano soggetti non solo idonei ma anche rispettosi delle regole previste dalle stazioni appaltanti per l’aggiudicazione delle procedure di appalto, a prescindere dalla singola procedura selettiva nel cui ambito si sono verificate le irregolarità in concreto rilevate”.

Secondo l’Autorità, il decorso del termine di cui all’art. 48, del D.Lgs. n. 163/2006, senza che l’impresa abbia fatto pervenire alla stazione appaltante la necessaria documentazione, implica l’automatico effetto dell’esclusione dalla gara, non potendo assumere rilievo l’effettivo possesso dei requisiti ovvero la produzione tardiva delle certificazioni mancanti. Infatti, considerata la natura perentoria del termine, l’eventuale documentazione presentata dopo il suo inutile decorso deve essere considerata come non prodotta, in quanto in presenza di un termine perentorio il mero ritardo è equiparato all’inadempimento definitivo (parere AVCP n. 40 del 21.03.2012).

4. L’infondatezza della domanda di annullamento comporta il rigetto della domanda di risarcimento danni.

5. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.

6. Le spese seguono la soccombenza, nella misura liquidata nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– lo respinge;

– condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Amministrazione resistente, che si liquidano in complessivi 2.500,00 (duemilacinquecento/00) euro, compresi gli onorari di causa;

– ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:

Germana Panzironi, Presidente

Roberto Proietti, Consigliere, Estensore

Alessandro Tomassetti, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 02/05/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Giurdanella.it.

Illegittimo affidare un servizio a tempo indeterminato ad una società mista

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L’affidamento di un servizio ad una società mista è ammissibile a condizione che si sia svolta una unica gara per la scelta del socio e l’individuazione del determinato servizio da svolgere, delimitato in sede di gara sia temporalmente che con riferimento all’oggetto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 30 settembre 2010, n. Sez. VI, 16 marzo 2009, n. 1555 e Corte Giustizia, sez. III, 15 ottobre 2009, C-196/08, Acoset)”

Tuttavia, nel caso oggetto della sentenza TAR Lazio, sez. II bis, 1/6/2016 n. 6457, la procedura di gara per la scelta del socio non indicava la durata dell’affidamento del servizio e neanche della partecipazione del socio privato alla società.

Era prevista una durata dell’affidamento del servizio di circa 50 anni (dal 2003 al 2050) prorogabile sine die attraverso una modifica allo statuto della società.

Tale durata, sostanzialmente indeterminata, appare in contrasto con la normativa vigente in materia di servizi pubblici, di contratti pubblici e con il principio della concorrenza.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

N. 06457/2016 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2365 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Soc Galatour Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Enrico Vitali, Andrea Ruffini, con domicilio eletto presso Andrea Ruffini in Roma, piazza della Liberta’, 20;

contro

Comune di Cerveteri, rappresentato e difeso dall’avv. Valerio Morini, con domicilio eletto presso Valerio Morini in Roma, viale delle Milizie, 1;

nei confronti di

Soc Multiservizi Caerite Spa, Soc Trasporti Caerite Scarl;

per l’annullamento dei seguenti atti :

la deliberazione n. 43/14avente ad oggetto : servizio di trasporto scolastico. Recessione del contratto di servizio per il trasporto di alunni; della deliberazione GC di Cerveteri n. 135/2014; delibera CC del19.1.2015; delibera CC n. 3/2015; delibera GC n. 36/2015;

e degli atti impugnati con motivi aggiunti :

la delibera C.C. n. 3 del 19 gennaio 2015 trasmessa in data 26.2.2015.

la delibera G.C. n. 36/2015 con allegato piano operativo di razionalizzazione;

la deliberazione G.C. n. 93/2015 con la quale il Comune di Cerveteri, ritenendo sussistere ragioni di urgenza, ha deliberato di “assicurare fino all’inizio delle vacanze estive (natalizie) previste per il 23.12.2015 il servizio di trasporto scolastico attraverso la definizione di procedure negoziate in attesa della definizione della gara ad evidenza pubblica comunitaria o comunque per il minor termine necessario alla conclusione delle procedure per il nuovo affidamento”; la lettera di invito per la procedura negoziata per l’affidamento del trasporto scolastico per il periodo 15.9.2015-23.12.2015 inviata dal Comune alla ricorrente il 10.7.2015; il disciplinare di gara; la successiva lettera di invito del 23.7.2015 inviata dal Comune di Cerveteri alla Galatour in data 23.7.2015; nonché il disciplinare e capitolato integrati e modificati; la delibera C.C. n. 2 del 19.1.2015 con cui il Comune ha approvato il regolamento per l’esecuzione del servizio di trasporto scolastico.

il provvedimento di aggiudicazione definitiva relativo alla “procedura negoziata avente ad oggetto l’affidamento del servizio di trasporto scolastico delle scuole medie, elementari, e materne nel Comune di Cerveteri. Periodo 15.9.2015-23.12.2015 “dal contenuto ed estremi sconosciuti”; l’avviso di avvenuta aggiudicazione della gara dell’11.9.2015; il bando di gara, disciplinare di gara, capitolato d’oneri e relativi allegati pubblicati in data 3 agosto 2015 a mezzo del quale il Comune di Cerveteri ha indetto l’appalto per l’espletamento del servizio di trasporto scolastico sul territorio comunale per il periodo 1.1.2016 – 31.12.2020; per quanto occorrer possa la delibera G.C. n. 75 del 19.6.2015 con la quale l’Amministrazione comunale ha approvato gli atti di gara e la determina a contrarre n. 1098 del 29 giugno 2015.

la determinazione dirigenziale n. 109 del 27 gennaio 2016 di aggiudicazione definitiva della gara per l’affidamento del servizio di trasporto scolastico per il periodo 1.1.2016 – 31.12.2020; la deliberazione G.C. n. 178 del 21 dicembre 2015 di affidamento d’urgenza del servizio; la determinazione dirigenziale n. 2217 del 22.12.2015 di aggiudicazione provvisoria del servizio.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Cerveteri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 aprile 2016 la dott.ssa Maria Ada Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- Con delibera G.C. n. 222 del 24.7.2002 il Comune di Cerveteri affidava alla allora Azienda speciale Multiservizi Caerite (ASMC) – poi trasformata in Spa – la gestione del servizio di trasporto alunni.

1.1.- Con contratto di servizio del trasporto alunni sottoscritto in data 3.9.2002 il Comune di Cerveteri e la suddetta Azienda formalizzavano l’affidamento del predetto servizio di trasporto scolastico e disciplinavano i reciproci rapporti; il contratto prevedeva altresì, conformemente alla predetta delibera comunale n. 222/2002 che il servizio venisse poi affidato ad una società di scopo.

1.2.- Con nota prot. 31037 del 3.12.2002, il Commissario straordinario del Comune di Cerveteri autorizzava l’indizione di una gara pubblica per l’individuazione del socio con il quale costituire la società di scopo per la gestione delle “fasi complementari” del servizio di trasporto alunni.

1.3.- Con determinazione del direttore generale della ASMC n. 6 del 9.12.2002 venivano individuate le “fasi principali” del servizio di trasporto scolastico spettanti esclusivamente ad ASMC e le “fasi complementari ed altre attività connesse” da affidare alla costituenda società di scopo.

1.4.- Conseguentemente ASMC pubblicava una sollecitazione di manifestazione di interesse alla partecipazione in una società consortile a responsabilità limitata, per l’affidamento delle suddette fasi complementari del servizio, con partecipazione al capitale sociale della ASMC pari al 51% e del socio privato pari al 49%.

1.5.- Nelle more della procedura il Comune e la ASMC sottoscrivevano in data 4.3.2003 un’appendice al contratto di servizio per il trasporto alunni stipulato in data 3.9.2002. La suddetta appendice stabiliva (art. 3) che “il contratto ha per oggetto l’affidamento delle fasi complementari ed altre attività connesse del servizio di trasporto alunni…da parte del soggetto gestore ad apposita società di scopo partecipata dall’A.S.M.C. mediante confronto concorrenziale” e che (art.6) il contratto ha “la durata pari all’affidamento delle fasi complementari del servizio di trasporto alunni alla società di scopo, appositamente costituita e partecipata da ASMC”.

1.6.- All’esito della suddetta procedura, con deliberazione del C.d.A. dell’ASMC del 29.4.2003, veniva individuato quale socio privato della società di scopo la Società Galatour s.r.l.. La ASMC e la Galatour costituivano, con atto costitutivo del 14.5.2003, la Società “Trasporti Caerite soc. cons. a r.l.”. Nell’atto costitutivo (art. 7) e nello Statuto (art. 4), la cui formulazione era predeterminata dal bando di gara, era previsto che la durata della società era fissata al 31 dicembre 2050 e poteva essere prorogata o anticipatamente sciolta con deliberazione dell’Assemblea straordinaria.

1.7.- In data 13.6.2003 veniva sottoscritta da ASMC, da Galatour srl e dalla società di scopo Trasporti Caerite scarl una “convenzione quadro a disciplina dei rapporti” con la quale regolare “i rapporti tra i quotisti, tra i quotisti e la società di scopo e tra questi ultimi e i primi”.

La Galatour quindi iniziava ad eseguire le fasi complementari del servizio di trasporto a partire dal 2003.

1.8.- Nel 2013, a seguito di contrasti insorti tra la società di scopo Trasporti Caerite scarl e la Galatour in ordine all’entità del corrispettivo da riconoscere a quest’ultima, veniva avviata da Galatour una procedura arbitrale ai sensi della clausola compromissoria di cui all’art. 19 della Convenzione quadro sottoscritta in data 13.6.2003.

All’esito, con lodo arbitrale del 10.7.2014, veniva definita l’insorta controversia.

Per quanto rileva in questa sede, il Collegio arbitrale rilevava, a partire dall’anno 2008, l’assenza di un rapporto contrattuale tra la Trasporti Caerite e la Galatour, mentre per il periodo precedente, a detta del Collegio, “dagli atti di gara ha preso vita un rapporto obbligatorio che si configura come vincolo contrattuale a tutti gli effetti” (p. 21). Il Collegio arbitrale, altresì invitava tutte le parti ivi compresa la Multiservizi Caerite spa (succeduta alla ASMC), chiamata in causa a seguito di integrazione del contraddittorio, ad addivenire alla regolarizzazione del rapporto prima dell’inizio del nuovo anno scolastico.

1.9.- Con deliberazione del 19.8.2014 n. 135 avente ad oggetto, “Servizio di trasporto scolastico. Direttive”, la Giunta Comunale deliberava”…e) di avviare l’iter amministrativo necessario per: la rescissione del contratto di servizio per il trasporto alunni, stipulato tra i legali rappresentanti del Comune di Cerveteri e il soggetto gestore in data 3/9/2001 (recte: 3/9/2002) recepito con deliberazione commissariale n. 41 del 4.3.2003; la messa in liquidazione della Società trasporti Caerite scarl, con ogni provvedimento conseguente di pertinenza dell’assemblea dei soci e quindi procedere allo scioglimento della partecipata”. Deliberava altresì “in attesa della definizione di quanto indicato nel punto e) nelle more dell’espletamento delle procedure di appalto per l’affidamento del servizio a partire dall’anno scolastico 2015-2016 affidare all’attuale soggetto gestore l’appalto del servizio del trasporto scolastico del Comune di Cerveteri per l’anno 2014-2015…”

1.10.- In data 13.9.2014, la Multiservizi Caerite spa e la società di scopo Trasporti Caerite scarl sottoscrivevano un contratto con il quale la Multiservizi Caerite spa affidava alla società di scopo Trasporti Caerite il servizio del trasporto scolastico nel Comune di Cerveteri (art.1) sino al 30.6.2015 (art. 4). La Trasporti Caerite si impegnava a svolgere il servizio attraverso il socio quotista Galatour srl (art. 2).

In pari data, la società Trasporti Caerite e la Galatour sottoscrivevano un contratto con il quale – dato atto in premessa che “il servizio di trasporto scolastico è stato sino all’anno 2013/2014 assicurato dalla società di scopo Trasporti mediante affidamento al socio quotista Galatour sino al 31.12.2007 in virtù di apposito contratto di servizio e di seguito sino al 30.6.2014 in regime di proroga di fatto” – la Trasporti Caerite “affida al socio quotista Società Galatour…il servizio del trasporto scolastico sul territorio del Comune di Cerveteri” (art. 1). La durata del servizio era fissata sino al 30.6.2015 (art. 4).

1.11.- Con deliberazione del Consiglio comunale n. 43 del 9.12.2014 recante “Servizio di Trasporto scolastico. Recessione dal contratto di servizio per il trasporto alunni, sottoscritto in data 3.9.2002 tra il Comune di Cerveteri e l’Azienda Speciale Multiservizi Caerite, ora Società Multiservizi Caerite spa”, il Consiglio Comunale – richiamata la delibera G.C. del 19.8.2014 – deliberava di “recedere dal contratto di servizio per il trasporto alunni, sottoscritto in data 3.9.2002 tra il Comune di Cerveteri e l’Azienda speciale Multiservizi Caerite s.p.a. con ogni provvedimento conseguente di pertinenza dell’assemblea dei soci e quindi procedere allo scioglimento della partecipata Società Trasporti Caerite scarl; di demandare al Sindaco e agli organi preposti gli adempimenti esecutivi conseguenti…”.

1.12.- Con deliberazione del Consiglio Comunale n. 3 del 19.1.2015 si deliberava “di assumere gli indirizzi, obiettivi e criteri di impostazione di seguito indicati, come riferimento per la predisposizione della gara relativa all’affidamento del servizio di trasporto scolastico nel territorio del Comune di Cerveteri…” nonché di “demandare al Dirigente responsabile del servizio di trasporto scolastico la redazione di tutti gli atti e provvedimenti che si renderanno necessari e susseguenti, previa approvazione da parte della Giunta Comunale del progetto gestionale; di demandare al Capo “Ripartizione Programmazione Gare e appalti –Contratti” di procedere all’espletamento delle procedure ad evidenza pubblica per l’affidamento del servizio”.

1.13.- Con deliberazione della G.C. n. 36 del 31.3.2015 avente ad oggetto “Piano operativo razionalizzazione società partecipate e delle partecipazioni societarie” veniva approvato il piano operativo di razionalizzazione delle società partecipate anno 2015, in esecuzione della previsione di cui all’art. 1, comma 612, L. n. 190/2014. Tale piano operativo dava atto che erano in corso le procedure per la messa in liquidazione della Società Trasporti Caerite scarl.

1.14.- Con deliberazione n. 93 del 2.7.2015 avente ad oggetto “Servizio di trasporto scolastico. Direttive organizzative. Determinazioni”, la Giunta Comunale deliberava tra l’altro di assicurare, fino all’inizio delle vacanze natalizie (previste per il 23.12.2015) il servizio di trasporto scolastico attraverso la definizione di procedura negoziata in attesa della definizione della gara ad evidenza pubblica di rilevanza comunitaria o comunque per il minor termine necessario per la conclusione delle procedure per il nuovo affidamento.

1.15.- Conseguentemente l’Amministrazione comunale procedeva ad invitare, con lettera di invito del 10.7.2015, alcuni operatori del settore alla procedura per l’affidamento “temporaneo” del suddetto servizio. Alla procedura veniva invitata anche la Galatour srl la quale tuttavia riteneva di non presentare alcuna offerta.

1.16.- Con deliberazione assembleare del 29.7.2015 veniva deliberato lo scioglimento della Società Trasporti Caerite scarl e nominato il liquidatore.

1.17.- Con bando pubblicato in data 3.8.2016 il Comune di Cerveteri indiceva la gara per l’appalto del servizio di trasporto scolastico ed accompagnamento per gli alunni della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado di pertinenza comunale, con decorrenza dal 1.1.2016 al 31.12.2020.

1.18.- L’Amministrazione comunale nel settembre 2015 procedeva ad aggiudicare la procedura negoziata per l’affidamento del servizio “temporaneo” (15.9.2015 – 23.12.2015) alla Società Rossi Bus.

1.19.- Con provvedimento del 27 gennaio 2016, pubblicato all’Albo pretorio in data 5.2.2016, l’Amministrazione aggiudicava definitivamente la gara di appalto relativa al servizio di trasporto scolastico per il periodo 2016-2020.

2.- Con il ricorso in epigrafe sono stati impugnati: la deliberazione del C.C. del Comune di Cerveteri n. 43/14 avente ad oggetto “servizio di trasporto scolastico. Recessione del contratto di servizio per il trasporto di alunni sottoscritto in data 3.9.2002 tra il Comune di Cerveteri e l’Azienda speciale Multiservizi Caerite ora Società Multiservizi Caerite s.p.a.”; la deliberazione G.C. di Cerveteri n. 135/2014 avente ad oggetto “ Servizi Trasporto Direttive”; la delibera C.C. del 19.1.2015 avente ad oggetto “atto di indirizzo per l’affidamento del servizio trasporto scolastico” non ancora pubblicata e di contenuto sconosciuto con riserva espressa di motivi aggiunti.

2.1.- Con atto di motivi aggiunti passato per la notifica in data 24.3.2015, la Galatour ha impugnato nuovamente per illegittimità derivata la delibera C.C. n. 3 del 19 gennaio 2015 trasmessa in data 26.2.2015.

2.2.- Con secondo atto di motivi aggiunti veniva impugnata la delibera G.C. n. 36/2015 con allegato piano operativo di razionalizzazione;

2.3.- Con terzo atto di motivi aggiunti sono stati impugnati: la deliberazione G.C. n. 93/2015 con la quale il Comune di Cerveteri, ritenendo sussistere ragioni di urgenza, ha deliberato di “assicurare fino all’inizio delle vacanze estive (natalizie) previste per il 23.12.2015 il servizio di trasporto scolastico attraverso la definizione di procedure negoziate in attesa della definizione della gara ad evidenza pubblica comunitaria o comunque per il minor termine necessario alla conclusione delle procedure per il nuovo affidamento”; la lettera di invito per la procedura negoziata per l’affidamento del trasporto scolastico per il periodo 15.9.2015-23.12.2015 inviata dal Comune alla ricorrente il 10.7.2015; il disciplinare di gara; la successiva lettera di invito del 23.7.2015 inviata dal Comune di Cerveteri alla Galatour in data 23.7.2015; nonché il disciplinare e capitolato integrati e modificati; la delibera C.C. n. 2 del 19.1.2015 con cui il Comune ha approvato il regolamento per l’esecuzione del servizio di trasporto scolastico.

2.4.- Con quarto atto di motivi aggiunti Galatour ha impugnato: il provvedimento di aggiudicazione definitiva relativo alla “procedura negoziata avente ad oggetto l’affidamento del servizio di trasporto scolastico delle scuole medie, elementari, e materne nel Comune di Cerveteri. Periodo 15.9.2015-23.12.2015 “dal contenuto ed estremi sconosciuti”; l’avviso di avvenuta aggiudicazione della gara dell’11.9.2015; il bando di gara, disciplinare di gara, capitolato d’oneri e relativi allegati pubblicati in data 3 agosto 2015 a mezzo del quale il Comune di Cerveteri ha indetto l’appalto per l’espletamento del servizio di trasporto scolastico sul territorio comunale per il periodo 1.1.2016 – 31.12.2020; per quanto occorrer possa la delibera G.C. n. 75 del 19.6.2015 con la quale l’Amministrazione comunale ha approvato gli atti di gara e la determina a contrarre n. 1098 del 29 giugno 2015.

2.5.- Con il quinto atto di motivi aggiunti, sono stati impugnati: la determinazione dirigenziale n. 109 del 27 gennaio 2016 di aggiudicazione definitiva della gara per l’affidamento del servizio di trasporto scolastico per il periodo 1.1.2016 – 31.12.2020; la deliberazione G.C. n. 178 del 21 dicembre 2015 di affidamento d’urgenza del servizio; la determinazione dirigenziale n. 2217 del 22.12.2015 di aggiudicazione provvisoria del servizio.

La ricorrente ha formulato richiesta di risarcimento danni e in via subordinata di indennizzo ai sensi dell’art. 21 quinquies L. n. 241/1990.

3.- Si costituiva il Comune di Cerveteri, il quale, nelle proprie memorie difensive, deduceva l’inammissibilità e comunque l’infondatezza delle censure articolate dalla ricorrente.

1.- Con il ricorso introduttivo la Galatour, socia privata della società mista di scopo Trasporti Caerite scarl, ha censurato la delibera consiliare n. 43/2014 (e quella presupposta di Giunta n. 135/2014) con la quale l’Amministrazione comunale ha determinato il recesso dal contratto stipulato con la Multiservizi Caerite per lo svolgimento del servizio pubblico di trasporto scolastico e contestualmente ha stabilito di procedere allo scioglimento della Società di scopo Trasporti Caerite.

La ricorrente in sostanza deduce che, con gli atti impugnati, l’Amministrazione avrebbe determinato illegittimamente di cessare lo svolgimento del servizio pubblico di trasporto locale mediante la Trasporti Caerite scarl di cui essa è socio d’opera e di affidare il servizio mediante gara pubblica.

1.1.- Ritiene il Collegio che le censure articolate siano infondate.

Pur dubitandosi della sussistenza della legittimazione ad agire della ricorrente – avendo la giurisprudenza chiarito che, in ordine alla impugnazione degli atti relativi all’affidamento di servizio pubblico ad una società mista, “l’interesse sostanziale del socio privato all’ottenimento, da parte della società mista, della commessa pubblica, è un interesse riflesso e mediato che non assurge ad interesse legittimo e può pertanto essere condotto nel processo amministrativo solo attraverso l’intervento ad adiuvandum, impregiudicata restando, ovviamente, l’esperibilità di altri strumenti di tutela civilistici in ambito endosocietario (si pensi all’azione di responsabilità, esperibile dai soci ai sensi dell’art 2393 bis, o dal singolo socio direttamente danneggiato, ex art. 2395 c.c.).” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 28 febbraio 2013 n. 1225; Cons. Stato Sez. VI, 08 febbraio 2012, n. 676; cfr anche da ultimo TAR Campania-Napoli, Sez. I, 2.12.2014, n. 6303) – l’infondatezza delle censure proposte consente – per ragioni di giustizia sostanziale – di prescindere dall’esame di profili processuali di inammissibilità dell’azione proposta avverso gli atti con i quali l’Amministrazione ha determinato lo scioglimento della società Caerite Trasporti scarl e l’affidamento mediante gara del servizio pubblico di trasporto scolastico.

1.2.- Con il primo motivo la Galatour deduce: Violazione e falsa applicazione artt. 42 e 49 Dlgs. N. 267/2000; violazione artt. 3, 24 e 97 Cost., del principio di buon andamento, correttezza e imparzialità dell’amministrazione. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto, incompetenza funzionale. La ricorrente censura in particolare i presupposti della determinazione del Comune e l’iter procedimentale dallo stesso svolto per pervenire allo scioglimento della Società Trasporti Caerite. Contesta altresì l’incompetenza del Consiglio Comunale a deliberare di recedere da un contratto di servizio.

Al riguardo, giova rilevare quanto segue.

1.2.1.- Con la impugnata delibera C.C. n. 43 del 9.12.2014, il Consiglio Comunale – richiamata la delibera G.C. del 19.8.2014 – deliberava di “recedere dal contratto di servizio per il trasporto alunni, sottoscritto in data 3.9.2002 tra il Comune di Cerveteri e l’Azienda speciale Multiservizi Caerite s.p.a. con ogni provvedimento conseguente di pertinenza dell’assemblea dei soci e quindi procedere allo scioglimento della partecipata Società Trasporti Caerite scarl; di demandare al Sindaco e agli organi preposti gli adempimenti esecutivi conseguenti…”.

In proposito, con contratto di servizio del trasporto alunni sottoscritto in data 3.9.2002 il Comune di Cerveteri e la ASMC avevano formalizzato l’affidamento alla ASMC (soggetto gestore) del servizio di trasporto scolastico (art. 3) e disciplinavano i reciproci rapporti (art.2). L’art. 4 fissava la durata del contratto in un massimo di “un anno e comunque fino alla conclusione delle procedure concorsuali occorrenti per l’affidamento del servizio alla società di scopo, appositamente costituita, e da tale momento si intende risolto di diritto”.

In data 4.3.2003 ( e quindi antecedentemente alla costituzione della società mista) il Comune e la ASMC sottoscrivevano un’appendice al contratto di servizio per il trasporto alunni stipulato in data 3.9.2002. La suddetta appendice stabiliva (art. 3) che “il contratto ha per oggetto l’affidamento delle fasi complementari ed altre attività connesse del servizio di trasporto alunni…da parte del soggetto gestore ad apposita società di scopo partecipata dall’A.S.M.C. mediante confronto concorrenziale” e che (art.6) il contratto ha “la durata pari all’affidamento delle fasi complementari del servizio di trasporto alunni alla società di scopo, appositamente costituita e partecipata da ASMC”.

Dai surrichiamati atti si evidenzia che il Contratto del 3.9.2002 non ha esaurito i propri effetti alla data della costituzione della società di scopo, ma ha continuato a produrre effetti, con riferimento alle “fasi principiali del servizio” almeno per una durata pari all’affidamento delle fasi complementari alla costituenda società di scopo.

In data 14.5.2003, la ASMC e la Galatour costituivano, con atto costitutivo del 14.5.2003, la Società “Trasporti Caerite soc. cons. a r.l.”. Nell’atto costitutivo (art. 7) e nello Statuto (art. 4), la cui formulazione era predeterminata dal bando di gara, era previsto che la durata della società era fissata al 31 dicembre 2050 e poteva essere prorogata o anticipatamente sciolta con deliberazione dell’Assemblea straordinaria.

In data 13.6.2003 veniva sottoscritto da ASMC, da Galatour srl e dalla società di scopo Trasporti Caerite soc. cons. a r.l. una “convenzione quadro a disciplina dei rapporti” con la quale regolare i rapporti tra i quotisti e tra questi ultimi e la società di scopo. La convenzione stabiliva all’art. 10 (rubricato “Lavori o servizi assunti dalla società di scopo ed assegnati ad un solo quotista”) che “l’esecuzione dei lavori o servizi comunque assunti dalla società di scopo possono essere affidati ad un solo quotista…Ogni assegnazione sarà oggetto di apposito atto contrattuale fra la società di scopo ed il quotista che necessariamente dovrà richiamare l’anzidetta convenzione”.

Dunque, alla luce delle suesposte circostanze, risulta pacifico che non è mai stato stipulato un contratto tra la ASMC e la Trasporti Caerite e tra la Trasporti Caerite e la Galatour e tali atti sarebbero stati necessari per disciplinare i rapporti tra i soggetti, l’affidamento del servizio e la durata dello stesso.

A tale proposito, il Lodo arbitrale del 10.7.2014 afferma che, almeno a partire dall’anno 2008 è venuto a mancare un regolamento contrattuale tra le parti.

Ciò risulta anche comprovato dalla circostanza che, con riferimento all’anno scolastico 2014-2015, i soggetti coinvolti nella gestione hanno stipulato due autonomi contratti relativi all’affidamento del servizio.

In particolare, in data 13.9.2014, la Multiservizi Caerite spa e la società di scopo Trasporti Caerite scarl sottoscrivevano un contratto con il quale la Multiservizi Caerite spa affidava alla società di scopo Trasporti Caerite il servizio del trasporto scolastico nel Comune di Cerveteri (art.1) sino al 30.6.2015 (art. 4). La Trasporti Caerite si impegnava a svolgere il servizio attraverso il socio quotista Galatour srl (art. 2).

In pari data, la società Trasporti Caerite e la Galatour sottoscrivevano un contratto con il quale – dato atto in premessa che “il servizio di trasporto scolastico è stato sino all’anno 2013/2014 assicurato dalla società di scopo Trasporti mediante affidamento al socio quotista Galatour sino al 31.12.2007 in virtù di apposito contratto di servizio e di seguito sino al 30.6.2014 in regime di proroga di fatto” – la Trasporti Caerite “affida al socio quotista Società Galatour…il servizio del trasporto scolastico sul territorio del Comune di Cerveteri” (art. 1). La durata del servizio era fissata sino al 30.6.2015 (art. 4).

Sicchè – come confermato dalla stessa Galatour – almeno a partire dall’anno 2008 mancava una regolamentazione pattizia tra le parti e in particolare tra Società Trasporti Caerite scarl e Galatour. Analogo riconoscimento è contenuto nelle premesse del contratto stipulato tra Multiservizi Caerite spa e Trasporti Caerite scarl.

In mancanza di un valido rapporto contrattuale che disciplini l’affidamento e la gestione del servizio di trasporto locale, per lo meno con riferimento ai servizi complementari oggetto dell’affidamento alla Trasporti Caerite scarl, la determinazione del Comune di sciogliere la suddetta società appare esente dai vizi denunciati e del tutto ragionevole, tenuto in particolare conto delle ragioni addotte a sostegno della decisione, come riferite alla rilevata inadeguatezza della formula societaria, agli elevati costi di gestione ed al triplo passaggio delle fatturazioni.

1.2.2.- In ordine alle vicende del rapporto tra Comune e Multiservizi Caerite spa (succeduta alla ASMC) sorto a seguito del contratto stipulato in data 2.9.2002 e alla relativa determinazione dell’Amministrazione di recedere, in disparte profili inerenti la mancanza di interesse della ricorrente a proporre censure, deve osservarsi che ove il rapporto contrattuale tra ASMC e Comune si fosse interrotto prima dell’adozione della delibera impugnata – come sostiene la ricorrente – tale circostanza giustificherebbe a maggior regione lo scioglimento della Trasporti Caerite scarl che trae la propria ragion d’essere e la connessa partecipazione sociale maggioritaria della Multiservizi Caerite (e prima della ASMC) nella titolarità in capo a quest’ultima dell’affidamento del servizio di trasporto scolastico.

1.2.3.- Quanto all’asserita incompetenza funzionale del Consiglio comunale ad adottare la delibera impugnata nella parte in cui essa delibera il recesso del Comune dal contratto del 3.9.2002 tra il Comune e la ASMC, tralasciando profili di eventuale inammissibilità della censura per carenza di interesse, essendo la ricorrente soggetto terzo rispetto a quel contratto, la stessa è infondata.

In sostanza, con il predetto atto il Consiglio comunale ha ratificato quanto già statuito dalla Giunta Comunale con la deliberazione n. 135/2014, peraltro espressamente richiamata in premessa, che aveva già determinato di avviare l’iter amministrativo “necessario per la rescissione del contratto di servizio per trasporto alunni stipulato in data… 3.9.2002… la messa in liquidazione della Società Trasporti Caerite scarl…e quindi procedere allo scioglimento della partecipata”.

Dunque, relativamente al recesso dal contratto e allo scioglimento della società Trasporti Caerite scarl sussistono i pronunciamenti sia della Giunta che del Consiglio.

Inoltre, il rapporto tra la il Comune di Cerveteri e la società Multiservizi Caerite configura una gestione in house del servizio pubblico e, come affermato nella parte motiva della delibera, “la gestione in house dei servizi pubblici per definizione giurisprudenziale, dà luogo ad un rapporto detto di delegazione interorganica, per cui l’ente pubblico e la società sono un unico plesso amministrativo, trovandosi in presenza di quella che la giurisprudenza definisce un’ordinaria ripartizione interna ad uno stesso sistema amministrativo, di funzioni e di servizi, attraverso una delega formale” .

In altri termini, nel caso di affidamento in house, in assenza di una reale alterità tra ente pubblico e società partecipata al 100% (nel caso di specie Multiservizi Caerite spa) dallo stesso, la determinazione assunta nel caso di specie viene a rappresentare una decisione “interna” relativa alle modalità organizzative del servizio.

L’art. 42, secondo comma, lett. e), T.U. n. 267/2000 stabilisce che spetta al Consiglio Comunale la “organizzazione dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali, concessione dei pubblici servizi, partecipazione dell’ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi mediante convenzione”.

Dunque, la delibera adottata ratifica sostanzialmente la delibera della G.C. n. 135/2014 e rientra nelle competenze del Consiglio Comunale.

1.3.- Con il secondo motivo vengono dedotti: Violazione artt. 3, 24 97 Cost., del principio di buon andamento, correttezza e imparzialità dell’amministrazione. Eccesso di potere per difetto di motivazione e istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità e ingiustizia manifesta, contraddittorietà. Con la censura la Galatour contesta la motivazione a base della deliberazione C.C. n. 43/2014.

1.3.1.- In via preliminare, occorre chiarire che la motivazione della delibera è quella che emerge dal corpo della stessa e l’atto non può ritenersi integrato nel suo apparato motivazionale da dichiarazioni espresse dai singoli componenti del Consiglio nel corso della discussione consiliare.

Pertanto, non ha fondamento la ricostruzione della ricorrente che, nel contestare la motivazione della delibera, integra la stessa con le dichiarazioni rese dal Sindaco o da singoli Consiglieri nel corso della discussione.

1.3.2.- La impugnata delibera, dopo aver premesso i passaggi relativi all’affidamento del servizio di trasporto scolastico e richiamato che “a seguito dell’avvenuta costituzione della suddetta società di scopo, non si è potuto giungere ad un nuovo contratto di servizio per l’assenza di norme pattizie tra la Multiservizi Caerite s.p.a. e la Trasporti Caerite spa”, si è limitata a richiamare le ragioni che avevano determinato l’insorgere della controversia arbitrale (relativa alla determinazione unilaterale del prezzo a Km), le statuizioni del Collegio arbitrale in ordine all’insussistenza di rapporti contrattuali tra i soggetti coinvolti nella gestione. Infine, è stata rilevata l’inadeguatezza della formula societaria alla conduzione del servizio in ragione della tipologia dello stesso, gli “elevati costi generali di gestione e un triplo passaggio di fatturazioni, con duplicazioni dell’IVA che non risponde certamente ai principi di efficacia ed economicità della gestione”.

La motivazione appare nel suo complesso congrua e ragionevole.

Infatti, il servizio risulta essere stato di fatto svolto integralmente dalla Galatour socio d’opera della Società mista Trasporti Caerite scarl, a sua volta partecipata al 100% dalla Multiservizi Caerite. Ciò ha comportato un’inutile moltiplicazione dei soggetti coinvolti nella gestione e in particolare della Trasporti Caerite, costituita per la gestione del servizio, in realtà svolto dal socio operativo Galatour.

Da ciò derivava che i costi di gestione relativi alla Trasporti Caerite appaiono ragionevolmente essere superflui.

Tali aspetti sono poi stati puntualmente indicati nel Piano Operativo di Razionalizzazione approvato con delibera di G.C. n. 36/2015.

1.3.3.- Sempre con riferimento alla motivazione della delibera impugnata, la ricorrente si sofferma sull’asserita erroneità del lodo arbitrale che ha ritenuto che la durata dell’affidamento del servizio non fosse sino al 2050. La Galatour afferma sostanzialmente di avere diritto, in qualità di socio d’opera della Trasporti Caerite scarl, di gestire il servizio sino al suddetto anno 2050, coincidente con la scadenza della società mista.

Tale affermazione non appare condivisibile.

Al riguardo, deve in questa sede richiamarsi quanto già osservato relativamente all’assenza di una valida regolamentazione contrattuale alla data di approvazione della impugnata delibera consiliare. Da ciò deriva che la ricorrente non ha titolo alla prosecuzione del servizio.

In ogni caso, la ricostruzione non appare convincente.

In primo luogo, l’affermazione di controparte comporterebbe che se, in conformità alle norme statutarie, la durata della Trasporti Caerite scarl fosse stata prorogata con una deliberazione assembleare, ciò avrebbe comportato una proroga dell’affidamento del servizio pubblico, circostanza questa che non appare plausibile.

A tale proposito, una durata dell’affidamento del servizio di circa 50 anni (dal 2003 al 2050) prorogabile sine die attraverso una modifica allo statuto della società, appare in contrasto con la normativa vigente in materia di servizi pubblici, di contratti pubblici e con il principio della concorrenza.

Giova infatti rilevare che, sulla base di consolidata giurisprudenza, “l’affidamento di un servizio ad una società mista è ritenuto ammissibile a condizione che si sia svolta una unica gara per la scelta del socio e l’individuazione del determinato servizio da svolgere, delimitato in sede di gara sia temporalmente che con riferimento all’oggetto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 30 settembre 2010, n. Sez. VI, 16 marzo 2009, n. 1555 e Corte Giustizia, sez. III, 15 ottobre 2009, C-196/08, Acoset)” (da ultimo Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2016, n. 1028).

Nel caso di specie, la procedura di gara per la scelta del socio non indicava la durata dell’affidamento del servizio e neanche della partecipazione del socio privato alla società.

Un affidamento di durata sostanzialmente indeterminata è da considerarsi in contrasto con il principio di concorrenza.

In proposito, l’art. 34, comma 21, D.L. n. 179/2012 prevede che “Gli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea devono essere adeguati entro il termine del 31 dicembre 2013 pubblicando, entro la stessa data, la relazione prevista al comma 20. Per gli affidamenti in cui non è prevista una data di scadenza gli enti competenti provvedono contestualmente ad inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza dell’affidamento. Il mancato adempimento degli obblighi previsti nel presente comma determina la cessazione dell’affidamento alla data del 31 dicembre 2013”.

Orbene, dovendosi ritenere che, alla data di entrata in vigore della norma, il servizio pubblico di trasporto scolastico del Comune di Cerveteri non fosse conforme alla normativa europea, l’affidamento del servizio, quand’anche trovasse il proprio presupposto in un valido rapporto pattizio (e nel caso di specie si ritiene – come detto- che ciò non sia) sarebbe comunque cessato.

Peraltro, come rilevato dall’Amministrazione comunale, l’art. 12, R.D. n. 2440/1923 stabilisce per i contratti pubblici una durata massima di nove anni.

Conclusivamente, la doglianza sull’incongruenza e irragionevolezza della motivazione è infondata.

1.4.- La ricorrente ha poi dedotto: Violazione degli artt. 3, 24. 97 Cost., del principio di buon andamento, correttezza e imparzialità dell’amministrazione. Violazione e falsa applicazione art. 34, commi 20 e 21, D.L. n. 179/2012, convertito in L. n. 221/2012. Violazione art. 3, L. n. 241/1990. Violazione del principio di affidamento. Violazione e falsa applicazione art. 239, Dlgs n. 267/2000. Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria, motivazione e travisamento dei presupposti. La Galatour censura in particolare la violazione dell’art. 34, D.L. n. 179/2012 che impone la motivazione mediante apposita relazione della scelta della modalità organizzativa del servizio. Si deduce inoltre che non sarebbe stato acquisito il parere dell’Organo di revisione ai sensi dell’art. 239, T.U. n. 267/2000.

La censura è infondata.

1.4.1.- La delibera del Consiglio Comunale impugnata non determina le nuove modalità di affidamento del servizio e pertanto la doglianza è inconferente

Ove poi la censura fosse riferita alla deliberazione presupposta della G.C. n. 135/2014 essa dovrebbe considerarsi tardiva.

In ogni caso, ritiene il Collegio che la ratio della norma di cui all’art. 34, comma 20, D.L. n. 179/2012 sia quella di fornire adeguata evidenza delle ragioni che inducono l’Amministrazione a derogare al principio della concorrenza, non affidando il servizio mediante procedura ad evidenza pubblica. In altri termini, allorchè l’Amministrazione utilizzi le procedure previste dal Codice degli appalti, l’onere motivazionale della scelta delle modalità di affidamento del servizio pubblico deve ritenersi meno stringente.

1.4.2.- Quanto alla violazione dell’art. 239, T.U. n. 267/2000, ritiene il Collegio che la delibera non rientri nell’ambito delle materie in cui l’Organo di revisione deve esprimere parere, anche in considerazione del fatto che la stessa non comporta oneri finanziari per l’Amministrazione.

1.5.- Con il quarto motivo, si censura: Violazione degli artt. 3, 24, 97 Cost., del principio di buon andamento, correttezza e imparzialità della amministrazione. Violazione artt. 7 ss., L. n. 241/1990. Mancata comunicazione di avvio del procedimento amministrativo. Violazione dei principi del giusto procedimento. In particolare, si contesta l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca ex art. 7, L. n. 241/1990 della Deliberazione n. 43/2014.

La censura è infondata.

In primo luogo, il Comune non ha avviato alcun procedimento di revoca di un precedente provvedimento amministrativo ad efficacia durevole del quale fosse destinataria l’odierna ricorrente.

In ogni caso, l’assenza di un valido rapporto contrattuale tra la Galatour e la società Trasporti Caerite, nonché tra quest’ultima e la società Multiservizi Caerite, comporta che non è configurabile neanche in via indiretta la sussistenza di un rapporto ad efficacia durevole tra la Galatour e l’Amministrazione.

Ciò comporta che l’Amministrazione non era onerata di alcun dovere di interlocuzione diretta con la ricorrente, tanto meno di dare comunicazione di avvio del procedimento.

1.6.- Le richieste di risarcimento danni e in via subordinata di indennizzo ai sensi dell’art. 21 quinquies L. n. 241/1990 sono conseguentemente infondate.

2.- Con il primo atto di motivi aggiunti è stata impugnata per illegittimità derivata la delibera C.C. n. 3/2015 “Atto di indirizzo per l’affidamento del servizio di trasporto scolastico”.

2.1.- In ragione della infondatezza delle censure articolate con il ricorso, analoga sorte deve seguire la censura di illegittimità derivata contenuta nel primo atto di motivi aggiunti.

3.- Con il secondo atto di motivi aggiunti sono state dedotte le seguenti censure avverso la delibera G.C. n. 36/2015 di approvazione del Piano operativo di razionalizzazione società partecipate e partecipazioni societarie:

a. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 commi 611 e ss. Legge n. 190/2014. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, L. n. 241/1990 e s.m.i. Violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione. Violazione dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti in fatto e in diritto. Illogicità, contraddittorietà e ingiustizia manifesta. Difetto di motivazione e di istruttoria.

b. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1,Legge n. 190/2014. Violazione e falsa applicazione art. 42 del Dlgs. n. 267/2000 (TUEL). Violazione dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione. Violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione. Eccesso di potere per difetto di istruttoria.

c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, L. n. 190/2014. Violazione e falsa applicazione art. 42 del Dlgs. n. 267/2000 (TUEL). Violazione dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione. Violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Incompetenza della Giunta Comunale.

d. E’ stata poi denunciata l’illegittimità derivata degli atti impugnati.

e. E’ stata formulata richiesta di risarcimento danni.

3.1.- Le censure sono inammissibili per carenza di interesse.

3.2.- Il Piano Operativo impugnato, per quanto attiene alla Società Trasporti Caerite Scarl, non ha contenuto dispositivo e si limita a dare atto delle iniziative già assunte dall’Amministrazione con precedenti atti e delle motivazioni alla base delle stesse.

Infatti, esso richiama espressamente le deliberazioni della Giunta Comunale n. 135/2014 e del Consiglio Comunale n. 43 del 9.12.2014 (si veda in particolare il par. “La razionalizzazione strutturale”).

Pertanto, il piano non ha concreta portata lesiva e le censure articolate sono quindi inammissibili.

4.- Con il terzo atto di motivi aggiunti, la ricorrente ha impugnato gli atti relativi alla procedura per l’affidamento del servizio di trasporto scolastico nel periodo 15.9.2015- 23.12.2015, articolando le seguenti censure.

4.1.- Violazione degli artt. 3, 24, 45, 97 Costituzione e del principio di correttezza, buon andamento e imparzialità della P.A. Violazione del principio del legittimo affidamento. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto e di diritto. Difetto di motivazione e di istruttoria. Irragionevolezza. La ricorrente ritiene che l’Amministrazione non avrebbe dovuto dare luogo alla procedura “essendo Galatour s.r.l. nella sua qualità di socio operativo della Trasporti Caerite scarl, il legittimo gestore del servizio… messo a gara” (p. 13).

La censura, che sostanzialmente ripropone le tesi già dedotte con il primo e il secondo motivo di ricorso, è infondata per le ragioni sopra esposte (in particolare sub 1.2.1. e 1.3.3.): in assenza di un valido rapporto contrattuale e di una durata predeterminata certa dell’affidamento del servizio, non sussiste alcun diritto in capo alla Galatour a gestire il servizio sino al 2050.

4.2.- In via subordinata, deduce: Violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione, del principio di buon andamento, imparzialità e correttezza della pubblica amministrazione, dei principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa. Violazione dell’art. 57 e ss. Dlgs. n. 163/2006. Violazione DIR 2004/18/CE. Eccesso di potere sotto il profilo della carenza dei presupposti di fatto e di diritto. Difetto di motivazione e di istruttoria. Irragionevolezza. Sproporzione. Violazione delle regole di par condicio, di pubblicità, della massima concorsualità di tutela della concorrenza e del mercato.

Sostiene la ricorrente che non sussistevano i presupposti per dare luogo ad una procedura negoziata senza pubblicazione del bando ai sensi dell’art. 57, Dlgs. n. 163/2006 e in particolare quello dell’urgenza non prevedibile.

La censura è inammissibile, per carenza di interesse, in quanto Galatour è stata invitata a partecipare alla procedura, senza peraltro prendervi parte.

La censura è in ogni caso infondata.

Infatti, l’imminente inizio dell’anno scolastico congiuntamente alla necessità di garantire il servizio per il tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura di gara aperta per l’affidamento quinquennale dello stesso costituiscono, ad avviso del Collegio, presupposti idonei a giustificare la scelta della procedura attuata dal Comune. Al riguardo, come segnalato dal Comune e come riconosciuto dallo stesso ricorrente nell’atto di motivi aggiunti, la società incaricata di predisporre gli atti di gara relativi alla procedura aperta per l’affidamento del servizio quinquennale ha consegnato gli atti in ritardo di oltre un mese rispetto a quanto previsto nell’incarico, ciò determinando un allungamento dei tempi per l’affidamento del servizio stesso.

Inoltre, del tutto infondato è l’assunto con il quale la ricorrente afferma che la Trasporti Caerite scarl avrebbe potuto proseguire nella gestione del servizio. Infatti, non soltanto il precedente contratto di servizio (stipulato per l’anno scolastico 2014-2015) era scaduto, ma risulta decisivo che la società è stata sciolta e posta in liquidazione in data 29 luglio 2015, ciò che avrebbe reso impossibile l’assunzione da parte della stessa dell’affidamento del servizio a far data dal 15.9.2015.

4.3.- Con il terzo motivo aggiunto si censura: Violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione, del principio di buon andamento, imparzialità e correttezza della pubblica amministrazione, dei principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa. Violazione dell’art. 11 e ss. Dlgs. n. 163/2006. Violazione e falsa applicazione L. n. 27/2012. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Sviamento, illogicità, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta. Contraddittorietà. Violazione delle regole di par condicio, di pubblicità, della massima concorsualità di tutela della concorrenza e del mercato.

Si deduce che la procedura di gara sarebbe contraria ai principi formulati nella delibera del C.C. n. 3/2015. Si censura poi l’incongruità del prezzo a base di gara.

4.3.1.- Per quanto attiene all’asserita violazione degli indirizzi ivi formulati, la doglianza è inammissibile per carenza di interesse in ragione della mancata partecipazione alla procedura da parte della ricorrente. In proposito, la Galatour non afferma in alcun modo che le previsioni contestate del bando avrebbero reso impossibile la partecipazione alla procedura, alla quale la società era stata invitata e dunque la mancata presentazione della domanda rende inammissibile la censura.

4.3.2.- Con riferimento al prezzo a base di gara, il Collegio ritiene dover esaminare nel merito la censura formulata in quanto, pur in assenza di una puntuale indicazione in tal senso da parte della ricorrente, la stessa potrebbe attenere ad un elemento impeditivo alla formulazione di un offerta. In altri termini, un prezzo a base di gara non ragionevole potrebbe aver impedito la formulazione di un’offerta valida al potenziale concorrente, sicchè la mancata presentazione della domanda non renderebbe di per sé inammissibile la doglianza.

Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente il prezzo a base di gara è in linea con la stima fissata nella delibera C.C. n. 3/2015 – che pure concerne l’affidamento del servizio pubblico per durata assai più prolungata, per il periodo 2015-2023 ed ha valore esclusivamente programmatico – se si considera che l’importo per la procedura di affidamento con durata dal 15.9.2015 al 23.12.2015 è pari ad Euro 388.909,00 per tre mesi e 8 giorni di gestione (per Euro 119.227 circa mensili – 388,909: 3,26 mesi) a fronte di un importo indicato nella delibera n. 3/2015 di Euro 1.218.181,81 per 10 mesi di esercizio (per Euro 121.818 circa mensili). Le deduzioni della ricorrente che indica un prezzo alternativo sono indimostrate e presuppongono assunti che non trovano puntuale riscontro nella lex specialis di gara o in dati oggettivi.

Peraltro, è significativo che alla procedura sono state presentate tre offerte valide.

4.4.- La ricorrente deduce, in via ulteriormente subordinata: Violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione, del principio di buon andamento, imparzialità e correttezza della pubblica amministrazione, dei principi di efficienza, efficacia dell’azione amministrativa. Violazione dell’art. 70 del D.Lgs. n. 163/2006. Violazione delle regole di par condicio, di pubblicità, della massima concorsualità, di tutela della concorrenza e del mercato. Galatour deduce che l’Amministrazione, con nota del 23 luglio 2015, avrebbe illegittimamente modificato sostanzialmente gli atti di gara, senza peraltro prorogare i termini per la presentazione delle offerte, in violazione dell’art. 70, Dlgs. n. 163/2006; ciò avrebbe determinato una illegittima compressione del termine per la presentazione delle offerte.

La censura è inammissibile.

4.4.1.- Dalla lettura della nota del 23 luglio 2015, si evince in primo luogo che l’Amministrazione ha eliminato un requisito (eccessivamente restrittivo) di partecipazione e non risulta dal tenore della censura articolata che tale presupposto fosse ostativo alla partecipazione della ricorrente, che non ha presentato domanda di partecipazione. Sotto tale profilo, la doglianza è quindi inammissibile per carenza di interesse.

4.4.2.- Le ulteriori deduzioni sono infondate.

Quanto all’indicazione del prezzo unitario chilometrico contenuto nella nota del 23 luglio 2015, esso non costituisce un parametro innovativo, ma semplicemente l’esplicazione del prezzo complessivo a base di gara, già correttamente indicato nella lex specialis di gara.

4.4.3.- Con riferimento alla Comunicazione del 28 luglio 2015 relativa ai nominativi del personale, essa – come dedotto dall’Amministrazione – attiene esclusivamente alla indicazione dei dati del personale, mentre l’elemento numerico del personale era già stato reso noto in precedenza, ma in forma anonima. In ogni caso, come risulta dalla medesima comunicazione, i dati contenuti nella stessa comunicazione del 28 luglio 2015 attengono al personale della Galatour; dunque, la stessa ricorrente già conosceva i dati contenuti nella comunicazione ed era l’unico dei soggetti invitati a poter essere a conoscenza del suddetto dato che le avrebbe in ogni caso consentito sin dall’origine una corretta formulazione dell’offerta.

In ogni caso, il Collegio ritiene che, ai sensi dell’art 70, Dlgs n. 163/2006, sussistono, nel caso di specie i requisiti di urgenza che giustificano l’eventuale compressione del termine di 20 giorni previsto dalla medesima disposizione, costituiti dall’esigenza di consentire lo svolgimento e la conclusione della procedura e conseguentemente l’avvio del servizio di trasporto prima dell’inizio dell’anno scolastico.

5.- Con il quarto atto di motivi aggiunti è stato impugnato il provvedimento di aggiudicazione definitiva della gara per l’affidamento del servizio per il periodo 15.9.2015 – 23.12.2015. E’ stato anche impugnato il bando di gara, il disciplinare, il capitolato d’oneri e i relativi allegati inerenti alla procedura per l’affidamento del servizio di trasporto scolastico per il periodo 1.1.2016-31.12.2020.

5.1.- Con il primo motivo la ricorrente ha in primo luogo censurato per illegittimità derivata l’aggiudicazione del servizio di trasporto scolastico per il periodo15.9.2015 – 23.12.2015. La censura segue la stessa sorte di quelle precedentemente esaminate dal Collegio. Conseguentemente la stessa è infondata.

5.2.- Analogo esito hanno le censure formulate per illegittimità derivata contenute nel secondo motivo avverso gli atti con i quali l’Amministrazione comunale ha bandito la gara per l’affidamento del servizio di trasporto scolastico per il periodo 1.1.2016-31.12.2020.

5.3.- Viene poi dedotta: violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione, del principio di buon andamento, imparzialità e correttezza della pubblica amministrazione, dei principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa. Violazione dell’art. 11 e ss. Dlgs. n. 163/2006. Violazione e falsa applicazione Legge n. 27/2012. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Sviamento, illogicità, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta. Contraddittorietà. Violazione delle regole di par condicio, di pubblicità, della massima concorsualità di tutela della concorrenza e del mercato. Con riferimento alla gara indetta per l’affidamento del servizio per il periodo 1.1.2016-31.12.2020 la ricorrente deduce che la procedura di gara sarebbe contraria ai principi formulati nella delibera del C.C. n. 3/2015. Si censura poi l’incongruità del prezzo a base di gara.

Pertanto, la ricorrente, che non ha presentato domanda di partecipazione alla procedura, censura l’illegittimità in via autonoma degli atti concernenti l’affidamento della gara.

5.3.1.- In primo luogo, deduce che il bando non sarebbe conforme ai principi e agli indirizzi contenuti nella delibera C.C. n. 3/2015.

La censura è inammissibile in quanto ad avviso del Collegio essa non attiene a previsioni escludenti o comunque che avrebbero impedito la presentazione della domanda, né la ricorrente deduce in alcun modo l’ostatività degli asseriti vizi alla presentazione di una domanda. Dunque, l’omessa partecipazione della Galatour rende inammissibile la doglianza.

5.3.2.- La ricorrente deduce poi l’irragionevolezza e l’incongruità del prezzo a base di gara, formulando una serie di ipotesi di calcolo a supporto della propria affermazione.

La censura è infondata. L’assunto è indimostrato atteso che, come risulta dalla delibera G.C. n. 75 del 19.6.2015, “l’importo a base di gara…è stato determinato sulla base dell’allegato conto economico aggiornato all’anno 2015, stimato dalla Soc. Tages, sulla base dei parametri contabili riferiti ai costi del trasporto pubblico locale di ambito interregionale”. Su tale aspetto la ricorrente non deduce alcuna specifica censura.

Peraltro, la congruità del prezzo a base di gara è anche comprovata dalla circostanza che alla procedura hanno partecipato ben sette operatori, ciò che dimostra che il medesimo prezzo a base di gara, per come definito sulla base della consulenza della Società Tages (selezionata con determinazione n. 588/2015 all’esito di procedura competitiva indetta per “la fornitura di un supporto tecnico amministrativo finalizzato alla progettazione della gara del servizio trasporto scolastico”), non risultava irragionevole o incapiente.

6.- Col il quinto atto di motivi aggiunti, la ricorrente ha impugnato per illegittimità derivata: la determinazione dirigenziale n. 109 del 27 gennaio 2016 di aggiudicazione definitiva del servizio di trasporto scolastico per il periodo 1.1.2016 – 31.12.2020; la deliberazione della Giunta Comunale n. 178 del 21.12.2015 che ha disposto l’affidamento in via d’urgenza alla ditta Fratarcangeli e la determinazione dirigenziale n. 2217 del 22 dicembre 2015 con cui è stata disposta l’aggiudicazione provvisoria in favore dell’impresa controinteressata.

Ha formulato richiesta di risarcimento danni nella misura ivi indicata e, in subordine richiesta di indennizzo ex art. 21 quinquies L. n. 241/1990.

Le censure sono, coerentemente con le valutazioni sin qui espresse dal Collegio, inammissibili e infondate.

7.- Conseguentemente, anche la richiesta di risarcimento dei danni deve essere respinta.

8.- Con riferimento alla richiesta di indennizzo formulata ex art. 21 quinquies, L. n. 241/1990 in via subordinata per l’asserita anticipata revoca del servizio, ritiene il Collegio che, per quanto sin qui espresso, la richiesta non può essere accolta. La società ricorrente, come già statuito dal Collegio con riferimento al ricorso introduttivo, non poteva vantare in alcun modo il diritto alla prosecuzione del servizio sino al 2050 non essendo legata da un rapporto contrattuale con la Multiservizi Caerite ed avendo gestito il servizio stesso in regime di proroga di fatto sin dal 2008 (salvo il periodo 2014-2015).

In ogni caso la Galatour assume nella presente vicenda la posizione di socia di una società mista di scopo che ha gestito il servizio in virtù di affidamento da parte della società in house Multiservizi Caerite, mentre i provvedimenti dell’Amministrazione avevano ad oggetto il rapporto con la Multiservizi Caerite e lo scioglimento della Trasporti Caerite scarl.

Dunque, la richiesta di indennizzo è infondata.

9.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis) definitivamente pronunciando:

Dichiara il ricorso e i motivi aggiunti in epigrafe in parte inammissibile e, in parte, li respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Cerveteri dell’importo di Euro 1.500,00 oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:

Elena Stanizzi, Presidente

Antonella Mangia, Consigliere

Maria Ada Russo, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 01/06/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Giurdanella.it.

Clausola sociale: la pronuncia del TAR Lazio

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clausola sociale

Il TAR Lazio – Roma, sez. II BIS, con la sentenza n. 9927 del 26 settembre 2016, si è pronunciato sulla portata ed effetti della c.d. “clausola sociale” che impone di riassumere i lavoratori della precedente affidataria.

In particolare, i giudici hanno richiamato un consolidato orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato, che sostiene che “La corretta osservanza della c.d. clausola sociale inserita nella lex specialis non impone alcun obbligo di assumere tutti i precedenti lavoratori, con connessa attribuzione agli stessi di identiche mansioni, né comporta ‘automatismi’ tali da inficiare la libertà dell’imprenditore nell’organizzare la propria attività di impresa, bensì impone semplicemente di assumere un numero di lavoratori tali da assicurare il servizio“.

Viene, pertanto, ribadita la funzione preminente della clausola sociale quale strumento per favorire la continuità e la stabilità occupazionale dei lavoratori, ma nel contempo non tale da comprimere le esigenze organizzative dell’impresa subentrante che ritenga di potere ragionevolmente svolgere il servizio utilizzando una minore componente di lavoro rispetto al precedente gestore, e dunque ottenendo in questo modo economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

Pubblicato il 26/09/2016

N. 09927/2016 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5429 del 2016, proposto da:
Cardamone Group S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesco Antonio Caputo C.F. CPTFNC64L27D086A e Fausto Troilo C.F. TRLFST78S03E435O, con domicilio eletto presso Francesco Antonio Caputo in Roma, via Ugo Ojetti n.114;

contro

Comune di Rocca di Papa, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Piergiorgio Abbati C.F. BBTPGR71A15H501L, con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Roma, via G. Pierluigi da Palestrina n. 19;

nei confronti di

Siarc Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Francesco Izzo C.F. ZZIFNC77S03C352A, con domicilio eletto presso Maria Ida Leonardo in Roma, via Principessa Clotilde n. 2;

per l’annullamento,

previa sospensione,

della “Determinazione di aggiudicazione sotto riserva di legge ed esecuzione in via d’urgenza del servizio ex art. 11, comma 8, 9 e 12 d.lgs. n. 163/06” n. 325 del 6 aprile 2016, con la quale il Responsabile del Settore Socioculturale (in qualità di Responsabile del procedimento) del Comune di Rocca di Papa ha aggiudicato in via definitiva l’appalto per l’affidamento in concessione del servizio di refezione scolastica, con utilizzo del centro di cottura, in favore della società Siarc;

per quanto possa occorrere,

dei verbali della Commissione giudicatrice e, in particolare, di quelli successivi alla statuizione del TAR n. 13390 del 2015, numerati dal n. 7 al n. 12;

di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale, ivi compreso il contratto per l’affidamento del servizio, qualora sottoscritto tra le parti;

nonché, ove occorra,

del bando e del disciplinare di gara nella parte in cui viene eventualmente ammessa l’elusione dei canoni di regolarità ed esaustività del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta e dei precedenti verbali dal n. 1 al n. 6, per quanto di incidenza lesiva;

con richiesta

di subentro nel contratto eventualmente stipulato;

e con riserva

di esperire tutte le relative azioni risarcitorie e/o indennitarie da formulare ex post con separato giudizio;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Rocca di Papa e Siarc Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 luglio 2016 il Consigliere Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Considerato che:

– con l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 29 aprile 2016 e depositato il successivo 4 maggio 2016, la ricorrente – in qualità di concorrente alla gara indetta dal Comune di Rocca di Papa per l’affidamento in concessione del servizio di refezione scolastica per anni cinque, “con utilizzo del centro cottura di proprietà comunale”, classificatasi al secondo posto della graduatoria stilata in esito alla valutazione dell’offerte, effettuata con il criterio “dell’offerta economicamente più vantaggiosa” – impugna il provvedimento di aggiudicazione meglio indicato in epigrafe, adottato in favore della società Siarc, prima classificata, e gli atti ad esso presupposti, precipuamente inerenti alla rinnovazione della verifica di anomalia dell’offerta tecnica della controinteressata, chiedendone l’annullamento;

– in particolare, la ricorrente – dopo aver ricordato l’avvenuta proposizione da parte della predetta di un precedente gravame avverso il provvedimento di aggiudicazione già adottato dall’Amministrazione a favore della Siarc in data 29 settembre 2015, definito da questa Sezione con sentenza n. 13390 del 2015, emessa “ex art. 60 cod.proc.amm.”, di accoglimento sulla base della condivisione della censura inerente alla evidente illogicità, irragionevolezza ed incompiutezza dell’istruttoria del giudizio della Commissione in ragione specificamente della mancata valutazione “della carenza di indicazione del costo del direttore e del dietista”, con assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso, statuente, di conseguenza, l’obbligo per l’Amministrazione di riprendere l’iter procedimenale “dal momento della valutazione dell’anomalia” e “delle relative giustificazioni” – ha contestato la legittimità dell’operato posto in essere dalla Commissione in esito alla pronuncia de qua, poi sfociato nell’adozione del nuovo provvedimento di aggiudicazione di cui alla determinazione n. 325 del 2016, mediante la denuncia dei vizi di eccesso di potere e violazione di legge sotto svariati profili, incentrati – in sintesi – sulla mancata previsione nell’offerta presentata fin dall’origine dalla controinteressata degli oneri da interferenza, fissati nel bando di gara in € 0,02 a pasto e non soggetti a ribasso (precisandone la mancata “opposizione giustiziale” nell’ambito del precedente gravame in ragione della piena idoneità dell’utile di impresa inizialmente fissato, pari a € 0,16 a pasto, ad assorbire gli stessi, la quale risulta inequivocabilmente non più sussistente, attesa la mutata previsione di tale utile in soli € 0,02), sull’insussistenza, proprio per la necessità di tener conto degli oneri da interferenza enucleati nel DUVRI annesso alle regole di gara, di un “utile” (anche per l’impossibilità di ascrivere quest’ultimi “ai costi aziendali interni”), sul mancato rispetto delle indicazioni della Stazione appaltante “circa il personale da riassorbire”, ricondotto, peraltro, anche al divario oggettivo in diminuzione del relativo costo, atto a concretizzare una mutazione della spesa imposta per il personale di per sé idonea a rendere inattendibile l’offerta, sulla sussistenza di contraddittorietà ed inconferenze “rispetto al costo del personale” (in relazione, tra l’altro, all’impossibilità di usufruire di “sgravi contributivi”) e “rispetto al costo delle derrate” (passato da un’incidenza del 28% ad un’incidenza del 24%) e, ancora, “rispetto alle spese generali” (il cui totale – pari a € 3.417,00 annui, con un’incidenza percentuale ridotta all’1,5% dal 3% originario – è ritenuto “palesemente elusivo dei parametri minimi indicati dalla Stazione appaltante, specie in relazione al “costo dell’elettricità” e del “gas”), sull’effettiva configurabilità di una “modifica degli elementi compositivi tale da pervenire ad un aliud pro alio rispetto a quanto inizialmente offerto” (e non, per contro, di una mera compensazione “tra sottostime e sovrastime”), e confutato, ancora, l’esborso indicato per gestire il centro cottura e l’adeguatezza della spesa fissata per ulteriori investimenti, quali “l’attivazione ed installazione del sistema informatico e di un Front-Office di collegamento aperto al pubblico”, afferenti, tra l’altro, l’“eventuale installazione di un box”;

– con atto depositato in data 23 maggio 2016 si è costituito il Comune di Rocca di Papa, il quale ha eccepito l’irricevibilità per tardività delle censure afferenti i costi di sicurezza per i rischi interferenziali ed i costi per l’attività di “front-office” per mancata indicazione delle stesse nel ricorso inizialmente proposto, e, in ogni caso, contestato la fondatezza dei motivi di diritto formulati in ragione dell’avvenuta inclusione di tali costi nella voce “incidenza investimenti”, della complessiva congruità dell’offerta della controinteressata sulla base, tra l’altro, della “possibilità di utilizzare il centro di cottura messo a disposizione” del predetto “senza vincolo di esclusività, del pieno rispetto dell’art. 19 del bando riguardante il “riassorbimento del personale”, dell’assoluta adeguatezza delle valutazioni compiute dalla Commissione in ordine al costo del personale, delle derrate delle spese generali e, ancora, dell’assoluta ammissibilità della facoltà della controinteressata di procedere alla “rimodulazione di alcuni costi”;

– con atto depositato in medesima data si è, altresì, costituita la controinteressata Siarc s.p.a., la quale – nel contempo – ha sostenuto che il Comune resistente, tornato a provvedere nei termini e nei limiti imposti dal giudicato della sentenza n. 13390 del 2015, ha correttamente operato, ponendo in evidenza – oltre i limiti che connotano il sindacato del giudice amministrativo in caso di verifiche di anomalia – l’inammissibilità della censura afferente i “costi interferenziali”, essenzialmente ricondotta alla mancata formulazione di ogni censura in relazione ad essi nel “primo ricorso” ed all’effetto conformativo della sentenza, l’infondatezza della censura de qua per l’avvenuto recepimento del Duvri nel progetto tecnico e, in particolare, “all’interno della voce investimenti” e nell’offerta (a differenza della ricorrente), con conseguente impossibilità di configurare ricadute negative sull’utile, l’avvenuto rispetto delle previsioni in materia di personale, attesa l’impossibilità di intendere le stesse in termini di “mera conferma dell’organigramma e delle mansioni precedenti”, la correttezza della revisione – e non certo “rideterminazione” – del costo delle derrate poiché costituenti voci di “costo sopravvalutate”, come, tra l’altro, comprovato dalla “documentazione probatoria esibita”, e, ancora, delle spese generali, tenuto, peraltro, conto dell’insorgenza della necessità di procedere ad una rettifica delle voci di costi proprio al precipuo fine di dare esecuzione al dictum del giudice amministrativo , e, ancora, rilevando l’inammissibilità della doglianza inerente alla “Attivazione ed installazione sistema informatico e di un Front-Office di collegamento aperto al pubblico”, e, dunque, sostenendo – in ultimo – il “conseguimento di un utile” anche in ragione della possibilità di utilizzare il centro cottura “anche per altre commesse ed appalti”;

– alla camera di consiglio del 25 maggio 2016 la causa è stata cancellata dal ruolo delle sospensive;

– a seguito della produzione di ulteriori scritti difensivi, con cui la parte ricorrente si è – in particolare – soffermata sul sostenere la tempestività della censura sui costi interferenziali, adducendo l’insorgenza dell’interesse pretensivo a formulare tale doglianza “proprio in esito alla sopravvenienza di fatti e situazioni nuove verificatesi dalla rinnovata sequenza procedimentale” e, ancora, rappresentando la rinnovazione del potere amministrativo che ha poi condotto all’adozione del provvedimento impugnato, mentre le parti resistenti hanno indicato, a supporto della correttezza dei nuovi dati forniti, anche il calcolo medio dei pasti forniti nel corso dei mesi di gestione già effettuati, all’udienza pubblica del 18 luglio 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione;

Ritenuto che il ricorso sia infondato e, pertanto, debba essere respinto per le ragioni di seguito indicate:

– come si trae dalla narrativa che precede, il presente giudizio investe la legittimità del provvedimento di aggiudicazione dell’appalto per l’affidamento in concessione del servizio di refezione scolastica adottato in data 6 aprile 2016 dal Comune di Rocca di Papa a favore della società Siarc, in esito alla rinnovazione da parte della Commissione giudicatrice della valutazione di anomalia imposta dall’intervenuto annullamento da parte di questo Tribunale del provvedimento di aggiudicazione già adottato a favore della citata società il precedente 29 settembre 2015, disposto con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.pr.amm. – in accoglimento del ricorso n. 12542 del 2015 proposto, del pari, dall’odierna ricorrente con formulazione di censure essenzialmente incentrate sull’inattendibilità dell’offerta – sulla base della “mancata valutazione della carenza di indicazione del costo del direttore e del dietista”, ritenuta un elemento influente “in ragione dell’importo di gara e della rilevanza della prestazione richiesta per lo svolgimento del servizio di due dipendenti”, con assorbimento degli “altri motivi di ricorso”;

– in particolare, la documentazione prodotta agli atti rivela che:

a) a seguito di tale pronuncia, la Commissione giudicatrice – riaperto il “sub-procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta” (cfr. verbale n. 7 – all. n. 10 al ricorso) – ha proceduto a trasmettere alla controinteressata Siarc la nota 21 dicembre 2015, prot. n. 31313, al precipuo fine di ottenere chiarimenti in ordine al “costo delle figure del direttore e del dietista nell’ambito dello svolgimento del servizio computandolo tra i costi del personale”;

b) in ottemperanza a quanto richiesto, la Siarc ha prodotto il successivo 11 gennaio 2016 un nuovo prospetto riguardante il personale ed i costi dei singoli addetti, riportante anche voci di costo in relazione al direttore e al dietista e, dunque, un aumento della relativa voce, comunque temperata dalla rappresentazione di “sgravi contributivi”, con annessi chiarimenti, atti a dare conto dell’avvenuta rimodulazione – per fare fronte a tale aumento, astenendosi, come dovuto, dal procedere ad una modificazione dell’offerta economica – delle “voci di costo” relative alle “derrate alimentari” ed alle “spese generali”, ridotte rispettivamente – in termini di “incidenza” “sul prezzo offerto” – dal 28% al 24% e dal 3% all’1,5%;

c) a tali chiarimenti hanno fatto seguito nuove note della Commissione giudicatrice, volte a “richiedere ulteriori precisazioni”, tese, in particolare, a verificare il rispetto delle tabelle ministeriali e del relativo CCNL, l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione degli “sgravi”, e, ancora, ad acquisire ulteriori informazioni circa la riduzione delle ulteriori voci di costo e la “sostenibilità dei costi delle utenze” (rectius: telefono, gas, energia elettrica, acqua potabile nonché tassa rifiuti solidi urbani), a cui la controinteressata ha prontamente fornito riscontro, esibendo, tra l’altro, le “buste paga” del “personale interessato dagli sgravi”;

d) tenuto conto dei chiarimenti forniti, la Commissione giudicatrice – dopo aver escluso che “le giustificazioni addotte” costituiscano “modificazione dell’offerta, coerentemente a quanto sostenuto dal Consiglio di Stato” – è, dunque, pervenuta ad una valutazione positiva della “congruità complessiva dell’offerta” (cfr. verbale n. 12 del 14 marzo 2016);

– tutto ciò riportato, sussistono valide ragioni per convenire con quanto sostenuto dalle parti resistenti in ordine alla irricevibilità per tardività della censura afferente agli “oneri da interferenza”, risultando evidente il carattere assolutamente innovativo di tale doglianza rispetto al ricorso giurisdizionale inizialmente proposto e, quindi, l’impossibilità di procedere alla prospettazione della stessa per la prima volta in sede di formulazione del gravame in trattazione, pena la violazione sia del termine decadenziale di legge di cui all’art. 29 c.pr.amm. sia del principio secondo cui il giudicato copre il “dedotto” e il “deducibile”. Tale conclusione assume, tra l’altro, carattere indefettibile a causa del rilievo che, per stessa ammissione della ricorrente, tali oneri non erano stati oggetto di evidenziazione “già nella specifica originaria” (cfr. pag. 16 dell’atto introduttivo del giudizio e anche pag. 7 della memoria depositata in data 27 giugno 2016) e, dunque, del connesso, doveroso riconoscimento della piena facoltà per la predetta di procedere fin da subito a sollevare la contestazione di cui si discute, senza, peraltro, che valenza alcuna possa essere attribuita a considerazioni inerenti alla sussistenza o meno di un concreto “interesse”, in fase di redazione del ricorso originario, a censurare “la circostanza” de qua, tenuto conto che si tratta comunque di valutazioni connotate da un inequivoco carattere soggettivo, assolutamente inidonee – in quanto tali – ad incidere sui termini imposti dalla legge per la sindacabilità dell’operato delle amministrazioni pubbliche;

– in altri termini, appare doveroso affermare che – tenuto, peraltro, conto anche della particolare importanza rivestita dalla previsione degli oneri di sicurezza, configurata, in più occasioni, in termini di elemento necessario ai fini della stessa individuazione di un’offerta completa, determinata e consapevole (e, dunque, non soltanto, ai fini della verifica di anomalia – cfr., ex multis, C.d.S., Sez. III, 23 gennaio 2014, n. 348), come ricordato, tra l’altro, dalla stessa ricorrente – la formulazione di contestazioni in relazione a un tale profilo non può essere rimessa a considerazioni di carattere meramente personale, pena l’assoluto svilimento dei limiti temporali imposti dal legislatore per la sindacabilità dei provvedimenti amministrativi, tanto più nei casi in cui la concorrente interessata abbia già avuto modo di attivarsi in sede giurisdizionale per contestare la legittimità di quest’ultimi, con conseguente operatività del già richiamato principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile (cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. V, 6 novembre 2015, n. 5070 e n. 5075);

– né, d’altro canto, sussistono validi elementi per affermare la “sopravvenienza di fatti e situazioni nuove verificatesi dalla rinnovata sequenza procedimentale” o, ancora, per riconoscere l’intervenuta adozione, mediante la determinazione n. 325 del 2016, di un nuovo provvedimento, diverso dal precedente, idoneo – in quanto tale – a “riaprire i termini a difesa” (cfr. pag. 10 memoria del 27 giugno 2016, già cit.), atteso che la compiuta e dettagliata disamina dell’attività posta in essere dalla Commissione giudicatrice in esito alla sentenza n. n. 13390 del 2015 conduce inequivocabilmente ad escludere l’intervento di qualsiasi riconsiderazione riguardante “gli oneri di sicurezza” e, precipuamente, il rispetto o meno di quanto all’uopo fissato nel DUVRI, annesso alle regole di gara, e, quindi, a disconoscere – in particolare – la sopravvenienza di un’effettiva nuova valutazione da parte della citata Commissione investente – in qualche modo – gli oneri interferenziali;

– in ogni caso, la censura de qua risulta infondata, tenuto conto che, in base alla formulazione dell’offerta economica, i costi interferenziali fissati dal DUVRI risultano essere stati conteggiati dalla controinteressata e valutato, ancora, che – come diffusamente rappresentato anche negli scritti difensivi delle parti resistenti – il progetto tecnico elaborato dalla Siarc e le giustificazioni poi rese in ordine alla voce “investimenti” in data 9 settembre 2015 contemplavano – in effetti – interventi e migliorie idonee a concretizzare il rispetto delle misure imposte dalle previsioni del DUVRI, con connessa, chiara impossibilità di condividere l’assunto della ricorrente secondo il quale l’utile indicato dall’aggiudicataria (pari a 0,02 a pasto) sarebbe inesistente;

– anche la censura inerente alla violazione dell’art. 19 del bando di gara, rubricato “Clausola sociale di riassunzione”, non è meritevole di positivo riscontro. Stante quanto riportato nella decisione del Consiglio di Stato n. 2637 del 2015 e nel parere ANAC n. 30 del 2014, oggetto, tra l’altro, di espresso richiamo nella clausola in trattazione, la corretta osservanza della previsione de qua non impone, infatti, alcun obbligo di assumere tutti i precedenti lavoratori, con connessa attribuzione agli stessi di “identiche mansioni”, né comporta “automatismi” “tali da inficiare la libertà dell’imprenditore nell’organizzare la propria attività di impresa”, bensì impone semplicemente di “assumere un numero di lavoratori tali da assicurare il servizio”. Orbene, nel caso in trattazione la disamina degli elementi addotti dalla ricorrente e, ancora, dei dati resi dalla controinteressata anche nella fase delle “giustificazioni” non consente di affermare che quest’ultima abbia proposto un organigramma in spregio di tale prescrizione. In particolare, risulta doveroso evidenziare che la controinteressata è stata, tra l’altro, pienamente in grado di dare ragione dell’effettivo minore costo di determinate unità di personale, poiché usufruente di sgravi contributivi, procedendo all’“esibizione delle buste paga” e, quindi, procedendo alla produzione di documentazione probante le spese concretamente sostenute;

– per quanto attiene alla doglianza afferente la “contraddittorietà ed interferenze cui” sarebbe incorsa la Siarc nel “rimodulato sub-procedimento di verifica di congruità” “rispetto al personale”, al “costo delle derrate” ed alle “spese generali”, appare sufficiente rilevare che le giustificazioni offerte dalla controinteressata si rivelano “ragionevoli” e, comunque, risultano supportate da giustificazioni concrete, le quali trovano, peraltro, fondamento proprio nell’ammortamento di spese in precedenza ricomprese o, meglio, conteggiate nelle “spese generali” nell’espressa previsione di un costo per “il direttore” ed il “dietista”, resa necessaria dalla precedente pronuncia del Tribunale. In altri termini, chiaro e apprezzabile si profila lo sforzo della ricorrente di comprovare la carenza di un valido supporto motivazionale al deprezzamento apportato dalla controinteressata alle voci inerenti al costo delle derrate ed alle spese generali ma gli elementi forniti dalla controinteressata alla Commissione giudicatrice – ricollegati, peraltro, a dati oggettivi incontestati, riguardanti il periodo di effettivo espletamento del servizio, il ciclo produttivo (pranzo), l’utilizzo del centro cottura e, ancora, la facoltà di richiedere “esenzioni” – non appaiono “inconferenti” o, meglio, inadeguati ad offrire un’idonea giustificazione degli ammontari indicati;

– in relazione, poi, alla censura afferente la modificazione dell’offerta, ossia la realizzazione – in concreto – di una “modifica degli elementi compositivi tali da pervenire ad un aliud pro alio rispetto a quanto inizialmente offerto”, appare doveroso sia prendere atto che la questione de qua non è stata affatto trascurata da parte della Commissione giudicatrice, così come comprovato da quanto riportato – in particolare – nel verbale n. 12, sia osservare che i rilievi da quest’ultima formulati si rivelano ragionevoli, atteso che l’ammontare dell’offerta economica è rimasta invariato e, comunque, la società Siarc non ha proceduto ad un’indiscriminata ed arbitraria modifica postuma delle voci a composizione dell’offerta economica, in spregio della par condicio dei concorrenti, bensì si è semplicemente limitata a rimodulare voci di costo originariamente indicate, sulla base di un’adeguata rappresentazione di ipotesi di sottostima e sopravvalutazione, riconducibili a comprovati o, comunque, plausibili “errori di calcolo”. Tenuto conto che, anche secondo l’orientamento della giurisprudenza in materia, è certamente indiscusso che, nel corso del giudizio di congruità dell’offerta, teso essenzialmente a stabilire se quest’ultima sia, nel suo complesso e nel suo importo originario, affidabile o meno, il concorrente sottoposto a valutazione non può fornire giustificazioni tali da integrare un’operazione di “finanza creativa” ma al predetto è, comunque, consentito di dimostrare che determinate voci di prezzo erano eccessivamente basse, mentre altre, per converso, erano sopravvalutate, pervenendo così ad un rimaneggiamento delle voci, volto a documentare per alcune di esse un risparmio idoneo a compensare il maggio costo di voci differenti, incidendo, peraltro , anche sull’utile esposto (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 636; C.d.S., Sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3146; TAR Lombardia, Sez. III, 3 dicembre 2013), sussistono ragionevoli motivi per affermare che:

a) tenuto conto di quanto statuito nella sentenza di questo Tribunale n. 13390 del 2015 circa la necessità di riprendere l’iter procedimentale dalla valutazione di anomalia in ragione dell’accertata indicazione di esecutori del servizio a costo zero (rectius: il direttore ed il dietista), la controinteressata non poteva assumere altra iniziativa – al fine di mantenere inalterata l’offerta economica, come logicamente necessario per evitare l’esclusione dalla gara – se non quella di rimodulare le voci di costo e, pertanto, in tal modo ha proceduto;

b) chiara si è profilata, dunque, la necessità della Commissione giudicatrice di procedere ad una rinnovazione della verifica di congruità inerente all’offerta della concorrente posizionatasi prima in graduatoria, comunque connotata – come ripetutamente affermato anche dalla giurisprudenza – da una natura complessiva e globale, sulla base della considerazione, peraltro, di tali nuove voci;

c) ciò detto, le modificazioni apportate e in questa sede denunciate costituiscono e, di conseguenza, debbono essere correttamente intese come una scomposizione e diversa ricomposizione delle voci di costo, da ritenere ammissibile ove la stessa risulti riconducibile – come espressamente palesato dalla controinteressata e poi condiviso dalla Commissione giudicatrice – ad un’effettiva sottostima e ad una contestuale sovrastima di precise voci, per come in origine indicate;

– preso atto di quanto in precedenza esposto e ribadita, in aggiunta, l’inequivoca possibilità della stazione appaltante di considerare anche le possibili economie che una singola impresa è in grado di conseguire (anche con riferimento al costo del lavoro) nel rispetto delle previsioni di legge (cfr. C.d.S., Sez. III, 15 aprile 2016, n. 1533), risulta, pertanto, evidente l’insussistenza di validi e concreti elementi, utili a configurare una modificazione dell’offerta, ossia un “aliud pro alio”;

– per mera completezza, può, altresì, osservarsi che, a conferma dell’effettiva esistenza di tali sovrastime e sottostime e, quindi, della ragionevolezza dell’operato della Commissione giudicatrice, depongono, altresì, specifici dati oggettivi, quali le spese sostenute durante il periodo di servizio già svolto;

– in ultimo, va, altresì, dichiarata l’irricevibilità per tardività della doglianza afferente la stima di una spesa, peraltro eventuale, di € 4.000,00 per l’installazione e il fitto di un box prefabbricato, atteso che i costi per l’attività di “front – office”, ricomprendenti tali spesa, erano già indicati nelle giustificazioni del 9 settembre 2015 e non risultano essere stati affatto riconsiderati nel riattivato procedimento di verifica di anomalia;

Ritenuto – in sintesi – che la valutazione di congruità della Commissione giudicatrice in contestazione, costituente, peraltro, espressione di discrezionalità tecnica e, dunque, sindacabile – in quanto tale – entro precisi limiti, quali l’irragionevolezza, l’illogicità o il palese travisamento dei fatti, con connessa chiara ed evidente impossibilità da parte del giudice amministrativo di sostituire il proprio giudizio a quello dell’Amministrazione (cfr., da ultimo, C.d.S., Sez. III, 22 gennaio 2016, n. 2111; TAR Sicilia, Catania, Sez. III, 30 giugno 2016, n. 1805; TAR Puglia, Sez. II, 24 maggio 2016, n. 696), si presenti esente dai vizi denunciati, tenuto conto, in particolare, del rilievo che – come più volte affermato in giurisprudenza – un’offerta può ben essere considerata affidabile e sostenibile anche in presenza di un utile modesto, tanto più ove siano riscontrabili – come nel caso in esame – specifici vantaggi, quale quello riguardante la facoltà di utilizzare il centro di cottura, messo a disposizione del Comune, anche per altri appalti e commesse;

Ritenuto che, per le ragioni in precedenza illustrate, il ricorso vada respinto;

Ritenuto, peraltro, che – compiutamente valutate le peculiarità che connotano la vicenda in esame – sussistano ragionevoli motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 5429/2016, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 luglio 2016 con l’intervento dei Magistrati:

Elena Stanizzi, Presidente

Antonella Mangia, Consigliere, Estensore

Antonio Andolfi, Primo Referendario

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Antonella Mangia Elena Stanizzi

IL SEGRETARIO

Giurdanella.it.

Lo studio legale Giurdanella&Partners partecipa al giudizio contro il quesito del referendum costituzionale

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riforma costituzione

Ad inizio mese è stato presentato al TAR Lazio, sezione Seconda Bis di Roma, un ricorso avverso il decreto di indizione del referendum confermativo della legge di revisione costituzionale, che, come è noto, si svolgerà il prossimo 4 dicembre, nella parte in cui ammette un quesito dalla natura oscura e fuorviante.

Nel giudizio è intervenuto, ad adiuvandum, anche lo studio legale Giurdanella & Partners, con gli avvocati Carmelo Giurdanella, Marco Antoci e  Daniela Maliardo, a tutela degli interessi dell’associazione Cittadini Europei.

Lo studio ha così preso parte alla camera di consiglio del 17 ottobre scorso, all’esito della quale il Collegio potrebbe anche definire il giudizio con una sentenza breve ex art. 60 c.p.a.

L’interesse leso, nella fattispecie, è quello al pieno ed effettivo esercizio del diritto di voto degli elettori, che verrebbe leso da un quesito referendario che si limita a riprodurre il titolo della legge di riforma, senza dare alcuna indicazione sulle disposizioni costituzionali modificate, né, quantomeno, sui Titoli della Carta Costituzionale che risulterebbero revisionati.

Si ricorda, infatti, che la legge costituzionale in questione, che gli elettori saranno chiamati ad approvare con il referendum, incide su quasi un terzo della Costituzione, intervenendo a modifica di ben 47 articoli!

Di seguito, si pubblica il testo dell’atto di intervento depositato dallo studio Giurdanella & Partners.

Giurdanella.it.


Omessa sottoscrizione dell’offerta: la sentenza del TAR Lazio

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offerta tecnica

Il TAR Lazio – Roma, Sez. III Quater, con la sentenza n. 11092 del 9 novembre 2016, ha dichiarato l’illegittimità dell’aggiudicazione di una gara di appalto ad una ditta per omessa sottoscrizione di alcuni documenti dell’offerta tecnica.

In particolare, si legge dalla sentenza che “è illegittima l’aggiudicazione di una gara in favore di una ditta che ha omesso di sottoscrivere alcuni documenti dell’offerta tecnica, nel caso in cui si tratti di documenti integranti – secondo il capitolato speciale – elementi essenziali della medesima offerta”.

La giustificazione di ciò risiede nel fatto che la mancata sottoscrizione dell’offerta tecnica, che costituisce uno dei documenti integranti la domanda di partecipazione alla gara, non può essere considerata un’irregolarità solo formale e, quindi, sanabile nel corso del procedimento, dal momento che essa fa venire meno la certezza della provenienza e della piena assunzione di responsabilità in ordine ai contenuti della dichiarazione nel suo complesso “posto che la sottoscrizione di un documento è lo strumento mediante il quale l’autore fa propria la dichiarazione anteposta contenuta nello stesso, consentendo così non solo di risalire alla paternità dell’atto, ma anche di rendere l’atto vincolante verso i terzi destinatari della manifestazione di volontà“.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

Pubblicato il 09/11/2016

N. 11092/2016 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5813 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Hospital Service s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Giuliano Di Pardo C.F. DPRGLN68B11F839V, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza del Popolo, 18

contro

Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Fratto C.F. FRTGPP63P03H501M, Egidio Mammone C.F. MMMGDE60M13B758S, Vincenzo Gambardella C.F. GMBVCN61B22H501F, con domicilio eletto presso la sede aziendale in Roma, circonvallazione Gianicolense, 87

nei confronti di

– Servizi Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., in proprio e quale capogruppo mandataria del r.t.i. con Adapta Processi Industriali per l’Igiene e la Sterilizzazione s.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati Ermes Coffrini, Marcello Coffrini e Massimo Colarizi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Bruno Buozzi, 87;
– Adapta Processi Industriali per l’Igiene e la Sterilizzazione s.p.a., in persona del legale rapp.te p.t., n.c.

per l’annullamento

– del bando di gara per l’affidamento del “Servizio di noleggio e lavaggio della biancheria e di tutti gli effetti tessili (lenzuola, coperte, materassi, guanciali, vestiario e divise del personale etc.) nonché fornitura di T.N.T. non sterile e di teleria e capi sterili per camera operatoria necessari a soddisfare le esigenze residenziali/alberghiere e le attività sanitarie dell’azienda ospedaliera S. Camillo-Forlanini”;

– del provvedimento di approvazione degli atti di gara, nonché dei verbali di gara con gli allegati, del disciplinare di gara, del capitolato speciale con gli allegati, dei chiarimenti resi dalla stazione appaltante, dell’avviso di modifica e sostituzione del capitolato, della proroga del termine per la presentazione delle offerte, dello schema di contratto;

– della nota prot. n. 8239 del 9 marzo 2016 di comunicazione dell’aggiudicazione definitiva;

– del provvedimento n. 269 del 9 marzo 2016 di aggiudicazione definitiva;

– della nota prot. n. 8728 del 14 aprile 2016 di diniego di accesso all’offerta tecnica;

– della nota prot. n. 7653 del 4 aprile 2016 di rigetto dell’istanza di riesame;

– del provvedimento di nomina della Commissione, delibera n. 1152 del 21 ottobre 2016;

– dell’attività e dei provvedimenti afferenti la valutazione dei requisiti di ordine generale, tecnico/professionale ed economici, nonché della congruità dell’offerta;

– dell’eventuale contratto di appalto ove stipulato;

nonché

per la declaratoria del diritto della ricorrente a conseguire l’aggiudicazione della gara e l’inerente contratto di appalto, nonché per l’inefficacia del contratto eventualmente stipulato e per la condanna dell’ente alle correlate obbligazioni;

in subordine, per il riesame da parte della Commissione della sussistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza ovvero per la trasmissione degli atti di gara all’Autorità Garante della Concorrenza per effettuare tale valutazione;

sempre in subordine, per l’annullamento dell’intera procedura, con riedizione della gara e ordine alla stessa amministrazione di assicurare l’erogazione del servizio avviando una procedura negoziata tra le imprese partecipanti per individuare la migliore offerta qualità/prezzo;

nonché per il risarcimento dei danni in forma specifica e, in subordine, per equivalente.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini e della Servizi Italia s.p.a. in proprio e nella qualità;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2016 il dott. Alfredo Storto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso notificato all’Azienda Ospedaliera S. Camillo-Forlanini il 9-13 maggio 2016, a Servizi Italia s.p.a. il 9-12 maggio 2016, al r.t.i. tra Servizi Italia s.p.a. e Adapta Processi Industriali per l’Igiene e la Sterilizzazione s.p.a. il 9-12 maggio 2016 e ad Adapta Processi Industriali per l’Igiene e la Sterilizzazione s.p.a. il 9-16 maggio 2016 e depositato il successivo 13 maggio, la Hospital Service s.r.l. impugna, relativamente al lotto 1, gli atti della procedura aperta da aggiudicare con il criterio dell’art. 83 d.lgs. n. 163/2006, indetta dall’A.O. S. Camillo-Forlanini per il servizio meglio indicato in epigrafe.

In particolare, il lotto 1, avente base d’asta di € 16.500.000,00, era stato definitivamente aggiudicato al r.t.i. tra Servizi Italia e Adapta, nel mentre l’odierna ricorrente si era classificata al secondo posto.

Quest’ultima, che aveva già lamentato nel corso della gara la mancata esclusione del controinteressato e il successivo parziale diniego di accesso documentale, avanza istanza istruttoria e lamenta nel merito:

1) la violazione e la falsa applicazione del d.lgs. 163/2006, del d.P.R. n. 207/2010, della l. n. 298/1974, del Reg. CE 1071/2009, del d.P.C.m. 8 gennaio 2015, delle regole e dei principi in tema di qualificazione per l’ammissione e la partecipazione a gare pubbliche, della normativa di gara, della par condicio, nonché il difetto di istruttoria, lo sviamento di potere e il difetto di motivazione, in quanto il servizio di lavanolo messo a gara sarebbe stato configurato unitariamente dalla normativa di gara, senza distinguere tra prestazione principale e secondaria, cosicché l’ammissione del r.t.i. controinteressato, avente carattere verticale, sarebbe illegittima avendo Adapta assunto attività non svolte anche dalla capogruppo Servizi Italia, qualificandole di fatto come secondarie;

2) la violazione e la falsa applicazione del d.lgs. 163/2006, del d.P.R. n. 207/2010, della lex specialis di gara, difetto di istruttoria, sviamento di potere, difetto di motivazione in quanto la Commissione, nella seduta dell’11 gennaio 2016, aveva attribuito punteggi grandemente diversi, discrezionali e non proporzionali con particolare riguardo ai criteri quantitativi stabiliti dal bando;

3) la violazione e la falsa applicazione del d.lgs. 163/2006, del d.P.R. n. 207/2010, della normativa di gara, della l. 55/1990, della par condicio, del d.P.C.m. 11 maggio 1991, n. 187, del principio di pubblicità, di imparzialità e di buon andamento della p.a. di cui all’art. 97 Cost., difetto di istruttoria, sviamento di potere, difetto di motivazione, in quanto il r.t.i. controinteressato avrebbe dovuto essere escluso dalla gara per violazione del divieto di intestazione fiduciaria ex art. 38, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 163/2006, posto che l’8,7% delle azioni di Servizi Italia s.p.a., corrispondente alla quota di controllo di cui all’art. 2359 c.c., è detenuto dalla società di diritto americano Kabouter Managment LLC che non è una società fiduciaria autorizzata ai sensi della l. n. 1966/1939;

4) la violazione e la falsa applicazione del d.lgs. 163/2006, del d.P.R. n. 207/2010, della normativa di gara, della l. 287/1990, delle Dir. 18/04 e 24/14 e Tuefi, travisamento dei fatti, violazione del principio di trasparenza e par condicio, dello Statuto p.m.i., del principio di concorrenza e parità di accesso alle gare pubbliche, difetto di istruttoria e di motivazione, sviamento di potere, in quanto il r.t.i. controinteressato sarebbe sovrabbondante, posto che avrebbero potuto concorrere singolarmente entrambe le aziende che vi avevano dato vita, gestori uscenti del servizio, cosicché la loro partecipazione alla gara in r.t.i. avrebbe avuto un effetto distorsivo della concorrenza comprovato dalla dominanza che tali aziende hanno nel settore del lavanolo;

5) la violazione e la falsa applicazione degli artt. 86, 87, 88 e 89 del d.lgs. 163/2006, del d.lgs. 81/2008, della normativa di gara, del principio di parità, trasparenza dell’azione amministrativa, nonché carenza di istruttoria, erroneità e/o difetto dei presupposti, carenza di motivazione, in quanto, avendo il r.t.i. Servizi Italia un punteggio superiore ai 4/5 di quello previsto dalla normativa di gara sia per la componente qualitativa sia per quella economica dell’offerta, la Stazione appaltante avrebbe dovuto verificarne la congruenza ex artt. 86 ss. d.lgs. n. 163/2006, mentre dagli atti di gara non emerge che tale verifica sia stata effettuata;

in via subordinata, ai fini dell’annullamento della gara,

6) la violazione e la falsa applicazione dell’art. 15, comma 3, d.l. 95/2012, della l. 296/2006, delle ll.rr. 14/2008, 4/2006, 8/2006, 17/2009, sviamento di potere, difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto la procedura di gara si sarebbe svolta in mancanza di idonea autorizzazione da parte della Regione Lazio;

7) la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2 e 27 del d.lgs. 163/2006, dell’art. 120, comma 2, del d.P.R. n. 207/2010, del principio di pubblicità, di parità di trattamento, del giusto procedimento, di trasparenza e di imparzialità, in quanto l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche è avvenuta in seduta riservata anziché pubblica;

8) la violazione e la falsa applicazione del d.lgs. 163/2006, del d.P.R. n. 207/2010, della lex specialis, sviamento di potere, difetto di motivazione, per l’irregolare composizione della Commissione che ha svolto le operazioni di gara del 12 novembre 2015, diversa da quella designata dalla Stazione appaltante, per la sostituzione del Presidente, dott.ssa Gagliano, con la dott.ssa Anna Salducci, priva dei requisiti di esperienza e competenza e neppure indicata supplente nel provvedimento di nomina della Commissione;

9) la violazione e la falsa applicazione del d.lgs. 163/2006, del d.P.R. n. 207/2010, della Direttiva CE2004/18, dei principi di trasparenza, efficienza, buona amministrazione, par condicio, eccesso e sviamento di potere, in quanto la legittimità dell’intera procedura sarebbe inficiata a causa della duplicazione degli aspetti qualitativi assunti come criteri e sub criteri di valutazione;

10) la violazione e la falsa applicazione degli artt. 42 e 83 c.c.p. per illegittima commistione tra criteri afferenti alla valutazione dell’offerta e criteri relativi a requisiti soggettivi di ammissione, dell’art. 44 c.c.p. e dell’art. 50 della Direttiva CEE 2004/18/C, manifesta incoerenza;

11) la violazione e la falsa applicazione della lex specialis, della lettera di invito, del codice degli appalti, del d.P.R. 207/2010, dei principi di trasparenza, pubblicità, par condicio, incompetenza, difetto di motivazione e di istruttoria, a causa dell’omessa indicazione della metodologia prescelta dalla Stazione appaltante per l’attribuzione dei punteggi da parte dei commissari;

12) la violazione e la falsa applicazione del codice degli appalti, della normativa comunitaria, della lex specialis, del principio di imparzialità ed efficienza della p.a., di parità di trattamento, difetto di istruttoria, illogicità, ingiustizia grave e manifesta, in quanto l’intera gara è inficiata dall’asimmetria informativa determinata dalla carenza del dato essenziale costituito dal consumo storico di biancheria.

La ricorrente ha dunque chiesto, in via principale, l’annullamento degli atti gravati e l’aggiudicazione in suo favore, in subordine, previo annullamento dell’aggiudicazione, di riesaminare l’esistenza dell’intesa restrittiva della concorrenza ovvero l’annullamento della procedura con conseguente risarcimento del danno, in forma specifica o per equivalente, vittoria di spese e refusione del contributo unificato.

Si è difesa l’Azienda Ospedaliera S. Camillo-Forlanini eccependo, in limine, la tardività del ricorso posto che, a fronte dell’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva con deliberazione n. 269 del 9 marzo 2016, il ricorso sarebbe stato notificato soltanto il 13 maggio 2016; ha comunque concluso per l’inammissibilità ovvero per l’infondatezza dell’impugnativa.

Analoghe conclusioni ha preso Servizi Italia s.p.a., costituitasi in proprio e quale capogruppo mandataria del r.t.i. con Adapta.

Con atto di motivi aggiunti la Hospital Service s.r.l., avuto contezza dell’offerta tecnica del r.t.i. controinteressato, ha quindi riproposto le censure già formulate col ricorso introduttivo ed ha articolato le seguenti:

1) la violazione e la falsa applicazione del d.lgs. 163/2006, del d.P.R. n. 207/2010, dei principi di trasparenza, pubblicità, imparzialità, parità di trattamento, giusto procedimento, per non avere il r.t.i. controinteressato sottoscritto l’offerta tecnica;

2) la violazione e la falsa applicazione del d.lgs. 163/2006, del d.P.R. n. 207/2010, della lex specialis, sviamento di potere, difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto la Commissione giudicatrice non avrebbe aperto le confezioni contenenti i prodotti in TNT e in TTR presentati dal r.t.i., valutandoli così “a scatola chiusa” e, comunque, alla luce del consentito accesso documentale, per la conferma dell’illegittimità della valutazione e dei punteggi attribuiti con riguardo a vari sub criteri;

in via subordinata, ai fini dell’annullamento della gara,

3) la violazione e la falsa applicazione del d.lgs. 163/2006, del d.P.R. n. 207/2010, della l. 241/1990, dei principi di trasparenza, pubblicità, imparzialità, parità di trattamento, giusto procedimento, in quanto, a seguito dell’accesso documentale, è emerso che la Commissione non soltanto non ha aperto l’offerta tecnica in seduta pubblica, ma non ha neppure vidimato la documentazione (progetto e schede tecniche) prodotte dal r.t.i.

L’Azienda Ospedaliera S. Camillo-Forlanini ha ribadito l’eccezione di irricevibilità del ricorso, precisando che la ricorrente avrebbe preso parte con un proprio procuratore già alla seduta di gara del 17 febbraio 2016 nella quale era stata comunicata l’aggiudicazione provvisoria (come resterebbe dimostrato dalla prima richiesta di accesso del 22 febbraio 2016), nel mentre il provvedimento di aggiudicazione definitiva, in data 9 marzo 2016, era stato conosciuto già al momento della sua approvazione, visto che il 10 marzo 2016 era stato pubblicato all’Albo pretorio e inserito sul sito web aziendale.

Nel merito, al pari della parte controinteressata, ha ribadito le proprie conclusioni reiettive.

All’esito della odierna udienza la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

1. L’impugnativa spiegata col ricorso introduttivo è tempestiva.

Per un verso, infatti, la pubblicazione della delibera di aggiudicazione mediante affissione all’albo pretorio (cfr. C.d.S., 18 ottobre 2013, n. 5070) ovvero sul sito web (v. Tar Sardegna, 12 maggio 2011, n. 478) della stazione appaltante non è idonea a determinare la decorrenza del termine d’impugnazione.

Per altro verso, «ai fini dell’impugnazione degli atti di gara, la presenza di un delegato di un’impresa concorrente alle operazioni di gara di apertura delle offerte tecniche e di quelle economiche, nonché di aggiudicazione provvisoria, non determina per la suddetta impresa il dies a quo per la proposizione del ricorso, atteso che solo l’aggiudicazione definitiva produce, nei confronti dei partecipanti alla gara diversi dall’aggiudicatario, un effetto lesivo (consistente nella privazione definitiva, salvo interventi in autotutela della stazione appaltante od altre vicende comunque non prevedibili né controllabili, del “bene della vita” rappresentato dall’aggiudicazione della gara); sì che solo dalla piena conoscenza della aggiudicazione definitiva (in quanto unico atto conclusivo della procedura selettiva, in relazione al quale sorge un onere di tempestiva impugnazione da parte dei concorrenti non aggiudicatari) e di tutti gli elementi di cui al comma 2, lett. c), dell’art. 79, d.lgs. n. 163/2006 decorrono i termini per l’impugnazione di quegli atti che hanno portato alla aggiudicazione provvisoria (avente in ogni caso natura di mero atto endoprocedimentale, la cui autonoma impugnazione costituisce una mera facoltà)» (cfr. C.d.S. 2015, n. 25).

Segnatamente, nel caso di specie, l’odierna ricorrente – la quale ha dedotto, incontestata, che il provvedimento di aggiudicazione definitiva le è stato comunicato l’8 aprile 2016 – ha spedito il ricorso per la notifica lunedì 9 maggio 2016 e, quindi, l’ultimo giorno utile tenuto conto, per gli effetti dell’art. 52, comma 3, c.p.a., che l’8 maggio 2016 era domenica.

2. Venendo alle censure articolate col ricorso introduttivo, va respinta la prima tenuto conto che il bando di gara, da un lato, non distingueva tra prestazioni principali e secondarie, configurando quella di lavanolo come una prestazione unitaria e complessa e, dall’altra, considerava tout court ammissibile la partecipazione alla gara delle associazioni temporanee di impresa ai sensi dell’art. 37 del d.lgs. n. 163/2006 (v. pagg. 52 e 54 del capitolato speciale, nella quale ultima è chiesta addirittura ai rappresentanti delle imprese raggruppate una dichiarazione «attestante le parti del servizio che saranno eseguite dalle singole imprese, che sarà vincolante per il raggruppamento in caso di aggiudicazione»), senza distinguere tra raggruppamenti verticali e orizzontali; ne discende che l’indicazione partita del soggetto raggruppato in relazione alle singole prestazioni comprese nel Lotto 1 effettuata nell’offerta del controinteressato, che non ha invece dichiarato in ordine alla natura verticale ovvero orizzontale del raggruppamento, non assume la valenza di una riqualificazione delle prestazioni, ovvero di una non consentita scomposizione del contenuto della prestazione volta a distinguere fra prestazioni principali e secondarie, ma piuttosto quella di una indicazione che corrisponde, nell’equivalenza della capacità tecnica di entrambe le aziende raggruppate (come messo in evidenza in un successivo motivo proprio dalla ricorrente), ad una puntuale prescrizione della legge di gara nonché alla generale previsione dell’art. 37, comma 4, d.lgs. n. 163/2006 a prescindere da distinzioni legate alla natura morfologica del raggruppamento verticale od orizzontale, alla tipologia delle prestazioni principali o secondarie, scorporabili o unitarie, o al dato cronologico del momento della costituzione dell’associazione, costituita o costituenda.

2.1. Va invece dichiarato inammissibile il secondo articolato motivo di ricorso, che risulta generico laddove censura la valutazione delle offerte tecniche svolta dalla Commissione, in particolare con riguardo ai sottocriteri previsti dalla legge di gara, senza offrire al Giudicante alcun riferimento puntuale ed asseverato sia con riguardo ai punteggi non attribuiti sia con riguardo alla rilevanza delle censure, partitamente e complessivamente, in termini di capovolgimento dell’esito di gara (c.d. prova di resistenza) anche alla luce dell’ampia forbice che divide i punteggi in comparazione (80 punti alla ricorrente e 91,45 punti al r.t.i. controinteressato).

2.2. Neppure può essere accolto il terzo motivo di ricorso, tenuto conto che la ricorrente non prova né la natura fiduciaria della società estera che detiene l’8.690% del pacchetto azionario della Servizi Italia s.p.a. né la ricorrenza degli affermati presupposti di cui all’art. 2359 c.c., cosicché non può dirsi violato l’art. 38, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 163/2006.

2.3. Quanto alla lamentata sovrabbondanza del raggruppamento (quarto motivo di ricorso), questa Sezione ha già avuto modo di rilevare (sent. 26 aprile 2016, n. 4741), che, «se è vero che l’ordinamento in generale, e la regola della specifica gara, non vietano la cosiddetta ATI sovrabbondante, vale a dire il raggruppamento di più soggetti individualmente già in possesso dei requisiti per partecipare alla selezione (…), è anche vero che l’uso di strumenti consentiti in via generale non è di per sé neutro, ben potendo esserne apprezzato il concreto esito, anche e soprattutto alla luce del principio della tutela della concorrenza (così Cd.S. sent. 4 novembre 2014, n. 5423)». Pertanto «ai fini della verifica di una condotta anticoncorrenziale, è necessario, da un lato, che venga in rilievo non una isolata condotta, ma la portata anticoncorrenziale di una serie di atti rivelatori, anche, in tesi, in sé legittimi dei quali si faccia tuttavia un uso strumentale, non coerente con il fine per il quale sono attribuiti i relativi poteri e che si deve concretizzare nella restrizione della concorrenza per la partecipazione alla gara. Inoltre, è necessario che di tali comportamenti si faccia una disamina puntuale e concreta che sia in grado di connotare con tratto di concretezza e di incisività la condotta anticoncorrenziale del raggruppamento nel caso di specie».

Tanto premesso, la ricorrente ha desunto la violazione dell’art. 8 del disciplinare di gara («sono altresì esclusi dalla gara i concorrenti coinvolti in situazioni oggettive lesive della par condicio tra i concorrenti»), quantomeno sotto il profilo della mancata attivazione della Commissione per verificare l’allegato vulnus, dal fatto che le società consorziate siano i gestori uscenti del servizio e, pertanto, avrebbero scelto la forma associata per salvaguardare i rispettivi livelli di fatturato, dal mancato impiego delle economie di scala commisurate al r.t.i. e dalla posizione di assoluta dominanza dalle stesse rivestita nel mercato del lavanolo, che sarebbe da queste controllato nella misura del 40%.

Il complesso di tali elementi ad avviso del Collegio non vale tuttavia ad integrare un reticolo comportamentale convergente verso una manifesta finalità anticoncorrenziale, considerata anche l’assenza di anomalie rivelatrici nel dato economico dell’offerta ovvero nell’assetto organizzativo del r.t.i., risultando inoltre alcune delle affermazioni della ricorrente (in ordine alla finalità unica di salvaguardare i livelli di fatturato e al mancato impiego di adeguate economie di scala) ipotetiche ovvero generiche.

Il motivo non può dunque essere accolto.

2.4. Non è accoglibile neppure il quinto motivo di ricorso tenuto conto, in linea generale, che «le problematiche relative alla motivazione della anomalia della offerta si pongono in termini notevolmente diversi a seconda del grado e del tipo di anomalia che abbia dato luogo alla verifica dell’offerta» e che, in particolare, «qualora si proceda (…) alla verifica a norma dell’art. 86, co. 3, del codice dei contratti, recante l’ipotesi in cui l’offerta migliore ha riportato un punteggio non inferiore ai quattro quinti del massimo tanto per l’aspetto tecnico quanto per l’aspetto economico, non occorre una motivazione particolarmente approfondita, non potendosi neppure parlare di offerta sospetta di anomalia, bensì solo di verifica effettuata per scelta discrezionale dell’Amministrazione; e, com’è noto e come già accennato, il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta si connota per poteri, che, poiché inerenti la verifica dell’anomalia delle offerte, attengono alla sfera propria di discrezionalità tecnica della stazione appaltante, sicché il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni compiute dalla p.a. sotto il profilo della loro logicità e ragionevolezza e della congruità dell’istruttoria, ma non può operare autonomamente siffatta verifica, pena l’invasione di quella sfera tipica» (così, ex multis, C.d.S. 9 luglio 2014, n. 3492).

Ciò posto, nella specie, come considerato dall’Azienda resistente, risulta dal provvedimento di aggiudicazione definitiva (n. 269 del 9 marzo 2016) che «sono state esperite con esito positivo le verifiche sul possesso dei requisiti di ordine generale e della capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale, rese in sede di gara dalle ditte aggiudicatarie».

3. Prima di eventualmente esaminare le censure articolate in via subordinata col ricorso introduttivo con finalità demolitoria dell’intera gara, occorre prendere in considerazione quelle articolate coi motivi aggiunti e volte, invece, ad ottenere in via principale la mera esclusione del controinteressato r.t.i. dalla gara.

3.1. Segnatamente col primo dei motivi aggiunti (spediti per la notifica il 25 luglio 2016) la ricorrente, che ha versato in giudizio i relativi atti acquisiti a seguito di accesso documentale del 28 giugno 2016, censura la mancata sottoscrizione dell’offerta tecnica e, in particolare, degli allegati ai capitoli 2, 3, 4 e 6 contenenti l’elencazione degli articoli offerti con la descrizione, mediante schede tecniche, delle caratteristiche di questi e il processo di sterilizzazione impiegato da controparte.

Si sono difese l’amministrazione e la parte controinteressata, deducendo che la sottoscrizione, da apporre peraltro sull’ultima pagina, era prevista dal bando soltanto per l’offerta economica e non anche per quella tecnica e che tale carenza rivestirebbe comunque carattere inessenziale e sarebbe sanabile mediante il soccorso istruttorio.

La censura è fondata.

Osserva in proposito il Collegio che, nel caso di specie, a fronte della produzione documentale della ricorrente, non v’è stata contestazione in ordine alla mancata sottoscrizione dei documenti in questione i quali, alla stregua di quanto disposto dall’art. 35 del capitolato speciale (pagg. 55 ss.), integrano nei suoi elementi essenziali l’offerta tecnica, costituita da una relazione tecnica da inserire nella “busta n. 2” che, tra le altre cose, deve evidenziare «tipologia e caratteristiche degli articoli proposti».

Ha in proposito chiarito la giurisprudenza che «la sottoscrizione dell’offerta, prescritta ai sensi dell’art. 74 d.lgs. n. 163 del 2006, si configura come lo strumento mediante il quale l’autore fa propria la dichiarazione contenuta nel documento, serve a renderne nota la paternità ed a vincolare l’autore alla manifestazione di volontà in esso contenuta. Essa assolve la funzione di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell’offerta e costituisce elemento essenziale per la sua ammissibilità, sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere gli effetti dell’offerta come dichiarazione di volontà volta alla costituzione di un rapporto giuridico. La sua mancanza inficia, pertanto, la validità e la ricevibilità della manifestazione di volontà contenuta nell’offerta senza che sia necessaria, ai fini dell’esclusione, una espressa previsione della legge di gara (Cons. St. Sez. V, 7.11.2008, n. 5547). Non può ritenersi equivalente alla sottoscrizione dell’offerta l’apposizione della controfirma sui lembi sigillati della busta che la contiene» (così C.d.S. 25 gennaio 2011, n. 528).

Inoltre, l’art. 46 comma 1-bis del d.lgs. n. 163/2006, relativo all’incertezza sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, va letto nel senso che può essere sanzionata con l’esclusione dalla gara l’offerta che presenti un margine di incertezza significativo, sia per il contenuto intrinseco della stessa, sia in relazione all’oggetto dell’appalto: analogamente, sono da ritenere essenziali quegli elementi dell’offerta atti ad incidere in maniera significativa sul contenuto della stessa, tanto che la loro mancanza renda l’offerta non soddisfacente rispetto alle richieste della stazione appaltante. Pertanto, va escluso il concorrente il quale abbia omesso la sottoscrizione dell’offerta tecnica – la quale non è negozialmente imputabile ad alcuno – mentre la mancata esplicita previsione di tale carenza tra le cause di esclusione è irrilevante “trattandosi di mancanza di un elemento essenziale dell’offerta che anche nell’attuale assetto normativo disegnato dall’attuale art. 46, comma 1-bis, del Codice appalti, in cui è stato codificato il principio di tassatività delle cause di esclusione, rileva quale causa di estromissione del concorrente dalla gara d’appalto (in questi termini Consiglio di Stato, 21 giugno 2012 n. 3669 e 8 agosto 2013, n. 727).

In conclusione, la mancata sottoscrizione dell’offerta tecnica, che costituisce uno dei documenti integranti la domanda di partecipazione alla gara, non può essere considerata, in via di principio, un’irregolarità solo formale sanabile nel corso del procedimento, atteso che essa fa venire meno la certezza della provenienza e della piena assunzione di responsabilità in ordine ai contenuti della dichiarazione nel suo complesso posto che la sottoscrizione di un documento è lo strumento mediante il quale l’autore fa propria la dichiarazione anteposta contenuta nello stesso, consentendo così non solo di risalire alla paternità dell’atto, ma anche di rendere l’atto vincolante verso i terzi destinatari della manifestazione di volontà (ibidem).

Da tanto discende che il r.t.i. aggiudicatario avrebbe dovuto essere escluso dalla gara e, quanto all’odierno processo (non risultando che si sia proceduto alla stipula del relativo contratto), che va accolta la domanda di annullamento dell’aggiudicazione del lotto 1, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti che l’amministrazione dovrà adottare in esecuzione della presente sentenza.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, accoglie i motivi aggiunti e per l’effetto annulla l’aggiudicazione impugnata.

Condanna l’amministrazione e la parte controinteressata, in solido tra loro, a rifondere alla ricorrente le spese processuali, che liquida in complessivi € 20.000,00 (ventimila), nonché a rimborsare il contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Sapone, Presidente

Alfredo Storto, Consigliere, Estensore

Massimo Santini, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Alfredo Storto Giuseppe Sapone

IL SEGRETARIO

Giurdanella.it.

Requisiti di iscrizione all’Albo cassazionisti: il TAR Lazio solleva questione di legittimità

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cassazionista

Il TAR Lazio – Roma, Sez. III, con l’ordinanza n. 12856 del 29 dicembre 2016, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, l. 247/2012 sulle modalità di iscrizione all’albo speciale degli avvocati cassazionisti per disparità di trattamento tra gli avvocati italiani e quelli stabiliti.

Si legge dalla sentenza: “In relazione all’articolo 3, 2° comma, della Costituzione, va sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma secondo, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (sulla “Riforma della professione forense”), il quale ha modificato il previgente sistema per il patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori, introducendo due alternative per acquisire l’abilitazione al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori: sostenere l’esame previsto dall’art. 4, comma 3, della legge 1003/1936, decorsi cinque anni dall’iscrizione all’Albo professionale; oppure, decorsi otto anni di iscrizione all’Albo la frequenza di un corso svolto dalla Scuola superiore dell’avvocatura e superamento dell’esame finale. Quest’ultima modalità per ottenere l’iscrizione nell’albo speciale contrasta con quella prevista per gli avvocati stabiliti, i quali invece, dopo dodici anni di attività professionale (esercitata anche interamente in Italia), possono iscriversi presso l’Albo speciale fregiandosi del relativo titolo; mentre, all’avvocato italiano è sempre preclusa tale facoltà, dovendo, invece, sostenere un iter formativo con relativo esame finale, al fine di potersi iscrivere nell’Albo speciale”.

A giudizio dei giudici del TAR del Lazio si manifesta un’evidente disparità di trattamento, in quanto dopo dodici anni di esercizio dell’attività professionale, l’avvocato stabilito può iscriversi presso l’Albo speciale fregiandosi del relativo titolo; mentre ciò non è consentito all’avvocato italiano, il quale, secondo il tenore della norma vigente, è tenuto a sostenere un “iter formativo” che trova la propria conclusione solo a seguito del superamento dell’esame finale, allo scopo di potersi iscrivere nell’Albo speciale.

Si riporta di seguito il testo dell’ordinanza.

***

Pubblicato il 29/12/2016

N. 12856/2016 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 2415 del 2016, proposto da:

Roberta Barbieri, Barbara Bari, Corrado Benigni, Giovanni Bertino, Giammaria Bonfiglio, Paolo Botteon, Paola Borghi, Jean Battista Carminati, Valentina Carminati, Davide Ceruti, Michele Cesari, Bruna Civardi, Nicola Colli, Francesco De Marini, Gessica Franzoni, Giovanni Frosio, Chiara Gaio, Giacomo Gozzini, Omarmassimo Hegazi, Cristina Maccari, Ruben Marioni, Fabio Marongiu, Paolo Moretti, Giulio Musci, Ottaviano Mussumeci, Marco Nossa, Stefano Rossi, Fabio Savoldi, Irene Sirtoli, Andrea Temporin, Ernesto Nicola Tucci, Simone Tangorra e Daniele Zucchinali, rappresentati e difesi dall’avvocato Giuseppe La Rosa C.F. LRSGPP82H28H163G, domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del Tar Lazio in Roma, via Flaminia, 189;

contro

Il Consiglio Nazionale Forense (CNF), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Sanino C.F. SNNMRA38E03H501M, Giuseppe Morbidelli C.F. MRBGPP44S16A390N e Giuseppe Colavitti C.F. CLVGPP70L27B354I, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, v.le Parioli, 180;
il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Fondazione Scuola Superiore dell’Avvocatura – Sezione Scuola Superiore dell’Avvocatura per Cassazionisti non costituita in giudizio;

per l’annullamento

– del Regolamento del Consiglio Nazionale Forense n. 1 del 20 novembre 2015 di cui all’art. 22 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 sui corsi per l’iscrizione all’ “Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori”, pubblicato sul sito istituzionale del Consiglio Nazionale Forense a decorrere dal 14 dicembre 2015;

– di tutti gli atti connessi, preordinati e conseguenti, comunque lesivi dei diritti e degli interessi degli odierni ricorrenti, tra cui, in particolare, del provvedimento CNF AMM05/01/16.024482U del 12 gennaio 2016, recante “Bando per l’ammissione al corso propedeutico all’iscrizione nell’Albo speciale per il patrocinio dinanzi alle Giurisdizioni superiori, ai sensi dell’art. 22, comma 2, della Legge 31 dicembre 2012, n. 247”, pubblicato sulla GURI 4° serie Concorsi ed esami n. 4, in data dal 12 gennaio 2016;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consiglio Nazionale Forense (Cnf) e di Ministero della Giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visto l’art. 79, co. 1, cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2016 il dott. Vincenzo Blanda e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

I ricorrenti sono iscritti all’Albo degli avvocati, ma non sono iscritti all’Albo speciale per il patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori.

L’art. 221 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (“Riforma della professione forense”) ha modificato il previgente sistema per il patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori, introducendo due alternative per acquisire l’abilitazione al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori: sostenere l’esame previsto dall’art. 4, comma 3, della legge 1003/1936, decorsi cinque anni dall’iscrizione all’Albo professionale; oppure, decorsi otto anni di iscrizione all’Albo la frequenza di un corso svolto dalla Scuola superiore dell’avvocatura e superamento dell’esame finale.

Il CNF, quindi, ha adottato il regolamento in esame, che ha abrogato e sostituito il precedente regolamento, emanato il 16 luglio 2014, che prevede:

– il possesso di requisiti di natura soggettiva, tra cui, ad esempio, non aver riportato nei tre anni precedenti sanzioni disciplinari definitive, non essere oggetto, al momento di presentazione della domanda di accesso al corso, di sospensione cautelare ed, infine, aver patrocinato nei quattro anni precedenti venti giudizi dinnanzi alla Corte di Appello penale o dinnanzi alle giurisdizioni amministrative, tributarie e contabili o dieci giudizi avanti la Corte di Appello civile;

– una prova di accesso preselettiva da svolgersi in unica data a Roma, consistente in un test a risposta multipla, comprendente 36 domande complessive;

– la frequenza di un corso di 100 ore con sede a Roma;

– il superamento di una prova scritta finale, consistente nella redazione, a scelta del candidato, di un ricorso per Cassazione in materia civile o penale o di un atto di appello al Consiglio di Stato.

La legge n. 247/2012 ha introdotto un regime transitorio a favore di coloro che, entro i tre anni dall’entrata in vigore della riforma della professione forense, maturassero i requisiti richiesti dalla precedente normativa (12 anni di anzianità). Per questi ultimi il legislatore ha previsto comunque la possibilità di iscriversi all’Albo delle giurisdizioni superiori in applicazione della precedente disciplina.

Avverso il regolamento in esame hanno, quindi, proposto ricorso gli istanti deducendo i seguenti motivi:

1) Disapplicazione e/o incostituzionalità dell’art. 22 della legge n. 247/2012, per violazione dell’art. 3 Cost., dell’art. 41 Cost., degli artt. 10, 11 e 117, comma 1, Cost. e, per il loro tramite, dei principi di cui all’art. 101 del TFUE, degli artt. 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, in relazione al divieto di non discriminazione. Violazione del principio di parità di trattamento e non discriminazione a contrario di cui all’art. 53 della legge 24 dicembre 2012, n. 234.

Illegittimità derivata e/o conseguente nullità dell’atto gravato.

L’art. 22 della legga 247/2012 violerebbe le norme indicate in rubrica.

In particolare, la direttiva europea 16 febbraio 1998, n. 5, relativa all’esercizio stabile e continuativo della professione forense in uno Stato membro diverso rispetto a quello nel quale sia stato acquisito il relativo titolo di abilitazione, garantirebbe al professionista migrante l’accesso all’attività forense nello Stato membro ospitante.

Tale direttiva 98/5 è stata recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, la quale, riconoscendo il titolo professionale conseguito in un altro Stato membro, all’art. 8 ha previsto che “nell’esercizio delle attività relative alla rappresentanza, assistenza e difesa nei giudizi civili, penali ed amministrativi, nonché nei procedimenti disciplinari nei quali è necessaria la nomina di un difensore, l’avvocato stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione con il titolo di avvocato”.

L’art. 9, comma 2, del d.lgs. 96/2001 prevede la possibilità per i professionisti europei di iscriversi all’Albo speciale per il patrocinio avanti alle giurisdizioni superiori, previa dimostrazione “di avere esercitato la professione di avvocato per almeno dodici anni in uno o più degli Stati membri, tenuto conto anche dell’attività professionale eventualmente svolta in Italia”.

Una volta iscritto all’albo speciale per le giurisdizioni superiori, dunque, lo straniero che intenda patrocinare dinnanzi alla Corte di Cassazione e altre Supreme giurisdizioni può farlo previa intesa con un avvocato abilitato al patrocinio avanti a dette giurisdizioni (comma 1).

In tal modo la legge n. 247/2012 avrebbe determinato una discriminazione “a contrario” nei confronti degli avvocati italiani, a cui è preclusa la possibilità di iscriversi all’Albo speciale a seguito del dodicennio di attività.

Né tale discriminazione sarebbe superata dalla circostanza che l’art. 9 richiede l’intesa con un avvocato abilitato a esercitare davanti alle giurisdizioni superiori.

Quindi dopo dodici anni di attività professionale (esercitata anche interamente in Italia), l’avvocato stabilito può iscriversi presso l’Albo speciale fregiandosi del relativo titolo; mentre, all’avvocato italiano è sempre preclusa tale facoltà, dovendo, invece, sostenere un iter formativo con relativo esame finale, al fine di potersi iscrivere nell’Albo speciale.

Il regolamento violerebbe l’art. 3 Cost., nonché per il tramite degli arti. 10, 11, e 117, comma 1, e le disposizioni introdotte a livello europeo dagli arti. 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

Infatti, l’art. 22 1. 247/2012 nel prevedere la necessità di sostenere un esame quale unica modalità di accesso all’Albo speciale, determinerebbe una discriminazione a danno del cittadino abilitato in Italia, a favore dell’avvocato stabilito.

Il regolamento contrasterebbe anche con i principi di cui agli artt. 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, i quali – con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona – hanno lo stesso effetto giuridico vincolante dei Trattati europei.

Il regolamento dovrebbe, in subordine, essere disapplicato ai sensi del l’art. 53 della 1. 24 dicembre 2012, n. 234, in quanto, in vigenza dell’art. 9 d.lgs. 96/2001 (che attua la citata direttiva europea 98/5), l’art. 22 1. 247/2012 avrebbe determinato nei confronti degli avvocati abilitati in Italia “effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento garantiti nell’ordinamento italiano ai cittadini dell’Unione europea”;

2) Incostituzionalità dell’art. 22 1. 247/2012, per violazione dell’art. 3 Cost., del principio del legittimo affidamento “rafforzato” dall’esistenza di un rapporto amministrativo fondato sull’abilitazione già rilasciata. Illegittimità derivata.

L’art. 22 della 1. 247/2012, avrebbe violato altresì l’art. 3 della Cost., ledendo il legittimo affidamento “rafforzato” dall’esistenza di un rapporto amministrativo fondato sull’abilitazione già rilasciata.

L’art. 22, in particolare, avrebbe modificato il regime previgente relativo alla iscrizione presso l’Albo speciale, incidendo sulla posizione degli avvocati già abilitati al momento della sua entrata in vigore, determinando un effetto retroattivo.

Il regime transitorio introdotto dal legislatore avrebbe generato effetti distorsivi sul mercato creando un grave pregiudizio a coloro che erano già iscritti all’Albo professionale e che si accingevano ad acquisire il titolo per patrocinare dinnanzi alle giurisdizioni superiori.

3) Incostituzionalità dell’art. 22 della legge 247/2012 per violazione dell’art. 33, comma 5, e dell’art. 41 Cost., per illogicità e irragionevolezza. Illegittimità derivata.

L’art. 22 1. 247/2012 avrebbe introdotto un nuovo, autonomo e diverso, esame di abilitazione per esercitare la professione forense avanti alle giurisdizioni superiori, violando il dato costituzionale, che prescriverebbe un unico esame di abilitazione per esercitare una professione regolamentata.

La doppia abilitazione limiterebbe lo svolgimento della professione in modo irragionevole;

4) Incostituzionalità per violazione e falsa applicazione dell’art. 101 del TFUE, violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., Violazione dell’art. 97 Cost. e dei sottesi principi di imparzialità e buona amministrazione. Illegittimità derivata.

La previsione che affida al CNF per il tramite della Fondazione Scuola Superiore dell’Avvocatura, Sezione Scuola Superiore dell’Avvocatura per Cassazionisti l’organizzazione del corso violerebbe l’art. 101 del TFUE.

Poiché ogni avvocato dovrebbe considerarsi “impresa”, ai fini dell’applicazione delle norme poste a presidio della concorrenza, al CNF sarebbe applicabile la legge n. 287 in materia di tutela della concorrenza.

5) Incostituzionalità per violazione dei principi di imparzialità e trasparenza di cui agli artt. 97 e 98 Cost., nella parte relativa alla previsione dei componenti della Commissione.

Illegittimità derivata.

In attuazione dell’art. 22, comma 2, 1, 247/2012, l’art. 9 del Regolamento prevede che “la Commissione per la verifica di idoneità […] deve essere composta da quindici componenti effettivi e quindici supplenti, scelti tra membri del Consiglio Nazionale Forense, avvocati iscritti all’Albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, professori universitari di ruolo in materie giuridiche e magistrati addetti alla corte di cassazione o magistrati del Consiglio di Stato”.

I membri provenienti dal CNF e gli avvocati iscritti all’Albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori sarebbero sovrapponibili, in quanto secondo l’art. 38 della I. 247/2012 “sono eleggibili al CNF gli iscritti all’Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori”.

La quota della commissione riservata ai “professori universitari di ruolo in materie giuridiche” non limita la partecipazione ai docenti a tempo pieno, consentendo la partecipazione anche di coloro che svolgono la docenza a tempo parziale. Da quanto sopra consegue che la maggior parte dei componenti della Commissione sarebbe iscritta all’Albo delle giurisdizioni superiori;

6) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 21 e 22, comma 2, della legge 247/2012. Eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà nonché violazione del principio di parità di trattamento. Nullità e/o Illegittimità originaria

L’art. 4, comma 2, lett. d) del regolamento impugnato prescrive che gli interessati debbano dimostrare di “aver svolto effettivamente la professione forense” in base ai criteri, tra loro alternativi, stabiliti dal successivo comma 3.

L’art. 22, comma 2, della 1. 247/2012 prevede quale unico requisito di accesso alla scuola l’iscrizione all’albo di otto anni, demandando al regolamento la facoltà di individuare meri “criteri e modalità di selezione per l’accesso”.

Tuttavia, il CNF avrebbe individuato un ulteriore requisito soggettivo di accesso, non ammissibile in ragione delle richiamate indicazioni normative.

L’art. 21, comma 1, della 1. 247/2012, dopo avere stabilito che la permanenza dell’iscrizione all’albo necessità dell’accertamento circa l’effettività nell’esercizio della professione, prevede che “le modalità di accertamento dell’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione […] sono disciplinate con regolamento ai sensi all’art. 1”, quindi “adottato con decreto del Ministro della Giustizia”.

Tuttavia il CNF, con la norma regolamentare impugnata, avrebbe introdotto un requisito non previsto dalla legge (effettività della professione) esercitando un potere che la legge attribuisce al Ministero;

7) Eccesso di potere per sviamento, illogicità e irragionevolezza, nella parte in cui si prevede che per il superamento della prova (preselettiva) è necessario rispondere correttamente ad almeno due terzi delle domande.

Illegittimità originaria

La previsione di un test di accesso preliminare per poter accedere al corso organizzato dalla Fondazione Scuola Superiore dell’Avvocatura, sarebbe illegittima.

Il CNF ed il Ministero della Giustizia si sono costituiti in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso con le rispettive memorie.

In particolare, il CNF ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione al gravame in capo alle Associazioni ed ai singoli ricorrenti e per mancata evocazione in giudizio degli Avvocati iscritti al Corso, nonché la infondatezza dell’impugnazione nel merito.

I ricorrenti hanno replicato con memoria e hanno depositato documenti.

All’udienza del 5 ottobre 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

1. Il Collegio, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, intende sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, della legge n. 247 del 2012, secondo cui:

L’iscrizione può essere richiesta anche da chi, avendo maturato una anzianità di iscrizione all’albo di otto anni, successivamente abbia lodevolmente e proficuamente frequentato la Scuola superiore dell’avvocatura, istituita e disciplinata con regolamento dal CNF. Il regolamento può prevedere specifici criteri e modalità di selezione per l’accesso e per la verifica finale di idoneità. La verifica finale di idoneità è eseguita da una commissione d’esame designata dal CNF e composta da suoi membri, avvocati, professori universitari e magistrati addetti alla Corte di cassazione”.

La questione sarà sollevata nei termini che si chiariranno di seguito.

2. A proposito della rilevanza della questione nel presente giudizio, il Collegio osserva quanto segue.

2.1 Innanzitutto, il ricorso in esame è destinato a pervenire ad una decisione di merito, in quanto deve ritenersi infondata le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa del CNF, che deduce, a tale fine: a) il difetto di contraddittorio con la categoria degli avvocati, o, almeno, con tutti gli Avvocati che stanno già svolgendo il corso per accedere all’abilitazione al patrocinio davanti alle Giurisdizioni Superiori; b) l’assenza della legittimazione ad impugnare il regolamento adottato dal Consiglio Nazione Forense, in quanto in tal senso non sarebbe sufficiente la mera iscrizione all’albo professionale, essendo necessario comunque un interesse meritevole di tutela, che non potrebbe essere identificato nella aspettativa di essere iscritti all’albo dei cassazionisti senza dover frequentare il corso e sostenere le prove di abilitazione.

2.1.1) Non sussiste l’eccepito difetto di contraddittorio con gli Avvocati che, anch’essi privi della detta anzianità dodicennale alla data del 2 febbraio 2017, hanno già intrapreso il percorso disciplinato dall’art. 22, comma 2, della legge n. 247 del 2012 e dai provvedimenti impugnati.

E’ infatti evidente che tali soggetti non rivestono una posizione sostanziale di controinteresse verso l’annullamento di tali atti, in quanto, innanzitutto, il risultato cui tutti gli Avvocati attualmente non iscritti all’Albo per i cassazionisti tendono è, ovviamente, il medesimo, ovvero l’iscrizione in detto Albo, senza che a tale fine possa rilevare il percorso attraverso il quale tale iscrizione viene ottenuta.

Inoltre, l’eventuale interruzione del percorso intrapreso da quegli Avvocati che debbano ottenere il titolo in questione attraverso la frequenza dei corsi di cui parla l’art. 22, comma 2, della legge n. 247 del 2012, lungi dall’incidere negativamente sulla sfera giuridica di questi ultimi, rappresenterebbe anzi, per costoro, un vantaggio, in quanto consentirebbe loro (previa l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma primaria di riferimento), di ottenere il medesimo titolo con il mero decorso del tempo, come chiedono, in ultima analisi, di fare i ricorrenti.

In definitiva, la posizione dei ricorrenti e quella degli Avvocati che hanno intrapreso i corsi in questione assumono la consistenza del co-interesse.

2.1.2) In relazione al secondo dei profili sollevati occorre evidenziare che gli Avvocati ricorrenti, nominati nell’epigrafe del ricorso, hanno depositato a corredo dell’impugnazione copia degli estrati dal sito internet del CNF da cui si evince la posizione dei ricorrenti circa l’iscrizione all’albo degli avvocati, documenti di cui il CNF non ha contestato la valenza probatoria dello status di Avvocato iscritto all’Albo di ognuno dei detti ricorrenti.

Dai detti documenti di riconoscimento si evince che, tra i ricorrenti, l’iscrizione all’Albo dell’Avvocato di maggiore anzianità risale al 10 febbraio 2004, mentre quella dell’Avvocato con la anzianità minore risale al 2014; ne consegue che i ricorrenti, al momento della proposizione del gravame (spedito a notifica il 1 marzo 2016) non potevano avere maturato l’anzianità necessaria a richiedere l’iscrizione all’Albo dei patrocinanti davanti alle Giurisdizioni superiori per anzianità, pari a dodici anni come prescriveva l’art. 4, comma 1, della legge n. 27 del 1997, e come l’art. 22, comma 4, della legge n. 247 del 2012 ancora consente a coloro che abbiano maturato i requisiti entro quattro anni dalla data di entrata in vigore della legge sul nuovo ordinamento forense.

Tale, accertata, qualità, radica la legittimazione ad impugnare il Regolamento del CNF che disciplina i corsi per l’iscrizione all’Albo speciale per il patrocinio davanti alle Giurisdizioni Superiori (ed il conseguente bando) emesso ai sensi dell’art. 22 della legge n. 247 del 2012, atteso che conferisce ai detti professionisti una posizione differenziata e qualificata sia verso i non iscritti ad Albi Forensi, che verso gli iscritti che, al momento della proposizione del gravame, avevano già maturato tale anzianità.

Neppure può dubitarsi di tale legittimazione, né, comunque, della ammissibilità del ricorso, in ragione del fatto che alcuni tra i ricorrenti matureranno la detta anzianità di dodici anni entro il 2 febbraio 2017 (scadenza del quarto anno dalla entrata in vigore della legge n. 247 del 2012): è infatti evidente che, se tale evenienza potrebbe riguardare quei ricorrenti la cui iscrizione sia più risalente nel tempo, così non può dirsi per alcuni degli Avvocati in questione, la cui iscrizione all’Albo data oltre il 2 febbraio 2005 (e si tratta della maggior parte dei ricorrenti).

Per quanto appena detto, risalta con evidenza anche l’interesse ad ottenere un annullamento dei detti bando e Regolamento in capo ai medesimi Avvocati, la cui unica possibilità di accesso all’Albo dei cassazionisti è data non più dalla anzianità dodicennale (e, quindi, dal mero decorso del tempo), bensì esclusivamente dalle modalità indicate nell’art. 22 della legge n. 247 del 2012 (ovvero dall’iscrizione da almeno cinque anni e dal superamento dell’esame disciplinato dalla legge 28 maggio 1936, n. 1003, e dal regio decreto 9 luglio 1936, n. 1482), oppure, in alternativa, da quelle prescritte dal secondo coma della norma, ossia dall’avere “lodevolmente e proficuamente frequentato la Scuola superiore dell’avvocatura, istituita e disciplinata con regolamento dal CNF”.

Naturalmente, per giungere a tale esito, è necessario che venga rimossa dall’ordinamento giuridico la norma che questo TAR sospetta di incostituzionalità, ossia l’art. 22, comma 2, della legge n. 247 del 2012, che fonda il potere del CNF di emanare il Regolamento ed il bando di cui qui si chiede l’annullamento.

2.2) Tanto premesso, il Collegio ritiene che la questione cui si possa ascrivere la non manifesta infondatezza da parte di questo TAR sia quella che i ricorrenti chiedono di sollevare con il primo motivo, nella quale denunziano, quanto alla possibilità di accedere all’Albo dei Cassazionisti, la disparità di trattamento che la disciplina dell’art. 22, comma 2, della legge n. 247 del 2012 recherebbe per gli Avvocati formatisi in Italia, rispetto agli Avvocati stabiliti di cui tratta l’art. 9 del decreto legislativo n. 96 del 2001, per i quali l’iscrizione nella relativa sezione speciale dell’albo è (ancora) subordinata alla dimostrazione “di avere esercitato la professione di avvocato per almeno dodici anni in uno o più degli Stati membri, tenuto conto anche dell’attività professionale eventualmente svolta in Italia”.

La rilevanza di tale questione nel presente giudizio è del tutto evidente, ed è palesata dalla stessa costruzione della censura, con cui i ricorrenti denunziano “direttamente” la norma sospettata di incostituzionalità, la quale, per il tramite dei provvedimenti impugnabili davanti al Giudice Amministrativo in questo giudizio, sarebbe, in tesi, foriera di disparità di trattamento rispetto agli Avvocati stabiliti in Italia, per i quali già l’art. 9 del decreto legislativo n. 96 del 2001 prevedeva (ed ancora prevede) la possibilità di iscrizione all’Albo dei patrocinanti davanti alle Giurisdizioni Superiori dopo il mero decorso di dodici anni di professione.

Osserva il Collegio che il motivo con cui i ricorrenti denunziano la disparità di trattamento tra Avvocati ed Avvocati stabiliti rispetto all’iscrizione all’Albo dei Patrocinanti davanti alle Giurisdizioni Superiori, alla luce di quanto dispone l’art. 22, comma 2, che prevede proprio il percorso conformato dagli atti gravati, dovrebbe essere respinto, dal momento che tale differenza risulta positivamente esistente nell’ordinamento.

Invece, senza la norma sospettata di incostituzionalità, i provvedimenti impugnati risulterebbero privi di base legislativa, e, soprattutto, l’oggettiva differenza fra le due strade che conducono Avvocati ed Avvocati stabiliti all’iscrizione all’Albo in questione non sarebbe giustificata dal diritto positivo; e dunque il motivo in questione sarebbe suscettibile di accoglimento.

3. Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità qui sollevata, il Collegio ritiene che l’art. 22, comma 2, della legge n. 247 del 2012 contrasti con l’art. 3, comma 2, della Costituzione per avere introdotto, a parità di condizioni, un difforme (e deteriore) trattamento per gli Avvocati che si sono abilitati in Italia, che non possono più accedere all’Albo per il mero decorso di dodici anni di esercizio professionale (come era sotto la vigenza dell’art. 33 del R.D. n. 1578 del 1933, modificato dall’art. 4 della legge n. 27 del 1997) rispetto agli Avvocati stabiliti, per i quali l’art. 9 del decreto legislativo n. 96 del 2001 conserva tale possibilità.

3.1. La comparazione delle due norme evidenzia, di per sé, tale disparità.

Ed invero, mentre l’art. 22, comma 2, prevede che l’esercizio della professione per otto anni sia soltanto il titolo abilitante per accedere alla prova selettiva che, se superata, dà ingresso ai Corsi organizzati dal CNF tramite la Scuola Superiore dell’Avvocatura (oggetto del Regolamento e del bando impugnati), che si concludono con una verifica finale (il cui esito negativo preclude l’iscrizione), invece l’art. 9, comma 2, del decreto legislativo n. 96 del 2001 prevede:

Per l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo indicato al comma 1, l’avvocato stabilito deve farne domanda al Consiglio nazionale forense e dimostrare di avere esercitato la professione di avvocato per almeno dodici anni in uno o più degli Stati membri, tenuto conto anche dell’attività professionale eventualmente svolta in Italia. Alle deliberazioni del Consiglio nazionale forense in materia di iscrizione e cancellazione dalla sezione speciale dell’albo si applica la disposizione di cui all’art. 35 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 36 del 1934, e successive modificazioni”.

Al riguardo occorre innanzitutto osservare che (diversamente da quanto sostiene il CNF) la norma da sospettare di incostituzionalità (ma nei giudizi in cui essa ha rilevanza, e dunque non nel presente) non può essere tale art. 9, in quanto esso è stata dettata nell’ambito della “Attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale”, ed è quindi ispirato alla tutela dei principi comunitari di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi (artt. 49 e 56 TFUE), alla cui osservanza la repubblica è tenuta (anche) dall’art. 117, I comma, della Costituzione.

Dunque, la previsione, per gli Avvocati stabiliti, di un accesso alla professione di Avvocato cassazionista per il mero decorso del tempo nell’esercizio professionale, ovvero senza (altri) ostacoli che il decorso di dodici anni, è stata ritenuta dal legislatore nazionale necessaria e ragionevole misura di attuazione di inderogabili principi comunitari.

Risalta evidente che tale scelta normativa è stata indirizzata dalla circostanza per cui, all’atto di entrata in vigore del decreto legislativo n. 96 del 2001, anche per gli Avvocati abilitati in Italia (oltre che a seguito di esame di Stato) il combinato disposto tra gli articoli 33 del RD n. 1578 del 1933 e l’art. 4 della legge n. 27 del 97 prevedevano la possibile iscrizione all’Albo in questione dopo il semplice decorso di dodici anni di professione.

L’art. 9 in questione, allora, palesandosi a contenuto, per così dire, necessitato (dal divieto di porre ostacoli alla libertà di stabilimento in Italia verso professionisti abilitati in altri Stati membri dell’UE), non può che costituire il necessario metro di comparazione rispetto al trattamento che la norma qui sospettata di incostituzionalità riserva, invece, agli Avvocati formatisi ed abilitatisi in Italia.

E’ allora agevole osservare (ad avviso del Collegio remittente) che non risponde a ragionevolezza la differenza con tale (necessitata) disciplina, quella, invero più onerosa, prevista per gli Avvocati non stabiliti, ma formatisi in Italia, per i quali il mero decorso di dodici anni nell’esercizio della professione non costituisce (più) requisito sufficiente all’iscrizione nel citato Albo.

Dopo l’entrata in vigore dell’art. 22, comma 2, della nuova legge professionale forense, infatti, l’ingresso tra gli Avvocati Cassazionisti – ora sottratto al mero fatto storico dell’esercizio professionale per dodici anni (come lo era per l’art. 33 del passato Ordinamento forense) – risulta una mera eventualità.

Questa disparità di trattamento risalta con maggiore evidenza ove si pensi che gli appartenenti ad entrambe le categorie di professionisti (Avvocati ed Avvocati stabiliti) possono svolgere la rispettiva attività professionale nel medesimo ambito territoriale, e, dunque, verso la medesima clientela potenziale.

Tuttavia, come ha insegnato a più riprese la Corte Costituzionale (cfr. ad esempio sentenze n. 209/2010 e 397/1994), il principio generale di ragionevolezza comporta il divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento e la coerenza dell’ordinamento giuridico.

3.2 Il Collegio ritiene, inoltre, che, proprio perché l’art. 9 del decreto legislativo n. 96 del 2001 deriva dall’attuazione di obblighi comunitari postulata dall’art. 117, comma 1, della Costituzione, non sia possibile una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 22, comma 2, della nuova legge sull’ordinamento forense, che, rispetto al primo, istituisce una notevole e gravosa serie di condizioni per gli Avvocati abilitati in Italia.

In altri termini, se, per alcuni professionisti, l’iscrizione all’Albo dopo dodici anni di professione (e non altro) deve essere ritenuta, per le anzidette ragioni, conforme a Costituzione, allora non è possibile scorgere tale compatibilità nei confronti di una disciplina che comporti, per altri professionisti che operano nel medesimo campo e nel medesimo mercato dei primi, l’incertezza e –comunque- il notevole aggravio legati ad un esame di ammissione al Corso di cui all’art. 22; alla frequenza del medesimo; ed infine alla positiva valutazione finale a seguito di esame.

Tanto più, che il mero decorso di dodici anni di esercizio professionale ai fini dell’iscrizione era il medesimo requisito richiesto, sino al 2012, agli Avvocati (non stabiliti).

3.3 Né può affermarsi fondatamente che una differenza tra le due categorie, tale da escludere la disparità di trattamento, possa essere rinvenuta in quanto dispongono l’art. 8 ed il primo comma dell’art. 9 del decreto legislativo n. 96 del 2001, per cui l’avvocato stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione con il titolo di avvocato, il quale assicura i rapporti con l’autorità adita o procedente e nei confronti della medesima è responsabile dell’osservanza dei doveri imposti dalle norme vigenti ai difensori.

E’ invero del tutto evidente che, ove non la si voglia ritenere un requisito solo di carattere formale, l’intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione di Avvocato davanti alle Giurisdizioni Superiori si risolve in un rapporto lasciato alla autonomia negoziale ed alla libera contrattazione tra due professionisti, di cui la norma di riferimento non prevede né il contenuto tipico (che, quindi, bene potrebbe tendere all’equilibrio sinallagmatico mediante la previsione di pattuizioni che compensino l’Avvocato italiano della responsabilità che egli assume), e neppure il naturale carattere oneroso; e che, quindi, non può di certo essere comparabile con l’aleatorietà insita nel regime posto dall’art. 22, comma 2, più volte ricordato.

4. In conclusione, la norma indicata contrasta, per le ragioni di cui in motivazione, con l’articolo 3 della Costituzione.

Posta la sua rilevanza nel presente giudizio, quest’ultimo deve essere sospeso, e deve essere ordinata la trasmissione dei relativi atti alla Corte costituzionale.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione Terza, riservata ogni ulteriore statuizione in rito, sul merito e sulle spese, visti gli articoli 34 della Costituzione, 1 della legge Cost. n. 1/1948 e 23 della legge n. 87/1953:

1) dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all’articolo 3, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma secondo, della legge n. 247 del 2012, con riguardo ai profili specificati in motivazione;

2) dispone la sospensione del presente giudizio;

3) ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;

4) ordina che, a cura della segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 5 ottobre 2016 e 2 novembre 2016,

con l’intervento dei magistrati:

Gabriella De Michele, Presidente

Vincenzo Blanda, Consigliere, Estensore

Achille Sinatra, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Vincenzo Blanda Gabriella De Michele

IL SEGRETARIO

Giurdanella.it.

Anomalia dell’offerta: la sentenza del TAR Lazio

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offerta tecnica

Il Tar Lazio – Roma, Sez. I-ter, con la sentenza n. 12873 del 30 dicembre 2016, si è pronunciato sulla illegittimità dell’aggiudicazione di una gara, per anomalia dell’offerta, ad una ditta che ha fornito delle giustificazioni circa il notevole scarto rispetto ai costi medi tabellari del lavoro o, in alcuni  casi, circa l’abbattimento, attraverso il ricorso al lavoro supplementare.

Secondo il TAR adito, “è da ritenere anomala un’offerta in un appalto di servizi nel caso in cui la ditta interessata abbia giustificato il considerevole scostamento dai costi medi tabellari del lavoro e/o il relativo abbattimento, tra l’altro, attraverso il ricorso al lavoro supplementare, per un considerevole numero di ore”. 

E’ stato ribadito dal Collegio che un discostamento dai costi medi tabellari può comunque trovare applicazione, essendo gli stessi solo un parametro di riferimento. Tuttavia tale scostamento si applica solo in alcuni casi e, comunque, laddove aumenti lo scarto rispetto ai costi medi tabellari, la giustificazione dovrà essere corroborata da una dimostrazione puntuale e rigorosa.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

Pubblicato il 30/12/2016

N. 12873/2016 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7694 del 2016, proposto da:
Punto Services S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Michele Damiani C.F. DMNMHL70P23H501Y, Mauro Fortunato Magnelli C.F. MGNMFR82P05D086U, Diego D’Amico C.F. DMCDGI86A24A773O, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Michele Damiani in Roma, via A. Mordini, 15;

contro

Ministero dell’Interno, U.T.G. – Prefettura di Roma, e Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall’ Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Miorelli Service Spa, non costituita in giudizio;

per l’annullamento

1) del provvedimento prot.0173836 del 26 maggio 2016 di aggiudicazione in favore della Miorelli Service s.p.a., della procedura concorsuale indetta dalla resistente Prefettura per l’affidamento del “Servizio di pulizia dei locali adibiti a caserme ed uffici della Polizia di Stato di Roma e provincia, periodo 2016/2018”;

2) della lex specialis del procedimento, con particolare riferimento: al Bando di gara, pubblicato in G.U.R.I. – V serie speciale – Contratti Pubblici, n. 133 dell’ 11 novembre 2015; al Disciplinare di gara; nonché ai “chiarimenti” resi, ai sensi dell’articolo 71, comma 2, del D.lgs. n.163/2006, dalla resistente Stazione appaltante nel corso del procedimento;

3) di ogni altro ato comunque connesso a quelli impugnati in via principale, con particolare riferimento, per quanto occorrer possa, al provvedimento di ammissione della controinteressata Miorelli Service S.p.A. alla procedura concorsuale, agli atti relativi al procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta presentata dalla suddetta controinteressata, nonché ai provvedimenti documentati, esplicitamente o implicitamente, in tutti i verbali di gara ed, in particolare, nei seguenti: a) verbale del 14 dicembre 2015; verbale del 15 dicembre 2015; c) verbale del 15 dicembre 2015; d) verbale del 22 dicembre 2015; e) verbale del 12 gennaio 2016; f) verbale del 14 gennaio 2016; g) verbale del 18 gennaio 2016; h) verbale del 18 febbraio 2016; i) verbale del 22 febbraio 2016 1) verbale del 10 marzo 2016; m) verbale del 18 aprile 2016;

per l’annullamento e/o la declaratoria di inefficacia del contratto di appalto eventualmente sottoscritto fra la Stazione appaltante e la Società aggiudicataria,

nonché per la condanna

delle Amministrazioni resistenti, ex art.30 c.p.a., al risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente, in forma specifica o, in via subordinata, per equivalente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno e di U.T.G. – Prefettura di Roma e di Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 novembre 2016 la dott.ssa Francesca Romano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. L’odierna ricorrente, con ricorso notificato il 27 giugno 2016 e depositato il successivo 30 giugno, ha impugnato, innanzi a questo Tribunale, in via principale, il provvedimento di aggiudicazione definitiva del 26 maggio 2016, in favore della controinteressata Miorelli Service s.p.a., della procedura di gara per l’affidamento del “Servizio di pulizia dei locali adibiti a caserme ed uffici della Polizia di Stato di Roma e provincia, per il periodo 2016/2018”, e gli altri atti, come in epigrafe specificati.

2. La procedura di gara de qua è stata indetta dalla Prefettura di Roma con avviso pubblico del 3 novembre 2015, per un importo a base d’asta di € 5.234.014,95, al netto dell’IVA e dei costi per la sicurezza, da aggiudicarsi sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Il servizio di pulizia oggetto del contratto, come chiarito dal disciplinare di gara, attiene ai “locali adibiti a caserme ed uffici della Polizia di Stato in Roma e Provincia amministrate dalla Prefettura di Roma” per un monte ore minimo mensile da garantire pari a 9.000 ore complessive.

All’esito delle fasi concorsuali è risultata aggiudicataria la società Miorelli Service con un punteggio complessivo di 99,151, mentre la ricorrente si è classificata al secondo posto con un punteggio di 97,408.

3. Con il presente gravame la società ricorrente deduce l’illegittimità della procedura di gara sulla base dei seguenti motivi di diritto:

I. Violazione artt. 86 ss. cod. app.; violazione art. 3, d. lgs. n. 61/2000; violazione c.c.n.l. Multiservizi luglio 2013 applicato dall’aggiudicataria. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, assenza e/o erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, erroneità della motivazione, in quanto nelle giustificazioni prodotte in sede di verifica anomalia dell’offerta, con riguardo al costo del personale, l’aggiudicataria ha dichiarato di aver previsto di ricorrere al lavoro supplementare per le sostituzioni del personale assente.

II. Violazione artt. 86 ss. cod. app.; violazione art. 3, d. lgs. n. 61/2000; violazione del paragrafo 18.4 disciplinare di gara. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, assenza e/o erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, erroneità della motivazione.

Anche con riguardo al costo dei prodotti l’aggiudicataria avrebbe prodotto giustificativi insufficienti rappresentando la mera possibilità di beneficiare di sconti presso propri fornitori.

III. Violazione dei principi di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa. Violazione del principio del contrarius actus. Violazione dell’art. 71, comma 2, cod. app. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, assenza e/o erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, erroneità della motivazione.

In via subordinata la ricorrente lamenta che in sede di chiarimenti la stazione appaltante, affermando che il monte ore mensile di 9000 è quello di ore teoriche, avrebbe sostanzialmente modificato il quadro economico della lex specialis senza un’adeguata forma di pubblicità.

IV. Violazione artt. 86 ss. cod. app.; violazione art. 3, d. lgs. n. 61/2000; violazione c.c.n.l. Multiservizi luglio 2013 applicato dall’aggiudicataria. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, assenza e/o erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, erroneità della motivazione, in quanto le giustificazioni prodotte dall’aggiudicataria in relazione al costo del lavoro sono, a parere della ricorrente, assolutamente incomprensibili.

V. Violazione artt. 86 ss. cod. app.; violazione art. 3, d. lgs. n. 61/2000; violazione c.c.n.l. Multiservizi luglio 2013 applicato dall’aggiudicataria. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, assenza e/o erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, erroneità della motivazione, le giustificazioni sono altresì incompatibili con la lex specialis in quanto la controinteressata offrirebbe una quantità di ore effettive inferiore a quella richiesta dalla stazione appaltante.

VI. Violazione dell’art. 283, comma 2, d.p.r. n. 207/2010; violazione dei principi di pubblicità e trasparenza. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione.

In via ancora subordinata parte ricorrente prospetta che la commissione avrebbe proceduto alla valutazione della regolarità della documentazione amministrativa in seduta riservata anziché pubblica.

4. Si sono costituite in giudizio le resistenti amministrazioni che hanno, in via preliminare, eccepito il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell’Interno e, nel merito, l’infondatezza del gravame.

5. All’esito della camera di consiglio del 18 luglio 2016 il collegio ha accolto la domanda cautelare proposta.

6. Alla pubblica udienza del 7 novembre 2016 la causa è stata discussa ed è passata in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare, deve essere accolta l’eccezione di difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio.

La gara de qua è stata bandita, espletata ed, infine, aggiudicata dalla Prefettura di Roma, che in quanto ufficio territoriale del Governo, è articolazione territoriale dell’amministrazione dell’Interno.

Devono, dunque, essere considerate legittimate a resistere al presente gravame la Prefettura di Roma unitamente al Ministero dell’Interno.

Pertanto, deve essere disposta l’estromissione dal giudizio della Presidenza del Consiglio.

2. Nel merito, il ricorso è fondato.

Premesso che in materia di appalti, secondo quanto disposto dall’art. 120, co. 6 e 10, c.p.a., “tutti gli atti di parte e i provvedimenti del giudice devono essere sintetici e la sentenza è redatta, ordinariamente, in forma semplificata”,e che la motivazione della sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 74 c.p.a., “può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme”, questo collegio ritiene risolutive le censure mosse dalla ricorrente avverso il giudizio di anomalia dell’offerta svolto dalla stazione appaltante nei confronti dell’aggiudicataria, nei motivi I, II, IV e V che, per ragioni di economia processuale, vengono, di seguito, trattati congiuntamente.

3. In ordine al giudizio di anomalia dell’offerta, deve altresì premettersi che i vizi fatti valere dalla ricorrente devono essere valutati alla stregua dei principi generali che sovrintendono al sindacato giurisdizionale sulla cd. discrezionalità tecnica, che può essere contestata (e valutata dal giudice) solo ed esclusivamente sotto il profilo dell’attendibilità del giudizio dell’Amministrazione quanto a norme tecniche applicate e al relativo procedimento applicativo.

Nel caso di specie, il collegio ritiene che il giudizio di anomalia svolto dalla stazione appaltante sull’offerta dell’aggiudicataria Miorelli Service s.p.a. sia giunto a violare il principio di ragionevolezza tecnica, sopra richiamato, con particolare riguardo alle valutazioni del costo della manodopera e del costo dei prodotti.

3.1. Con riguardo al costo della manodopera, l’aggiudicataria ha giustificato lo scostamento del costo orario offerto (pari ad € 14,32, per operaio 1°liv., € 15,05 per 2° liv., € 15,78 per 3° liv., € 16,62 per 4° liv., € 17,54 per 5° liv.), rispetto al costo medio orario del personale dipendente da imprese esercenti servizi di pulizia, come risultante dalle Tabelle ministeriali aggiornate al luglio 2013 ( che è invece pari ad € 16,25 per 1° liv, € 17.07 per 2° liv., € 17,89 per 3° liv., € 18,86 per 4° liv., € 19,90 per 5° liv.), sulla base dei seguenti elementi:

– aliquota contributiva INAIL pari all’1,6% in luogo del 3,939% indicato nelle tabelle ministeriali;

– eliminazione della voce rivalutazione TFR;

– deducibilità della base imponibile IRAP del costo dei lavoratori a tempo indeterminato a decorrere dal 1° gennaio 2015;

– tasso di assenteismo più contenuto rispetto a quello indicato nelle tabelle ministeriali (pari al 6,5%).

Per giustificare l’ulteriore ribasso offerto, la ditta, ha affermato, quindi, di aver previsto, sulla base dell’art. 33 CCNL di settore, “di ricorrere al lavoro supplementare per la sostituzione del personale assente”, con un ulteriore decurtazione della retribuzione oraria, applicando l’art. 33, CCNL e l’art. 3, comma 4, d. lgs. n. 61/2000, per un numero di ore previsto pari a 56.218 (giustificazioni del 26 febbraio 2016, in atti).

Il RUP, a fronte di tale dichiarazione, ha chiesto chiarimenti alla competente Direzione Generale del Ministero del Lavoro, con mail del 25 marzo 2016, in ordine al costo medio orario per lavoro straordinario.

Il Ministero ha, tuttavia, affermato di non poter procedere alla quantificazione richiesta in quanto “non è possibile quantificare un valore medio riferibile ad un’ora di straordinario sulla base del medesimo calcolo delle tabelle in argomento”.

3.2. Giova a questo punto precisare che le tabelle ministeriali di riferimento si limito ad indicare il costo medio del lavoro nell’anno di riferimento, relativamente all’area territoriale e al settore merceologico interessato.

Il quadro normativo non risulta mutato con l’entrata in vigore del nuovo codice degli appalti, di cui al d. lgs . n. 50/2016, che, benché non si applichi alla procedura in questione (bandita prima della sua entrata in vigore), costituisce un indubbio parametro interpretativo di riferimento.

La disposizione di cui all’ art. 97, comma 5, lett. d), d. lgs. n. 50/2016, appare, a tale riguardo, erroneamente formulata laddove afferma che l’offerta è anormalmente bassa e, quindi, deve essere esclusa, quando “il costo del personale è inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle di cui all’art. 23, comma 14” (rectius, comma 16): la tabelle di cui all’art. 23, comma 16, infatti, non sono altro che le tabelle già previste, con disposizione perfettamente sovrapponibile, dall’art. 86, comma 3bis, d. lgs. n. 163/2006 secondo cui “il costo del lavoro è determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione.”

Ebbene, le tabelle ministeriali, predisposte sulla base dei valori economici dalla norma elencati, stabiliscono il costo medio orario del lavoro che è cosa ben diversa dal trattamento minimo salariale stabilito dalla legge o dalla contrattazione collettiva, al quale solo si riferisce la previsione d’inderogabilità di cui all’art. 97, comma 6, d. lgs. n. 50/2016 e all’art. 87, comma 3, d. lgs. n. 163/2006.

Sulla base di tali considerazioni la giurisprudenza è giunta così ad affermare, con orientamento non solo consolidato ma di perdurante valore, a parere di questo collegio, anche sotto la vigenza del nuovo codice appalti, “che i costi medi della manodopera, indicati nelle tabelle ministeriali, non assumono valore di parametro assoluto ed inderogabile, ma svolgono una funzione indicativa, suscettibile di scostamento in relazione a valutazioni statistiche ed analisi aziendali evidenzianti una particolare organizzazione in grado di giustificare la sostenibilità di costi inferiori “(Cons. Stato Sez. V, 13 marzo 2014, n. 1176; cfr. Cons. St., sez. V, 14 giugno 2013, n. 3314 e sez. IV, 22 marzo 2013, n. 1633).

Esprimendo solo una funzione di parametro di riferimento è allora possibile discostarsi da tali costi, in sede di giustificazioni dell’anomalia, sulla scorta di una dimostrazione puntuale e rigorosa (cfr. T.A.R. Roma, sez. II, 05 agosto 2016, n. 9182).

Dimostrazione, si aggiunge, che dovrebbe essere tanto più rigorosa quanto maggiore è lo scostamento dai costi medi tabellari.

3.4. Ebbene, nel caso di specie, a fronte di un considerevole scostamento dai costi tabellari, la commissione ha reputato congrua l’offerta economica della controinteressata giustificata, per una parte rilevante, sulla base di un elemento, a parere di questo collegio, aleatorio.

L’aggiudicataria ha, infatti, sostenuto l’abbattimento dei costi medi tabellari, tra l’altro, attraverso il ricorso al lavoro supplementare per un numero di ore pari a 56.218 (come da precisazioni del 26 febbraio 2016).

Il ricorso al lavoro supplementare, così come rappresentato dall’impresa controinteressata, non avrebbe dovuto essere considerato idoneo parametro giustificativo, in quanto:

– il lavoro supplementare è il lavoro svolto oltre l’orario concordato fra le parti nell’ambito di un contratto di part-time, anche in relazione alle giornate, alle settimane o ai mesi (art. 6, comma 1, d. lgs. n.81/2015);

– nonostante le modifiche apportate alla sua disciplina dal d. lgs n. 81/2015, permane la differenza rispetto al lavoro straordinario: mentre il lavoro straordinario può essere imposto al lavoratore, il lavoro supplementare può essere richiesto al lavoratore “in misura non superiore al 25 per cento delle ore di lavoro settimanali concordate. In tale ipotesi, il lavoratore può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare ove giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale” (art. 6, comma 2, d. lgs. n. 81/2015);

– sulla base dell’art. 33, CCNL Multiservizi, attualmente vigente, “L’eventuale rifiuto del lavoratore allo svolgimento di ore supplementari non integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento né l’adozione di provvedimenti disciplinari”.

La possibilità, per il lavoratore part-time, di rifiutare lo svolgimento di lavoro supplementare, dunque, rende del tutto aleatoria la previa quantificazione delle relative ore da parte del datore di lavoro e, conseguentemente, affetto da un evidente errore di fatto il giudizio di affidabilità dell’offerta espresso dalla commissione, laddove appare aver considerato il lavoro supplementare alla medesima stregua del lavoro straordinario.

3.5. Analoghi rilievi possono essere mossi anche rispetto alle giustificazioni offerte con riguardo ai costi dei prodotti.

Anche in tal caso i giustificativi appaiono collegati a parametri del tutto incerti, o quanto meno, non adeguatamente verificati dalla commissione sulla base di idonea documentazione (fatture e/o pregressi contratti di fornitura), in quanto fondati sulla mera dichiarazione della aggiudicataria di aver stimato il costo dei prodotti in € 56.598,22 tenendo conto della “possibilità di beneficiare, grazie al consistente incremento del fatturato, di significativi sconti in merce da parte dei propri fornitori che consentiranno di disporre di ingenti quote di forniture ottenute gratuitamente ed impiegabili nell’appalto in oggetto.”

4. Per quanto sopra evidenziato, deve ritenersi, dunque, che il giudizio di anomalia dell’offerta dell’aggiudicataria sia stato condotto dalla commissione sulla base di criteri manifestamente irragionevoli nonché erronei in punto di fatto.

Sotto tale profilo, dunque, il ricorso merita di essere accolto.

5. Sulla base del principio dispositivo che impronta il processo amministrativo e della conseguente vincolatività, per il giudice, della graduazione dei motivi di ricorso, come svolta dalla parte (in tal senso, Ad. Pl. n. 5/2015), l’accoglimento dei motivi I, II, IV e V comporta l’assorbimento dei motivi III e VI, prospettati dalla società ricorrente in via meramente subordinata.

6. Conseguentemente, deve essere disposto l’annullamento degli atti relativi al procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta della controinteressata e del provvedimento di aggiudicazione del 26 maggio 2016, come in epigrafe specificati ai punti 1 e 3, con obbligo dell’amministrazione di rideterminarsi sull’esito della procedura di gara di cui in causa.

5. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– dispone l’estromissione dal giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

– accoglie il ricorso nei termini di cui in parte motiva.

Condanna la Prefettura di Roma e il Ministero dell’Interno al pagamento, in favore della società ricorrente, delle spese di lite liquidate nella somma complessiva di € 2.000 (euro duemila/00), oltre oneri ed accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Germana Panzironi, Presidente

Alessandro Tomassetti, Consigliere

Francesca Romano, Referendario, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesca Romano Germana Panzironi

IL SEGRETARIO

Giurdanella.it.

Imprese collegate partecipanti alla stessa gara: la sentenza del TAR Lazio

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reti di imprese

Il TAR Lazio – Roma, sez. II, con la sentenza 13 dicembre 2016, n. 12405, si è pronunciato sulla legittimità o meno dell’esclusione di due imprese collegate che abbiano presentato due offerte nella stessa gara ma per lotti diversi.

Secondo il TAR del Lazio, “è illegittima l’esclusione di due imprese collegate che abbiano presentato due offerte nella stessa gara ma per lotti diversi. Il comma 5, lett. m, dell’art. 80, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 dispone che è escluso dalla gara l’operatore economico che si trovi rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all’art. 2359 c.c. o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale”.

Secondo i giudici, pertanto, tale esclusione non trova applicazione nel caso in cui le offerte presentate dalle imprese si riferiscano a lotti diversi, in quanto “un bando di gara pubblica, suddiviso in lotti, costituisce un atto ad oggetto plurimo e determina l’indizione non di un’unica gara, ma di tante gare, per ognuna delle quali vi è un’autonoma procedura si conclude con un’aggiudicazione”.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

Pubblicato il 13/12/2016

N. 12405/2016 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 12461 del 2016, proposto da:
Arm Lift S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, via Principessa Clotilde n. 2;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Enrico Maggiore, con domicilio in Roma, via Tempio di Giove, 21;

nei confronti di

– Anac – Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– Del Vecchio s.r.l., non costituita in giudizio;

per l’annullamento

– della determinazione dirigenziale rep. QN/1668/2016 del 25/10/2016, con la quale è stata disposta, in relazione al lotto n. 2, “l’esclusione dalla procedura di gara, per le motivazioni riportate nei verbali di gara n. 6 e n. 7”, nonché l’ammissione dei concorrenti alla successiva fase del procedimento.

– di tutti i verbali delle sedute di gara, ivi compresi i verbali del 9.9.2016, 13.9.2016, 14.9.2016, 19.9.2016, 20.9.2016;

– dell’atto di segnalazione all’ANAC – Autorità Nazionale Anticorruzione;

– di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti, ancorché attualmente non conosciuti, ivi inclusi il bando, il disciplinare, il capitolato di appalto e la determinazione di nomina della commissione.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e di ANAC, Autorità Nazionale Anticorruzione;

Vista la memoria difensiva dell’amministrazione resistente;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla camera di consiglio del giorno 7 dicembre 2016 il Cons. Silvia Martino;

Uditi gli avvocati, come da verbale;

Visto l’art. 60 del codice del processo amministrativo, il quale consente la definizione del giudizio in esito all’udienza cautelare, con sentenza in forma semplificata;

Accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria;

Premesso che la società ricorrente è stata esclusa dalla procedura aperta per la stipula di un accordo quadro ex art. 54 del d.lgs. n. 50/2016 per l’affidamento “dei lavori attinenti la manutenzione e l’esercizio degli impianti elevatori installati presso gli edifici di proprietà e pertinenza di Roma Capitale”;

Rilevato che tale esclusione è avvenuta in applicazione dell’art. 80, comma 5, lett. m) del d.lgs. n. 50/2016 ed in ragione del collegamento esistente con la società Grivan Group s.r.l.;

Rilevato che, ai fini della partecipazione ai lotti 2 e 4 la società Arm Lift ha reso la seguente dichiarazione sostitutiva: “di non essere a conoscenza della partecipazione alla medesima procedura di altri operatori economici che si trovano, nei suoi confronti, in una delle situazioni di controllo di cui all’art. 2359 del codice civile e di avere formulato autonomamente l’offerta”, riportando, altresì, i dati di iscrizione alla CCIAI di Roma, tra cui la composizione societaria, da cui risulta la partecipazione al 99,82% di Grivan Group s.r.l.;

Rilevato che detta società non ha presentato domanda per il lotto in esame né per il lotto n. 4;

Considerato che la disposizione di cui all’art. 80, comma 5, lett. m) del d.lgs. n. 50/2016 (come già l’omologa previsione di cui all’art. 38, comma 1, lett. m – quater del d.lgs. n. 163/2006), non trova applicazione nell’ipotesi in cui le offerte presentate dalle imprese si riferiscano a lotti diversi; ciò in quanto un bando di gara pubblica, suddiviso in lotti, costituisce un atto ad oggetto plurimo e determina l’indizione non di un’unica gara, ma di tante gare, per ognuna delle quali vi è un’autonoma procedura si conclude con un’aggiudicazione (cfr., ex plurimis TAR Napoli, sez. I, sentenza n. 5572 del 2.12.2015, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 3241 del 26.6.2015; TAR Lazio, sez. II^ ter, sentenza n. 6048 del 5.5.2015);

Rilevato che, nel caso di specie, l’autonomia dei singoli lotti emerge – così come fatto rilevare da parte ricorrente – tra l’altro:

– dall’attribuzione ai singoli lotti di specifici CIG;

– dall’individuazione di uno specifico importo a base di gara per ciascuno dei 4 lotti (par. 1.2 del disciplinare di gara);

– dalla possibilità, per ciascun concorrente, di concorrere per tutti e 4 i lotti, sebbene la stazione appaltante, quale misura pro concorrenziale, abbia previsto che questi “potrà risultare aggiudicatario di un solo lotto” (par. 2.3);

– dalla previsione della stipulazione di distinti contratti per ciascun lotto (part. 10.5);

– dalla richiesta di pagamento del contributo in favore dell’ANAC per ogni singolo lotto al quale si partecipa (par. 12);

– dalla prescrizione relativa alla presentazione di dichiarazioni sostitutive, relative ai requisiti di ordine generale, per ogni lotto (par. 16.2);

Ritenuto, altresì, che il reciproco condizionamento tra le aggiudicazioni dei vari lotti (nel senso del divieto di aggiudicazione di più di un lotto alla medesima impresa) non comporta il venir meno dell’autonomia di ciascuna procedura selettiva, volta all’affidamento del singolo lotto, in quanto detta prescrizione del disciplinare incide solo ex post, successivamente all’apertura delle offerte, e quindi dopo la redazione delle distinte graduatorie;

Ritenuto che, in considerazione di quanto precede, l’amministrazione abbia fatto malgoverno delle disposizioni di cui all’art. 80, comma 5, lett. m) e comma 6, del d.lgs. n. 50/2016, restandone comunque impregiudicate, all’esito della competizione, le ulteriori valutazioni in ordine all’applicazione della clausola pro concorrenziale, in considerazione del rapporto di controllo esistente tra le società;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. II^, definitivamente pronunciando sul ricorso, di cui in premessa, lo accoglie e, per l’effetto, annulla la determinazione dirigenziale di esclusione dalla gara di cui in epigrafe e, per quanto di ragione, i presupposti verbali della commissione giudicatrice.

Condanna l’amministrazione resistente alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti della parte ricorrente, liquidandole, complessivamente, in euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre agli accessori, se dovuti, come per legge.

Compensa le spese nei confronti dell’ANAC.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 dicembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Savo Amodio, Presidente

Silvia Martino, Consigliere, Estensore

Roberto Caponigro, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Silvia Martino Antonino Savo Amodio

IL SEGRETARIO

Giurdanella.it.

Appalti: il TAR Lazio sulla partecipazione di più imprese di uno stesso Consorzio

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società partecipate

Il TAR Lazio – Roma, Sez. II, con la sentenza n. 725 del 16 gennaio 2017, si è pronunciato sulla legittimità o meno del provvedimento amministrativo di esclusione dalla gara di due imprese appartenenti ad un medesimo Consorzio stabile, in quanto tale situazione determinerebbe una connessione sostanziale tra le imprese stesse.

I giudici del TAR laziale hanno affermato che “E’ illegittimo il provvedimento con il quale è stata disposta l’esclusione da una gara di appalto di una impresa per la contemporanea partecipazione alla stessa gara di altra impresa facente parte del medesimo Consorzio di imprese, ritenendo che sussisteva, per ciò stesso, una situazione di collegamento sostanziale tra le imprese appartenenti allo stesso Consorzio, atteso che tale situazione di per sé sola non può comprovare l’imputabilità delle offerte ad un unico centro decisionale”.

Tali considerazioni trovano giustificazione nel fatto che la stazione appaltante deve verificare in concreto e caso per caso la presenza di un vero e proprio condizionamento di un’impresa su un’altra nella formulazione dell’offerta, fatto quest’ultimo non in grado di provare la riconducibilità delle offerte ad uno stesso centro decisionale.

Pertanto, l’esistenza della prova di un collegamento concreto tra due imprese non può fondarsi soltanto sulla partecipazione dello stesse ad un medesimo consorzio stabile.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

Pubblicato il 16/01/2017

N. 00725/2017 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9990 del 2016, proposto da:
I.MA.C.O. Spa (già Grillini Costruzioni Srl), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Lorenzo Grisostomi Travaglini e Maria Teresa Capozza, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Civitavecchia, 7;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Luigi D’Ottavi, domiciliata presso l’Avvocatura Capitolina in Roma, via del Tempio di Giove, 21;

nei confronti di

Soc Elba Assicurazioni Spa non costituito in giudizio;
Soc Vega Srl non costituito in giudizio;

per l’annullamento

– della nota prot. 20685 del 1° agosto 2016 con la quale Roma Capitale ha richiesto alla Elba Assicurazioni Spa la escussione della cauzione provvisoria emessa in data 11 novembre 2014 ed avente come contraente la I.MA.C.O. Spa (già Grillini Costruzioni Srl);

– del verbale di gara, relativo alla seduta pubblica del 6 luglio 2016, in parte qua, ossia nella parte in cui ha inteso escludere la I.MA.C.O. Spa dalla gara di cui è controversia;

di ogni altro atto e provvedimento presupposto, conseguente e comunque connesso, oltre a quelli espressamente impugnati come specificati nell’epigrafe del ricorso.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e dell’Autorità Nazionale Anticorruzione;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2016 il dott. Roberto Caponigro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. La ricorrente espone che Roma Capitale, con bando di gara spedito per la pubblicazione in data 14 novembre 2014, ha indetto una procedura di accordo quadro, suddiviso in lotti, per l’affidamento dei lavori di manutenzione ordinaria su edifici residenziali a reddito di proprietà o in uso a Roma Capitale per il periodo di due anni.

Soggiunge, tra l’altro, che il punto III.2.1 del bando di gara, con riferimento alle condizioni di partecipazione, ha stabilito che l’operatore economico deve dichiarare l’insussistenza delle condizioni di esclusione di cui all’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 e, in particolare, l’insussistenza dell’imputabilità delle offerte ad un unico centro decisionale ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. m quater, d.lgs. n. 163 del 2006.

Rappresenta altresì che, con nota del 23 luglio 2015, l’amministrazione ha definitivamente escluso la ricorrente dalla procedura di gara in ragione dell’anomalia delle offerte presentate.

Con successiva nota del 1° agosto 2016, l’amministrazione capitolina ha invitato la Società Elba Assicurazioni Spa, ai sensi dell’art. 48, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006, entro il termine di quindici giorni, a voler escutere la cauzione provvisoria emessa in favore di Roma Capitale ed avente come contraente la società Grillini Costruzioni srl.

Ciò in quanto, nel corso della seduta pubblica svoltasi in data 6 luglio 2016, relativamente all’aggiudicazione provvisoria della procedura aperta in discorso, la Società Grillini Costruzioni Srl è stata esclusa dalla partecipazione alla gara atteso che, a seguito delle verifiche effettuate nell’ambito del protocollo di vigilanza collaborativa siglato tra l’ANAC e Roma Capitale il 29 luglio 2015, è stata accertata la non veridicità delle dichiarazioni rilasciate in sede di presentazione dell’offerta relativamente alla circostanza “di non trovarsi in alcuna situazione di controllo di cui all’art. 2359 del codice civile con alcun soggetto e di aver formulato l’offerta autonomamente”.

Il ricorso è articolato nelle seguenti censure:

– la determinazione di esclusione non impugnata e non annullata cristallizzerebbe definitivamente la posizione sostanziale del concorrente, ponendolo nelle stesse condizioni di colui che sia rimasto estraneo alla gara, sicché la seconda esclusione, formalizzata nel corso della seduta pubblica del 6 luglio 2016, configurerebbe un provvedimento nullo per inesistenza del destinatario; in altri termini, il provvedimento di esclusione del 6 luglio 2016 adottato nei confronti del ricorrente, successivo al precedente provvedimento di esclusione del 23 luglio 2015, risulterebbe diretto ad un soggetto che non è più parte del procedimento e, come tale, andrebbe considerato nullo per difetto del destinatario;

– il provvedimento di esclusione impugnato, inoltre, sarebbe nullo in quanto materialmente impossibile atteso che l’oggetto del provvedimento è l’esclusione della ricorrente dalla gara dalla quale era già stata esclusa sin dal luglio 2015;

– i provvedimenti impugnati, comunque, sarebbero nulli per difetto assoluto di potere o di attribuzione e di competenza essendosi il potere di esclusione nei confronti del concorrente consumatosi una volta esercitato;

– i provvedimenti gravati sarebbero stati adottati in difetto di qualunque presupposto in quanto la ricorrente non avrebbe reso alcuna dichiarazione mendace avendo legittimamente dichiarato di non trovarsi, rispetto ad altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all’art. 2359 c.c. o in qualsiasi relazione e di avere formulato, quindi, l’offerta autonomamente;

– nessuna forma di controllo societario o collegamento sostanziale, infatti, risulterebbe sussistere tra la ricorrente e la COGERP Srl atteso che la giurisprudenza amministrativa avrebbe posto in rilievo come non si possa ravvisare alcuna forma di collegamento in relazione alla distinta e autonoma partecipazione alla gara di due imprese partecipanti ad un consorzio;

– la mera partecipazione delle imprese a un determinato consorzio stabile non rappresenterebbe un elemento univoco e sufficiente di per sé a fondare la presunzione di esistenza di un centro decisionale unico, potenzialmente idoneo a compromettere la genuinità del confronto concorrenziale;

– sulla base della nota Anac del 6 aprile 2016, non si comprenderebbe in ragione di quali elementi l’Autorità abbia accertato il presunto collegamento ed abbia, quindi, ritenuto accertata la presunta non veridicità delle dichiarazioni rese dalla ricorrente;

– la ricorrente non sarebbe stata posta nella condizione di percepire l’iter logico giuridico sotteso alla determinazione escludente e l’amministrazione non avrebbe eseguito alcuna verifica in contraddittorio con l’interessata;

– Roma Capitale non avrebbe richiesto alla ricorrente né la conferma della validità dell’offerta né il rinnovo del deposito cauzionale, atteso che la stessa risultava definitivamente esclusa dalla gara sin dal 23 luglio 2015;

– la richiesta di escussione della cauzione sarebbe nulla per difetto dell’oggetto e, in ogni caso, sconterebbe una illegittimità derivata dalla illegittimità del provvedimento di esclusione.

Roma Capitale ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.

L’Anac ha eccepito l’inammissibilità del ricorso nei suoi confronti in quanto l’attività svolta sarebbe di natura meramente endoprocedimentale ed ha concluso per la reiezione del gravame.

All’udienza pubblica del 20 dicembre 2016, la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. Il Collegio rileva in via preliminare che non può essere disposta l’estromissione dell’Anac dal giudizio in quanto l’Autorità ha posto in essere atti che, sebbene di natura endoprocedimentale, assumono sicuro rilievo nella dinamica del rapporto controverso.

3. Con nota del 1° agosto 2016, come sopra indicato, l’amministrazione capitolina ha invitato la Società Elba Assicurazioni Spa, ai sensi dell’art. 48, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006, entro il termine di quindici giorni, a voler escutere la cauzione provvisoria emessa in favore di Roma Capitale ed avente come contraente la società Grillini Costruzioni Srl.

Ciò in quanto, nel corso della seduta pubblica svoltasi in data 6 luglio 2016, relativamente all’aggiudicazione provvisoria della procedura aperta in discorso, la Società Grillini Costruzioni Srl è stata esclusa dalla partecipazione alla gara atteso che, a seguito delle verifiche effettuate nell’ambito del protocollo di vigilanza collaborativa siglato tra l’ANAC e Roma Capitale il 29 luglio 2015, è stata accertata la non veridicità delle dichiarazioni rilasciate in sede di presentazione dell’offerta relativamente alla circostanza “di non trovarsi in alcuna situazione di controllo di cui all’art. 2359 del codice civile con alcun soggetto e di aver formulato l’offerta autonomamente”.

Dal verbale di aggiudicazione provvisoria del 6 luglio 2016, emerge che:

con nota del 9 febbraio 2016, l’ANAC, all’esito dei primi controlli espletati, ha comunicato di avere riscontrato collegamenti tra varie partecipanti, tra cui Cogerp Srl e Grillini Costruzioni Srl;

l’Anac, pertanto, ha richiesto alla stazione appaltante chiarimenti e documentazione in merito alle dichiarazioni rese dai suddetti concorrenti ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. m quater, d.lgs. n. 163 del 2006;

con nota del 6 aprile 2016, l’Anac ha rappresentato la non veridicità delle dichiarazioni rese ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. m quater, d.lgs. n. 163 del 2006 ed ha determinato, pertanto, l’esclusione ope legis delle imprese dalla procedura di gara.

In particolare, con riferimento alla detta sequenza di atti, dalla nota trasmessa all’Autorità Nazionale Anticorruzione dalla Guardia di Finanza – Nucleo Speciale Anticorruzione – in data 4 febbraio 2016, risulta che Cogerp Srl è collegata con la Grillini Costruzioni Srl – ora Imaco Spa – tramite il Consorzio stabile Scarl ITEAM CONSTRUCTION & ENGINEERING essendo socio dello stesso.

L’Anac, con nota del 6 aprile 2016 indirizzata a Roma Capitale, ha successivamente evidenziato che, dall’analisi della documentazione prodotta, emerge che nessuno degli operatori economici partecipanti alla gara, per i quali è stata accertata, dai controlli eseguiti dall’Autorità con il supporto della Guardia di Finanza, comunicati con nota del 9 febbraio 2016, una qualche forma di “collegamento societario” rilevante ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. m quater, ha dichiarato l’esistenza di tali collegamenti nella documentazione amministrativa presentata ai fini della partecipazione alla procedura selettiva. L’Autorità ha aggiunto che, come noto, tali situazioni di controllo o di qualsivoglia relazione, anche di fatto, tra imprese partecipanti alla medesima gara devono essere dalle stesse obbligatoriamente dichiarate al momento della presentazione dell’offerta, anche se tali circostanze non costituiscono di per sé motivo di esclusione, dal momento che la stazione appaltante è tenuta, in ogni caso, a verificare in concreto l’esistenza di un condizionamento di un’impresa su un’altra nella formulazione dell’offerta, con l’attivazione di un apposito subprocedimento di verifica in contraddittorio con le concorrenti interessate. Per tali motivi, ha proseguito l’Anac, l’assenza tout court di dichiarazioni o peggio, come nel caso di specie, l’espressa dichiarazione “di non trovarsi in alcuna situazione di controllo di cui all’art. 2359 del codice civile con alcun soggetto e di aver formulato l’offerta autonomamente” sottoscritta e presentata alla stazione appaltante dagli operatori economici segnalati nella nota Anac del 9 febbraio scorso, stante la sua accertata non veridicità, determina ope legis l’esclusione di tali concorrenti dalla procedura di gara, l’escussione della cauzione provvisoria e la segnalazione all’Autorità per i provvedimenti di competenza nonché la denuncia alla competente Autorità giudiziaria dei concorrenti autori di dichiarazioni mendaci ai sensi dell’art. 76 d.P.R. n. 445/2000.

Di qui, il contenuto del richiamato verbale di gara del 6 luglio 2016.

In definitiva, nel caso di specie, il collegamento societario “non dichiarato” tra la ricorrente (ex Grillini Costruzioni Srl) e la Cogerp si concreterebbe nell’essere entrambe consorziate nello stesso consorzio stabile.

4. Le censure relative alla nullità dell’atto devono essere disattese.

L’accertamento della non veridicità delle dichiarazioni rilasciate in sede di presentazione dell’offerta relativamente alla circostanza “di non trovarsi in alcuna situazione di controllo di cui all’art. 2359 c.c. del codice civile con alcun soggetto e di avere formulato l’offerta autonomamente” costituisce il presupposto, ai sensi dell’art. 48 d.lgs. n. 163 del 2006, ratione temporis vigente, per procedere, oltre che all’esclusione del concorrente dalla gara, all’escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all’Autorità per i provvedimenti di cui all’articolo 6 comma 11.

Di talché, occorre ritenere che, al di là del nomen iuris utilizzato nella nota del 1° agosto 2016 nel qualificare il presupposto a base dell’atto, la manifestazione di volontà espressa dalla stazione appaltante sia stata finalizzata all’escussione della cauzione provvisoria, per cui Roma Capitale ha esercitato un potere non ancora consumato.

5. Il secondo gruppo di doglianze, invece, è fondato laddove la ricorrente sostiene di non aver reso alcuna dichiarazione mendace atteso che la mera partecipazione delle imprese a un determinato consorzio stabile non rappresenterebbe un elemento univoco e sufficiente di per sé a fondare la presunzione di esistenza di un centro decisionale unico, potenzialmente idoneo a compromettere la genuinità del confronto concorrenziale.

L’art. 38, comma 1, lett. m quater, d.lgs. n. 163 del 2006 dispone che sono escluse dalle procedure di affidamento e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che si trovino, rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale.

La ratio cui è ispirata l’art. 38, comma 1, lett. m-quater, è quella di garantire che il libero confronto concorrenziale tra le imprese non sia vulnerato dalle presentazione di più offerte che potrebbero rispondere ad una strategia comune in quanto imputabili ad un unico centro decisionale.

La stazione appaltante, pertanto, è tenuta a verificare, caso per caso, la sussistenza in concreto di un condizionamento di un’impresa su un’altra nella formulazione dell’offerta.

Nel caso di specie, la situazione di collegamento sostanziale tra le imprese è stata sic et simpliciter desunta dalla partecipazione della ricorrente e di altro concorrente ad un medesimo consorzio stabile.

Il Collegio ritiene che tale situazione di per sé sola non possa comprovare l’imputabilità delle offerte ad uno stesso centro decisionale.

La giurisprudenza (cfr. Cons, Stato, V, 16 febbraio 2015, n. 801) in una vicenda per alcuni versi analoga a quella in esame, ha chiarito come non possa essere invocata la falsità della dichiarazione di una consorziata per non aver indicato di far parte di un consorzio stabile ovvero di trovarsi in una situazione di controllo ovvero in una relazione tale con altra partecipante da far ritenere che le offerte fossero imputabili ad un unico centro decisionale.

L’automatico divieto di partecipazione ad una gara tanto a carico del consorzio stabile quanto della consorziata non indicataria potrebbe giustificarsi, infatti, solo laddove un’indagine in concreto dimostri che il rapporto fra i relativi organi decisionali conduca ad individuare un unico centro decisionale e la mera partecipazione dell’impresa ad un determinato consorzio stabile non può fornire elementi univoci in tal senso, tali da fondare una vera e propria praesumptio juris et de jure (diversamente sarebbe, qualora risultasse dimostrata la sussistenza di un rapporto di controllo, o nel consiglio direttivo del consorzio fossero presenti amministratori o rappresentanti legali dell’impresa consorziata non indicataria).

Pertanto, non può interpretarsi il combinato disposto degli artt. 36, comma 5, e 37, comma 7, del D.Lgs. n. 163/2006, come vietante a priori la partecipazione alla medesima gara del consorzio stabile e della consorziata non indicataria, laddove tale preclusione risulti fondata non sulla dimostrazione concreta della sussistenza di un unico centro decisionale, ma su una sorta di sillogismo categorico circa l’esistenza di una unicità di rapporti fra consorzio stabile e proprie consorziate (Cons. Stato, VI, 12 giugno 2008, n. 2910).

La giurisprudenza, in definitiva, ha precisato che l’esistenza di un collegamento sostanziale tra due imprese non può desumersi meramente dalla partecipazione ad un consorzio stabile.

Il Collegio ritiene che tale assunto, se vale quando alla gara abbiano preso parte un consorzio stabile ed una consorziata non indicataria, debba valere a maggior ragione quando alla gara abbiano preso parte due consorziate di uno stesso consorzio stabile, sicché il rapporto di “collegamento sostanziale” a base della ritenuta non veridicità della dichiarazione resa dalla ricorrente, che ha costituito il presupposto per l’adozione degli atti impugnati, non può dirsi configurato.

6. La fondatezza di tali censure determina la fondatezza del ricorso ed il suo accoglimento a cui consegue, per l’effetto, l’annullamento degli atti impugnati.

7. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, sono poste a favore della ricorrente ed a carico, in parti uguali, della stazione appaltante e dell’Anac.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.

Condanna Roma Capitale ed Anac, in parti uguali, al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, in favore della ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Savo Amodio, Presidente

Silvia Martino, Consigliere

Roberto Caponigro, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Roberto Caponigro Antonino Savo Amodio

IL SEGRETARIO

Giurdanella.it.

Criterio del prezzo più basso: illegittima esclusione automatica

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REVISIONE_PREZZI

Il TAR Lazio – Roma, Sez. II-bis, con la sentenza n. 1034 del 20 gennaio 2017, si è pronunciato sulla legittimità dell’esclusione automatica di una offerta ritenuta anomala nel caso di gara la cui aggiudicazione sarebbe dovuta avvenire secondo il criterio del prezzo più basso.

Secondo i giudici del TAR laziale, “è illegittima l’esclusione di una ditta da una gara di appalto da aggiudicare secondo il criterio del prezzo più basso, motivata con riferimento al fatto che l’eccessivo ribasso operato dalla ditta stessa è idoneo a determinare l’anomalia dell’offerta, nel caso in cui: a) la lex specialis non preveda espressamente la possibilità di fare ricorso all’esclusione automatica ex art. 97 comma 8 del d.lgs. n. 50 del 2016; b) la Stazione appaltante abbia omesso lo svolgimento del sub-procedimento di valutazione della congruità dell’offerta ritenuta anormalmente bassa”.

Alla base della motivazione del TAR adito, vi è quindi una considerazione di tipo normativo, secondo cui l’art. 97, comma 8, del nuovo codice dei contratti pubblici prevede che è ammissibile l’esclusione automatica e che, pertanto, la stazione appaltante possa usufruirne, ma soltanto a condizione che il bando di gara al suo interno abbia predisposto un’apposita clausola.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

Pubblicato il 20/01/2017

N. 01034/2017 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 12965 del 2016, proposto da:
Impresa individuale Antonio De Feo Restauri, in persona del titolare e legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Lorenzo Grisostomi Travaglini, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Civitavecchia, 7;

contro

Centrale Unica di Committenza della XI Comunità Montana Castelli Romani e Prenestini, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Roberto Venettoni, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via C. Fracassini n. 18;
Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Mc Appalti di Cristini Mattia, in persona del titolare dell’impresa individuale e legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Giancarlo Di Biase, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Davide Tagliaferri in Roma, via Calabria, 56;

per l’annullamento

Previa adozione di idonea misura cautelare,

– della nota prot. n. 00004566 del 3 novembre 2016 (doc. 1), con la quale la Stazione appaltante ha respinto l’istanza in autotutela presentata in data 13 ottobre 2016 dalla ricorrente, a seguito della comunicazione di esclusione del 12 ottobre 2016;

– della comunicazione via pec in data 12 ottobre 2016 con la quale è stata inviata alla ricorrente la nota prot. n. 00004272 dell’11 ottobre 2016 (anch’essa impugnata) (doc. 2) con cui la Amministrazione resistente ha disposto e comunicato alla ricorrente la esclusione automatica ai sensi e per gli effetti dell’art. 97, comma 8, del D. Lgs. n. 50/2016 e la proposta di aggiudicazione in favore della ditta controinteressata, trasmettendo formalmente il verbale di gara di seguito indicato;

– del verbale della Commissione di gara dell’11 ottobre 2016 (doc. 3) allegato alla nota di cui sopra nel quale la suddetta Commissione ha disposto, da un lato, l’esclusione automatica dell’offerta della odierna ricorrente ai sensi dell’art. 97, comma 8, del D. Lgs. n. 50/2016 e, dall’altro, la proposta di aggiudicazione in favore dell’impresa controinteressata;

– dell’aggiudicazione definitiva formatasi ai sensi e per gli effetti dell’art. 33 D. Lgs. n. 50/2016, richiamato espressamente dalla Lettera di invito (cfr. art. 19) a seguito dei 30 giorni trascorsi dalla proposta di aggiudicazione;

– per quanto occorrer possa della Lettera di Invito (doc. 4), qualora la Stessa sia da interpretare nel senso dato dalla Stazione appaltante, ossia che era espressamente prevista l’esclusione automatica dell’offerte anomale ai sensi dell’art. 97, comma 8, del D. Lgs. n. 50/2016;

– per quanto occorrer possa, del Comunicato esplicativo emesso dall’ANAC in data 5 ottobre 2016 (doc. 5), qualora lo Stesso sia da interpretare nel senso dato dalla Stazione appaltante, ossia che la Commissione possa ricorrere all’esclusione automatica delle offerte anomale ai sensi dell’art. 97, comma 8, del D. Lgs. n. 50/2016, anche nelle ipotesi in cui tale facoltà non sia stata espressamente indicata negli Atti di gara;

– di ogni altro atto presupposto, connesso e comunque consequenziale, ancorché incognito, che incida sfavorevolmente nella sfera giuridico patrimoniale della ricorrente;

per la declaratoria di inefficacia

del contratto eventualmente stipulato e/o stipulando con la società aggiudicataria;

e per la conseguente condanna

della Comunità resistente al risarcimento in forma specifica, mediante aggiudicazione dell’appalto alla ricorrente e subentro nel contratto eventualmente stipulato ovvero, in subordine, al risarcimento per equivalente dei danni subiti dalla ricorrente in conseguenza dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della MC Appalti di Cristini Mattia e dell’Autorità Nazionale Anticorruzione;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2016 la dott.ssa Ofelia Fratamico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Con il ricorso in epigrafe il sig. Antonio De Feo, titolare dell’impresa individuale Antonio De Feo Restauri, ha chiesto al Tribunale di annullare, previa sospensione dell’efficacia, a) il provvedimento prot. n. 4566 del 3.11.2016 con cui la Centrale Unica di Committenza della XI Comunità Montana Castelli Romani e Prenestini aveva rigettato la sua istanza di autotutela in relazione all’esclusione dalla procedura negoziata per l’affidamento dei lavori così indicati: “Tuscolo – Luogo Primitivo dell’Anima”, Lotto: opere di archeologia nel Comune di Monte Porzio Catone, b) la nota prot. n. 4272 dell’11.10.2016, con cui l’Amministrazione le aveva comunicato la sua esclusione automatica dalla suddetta procedura, c) il verbale della Commissione di gara dell’11.10.2016, con cui era stata disposta l’esclusione stessa ed era stata proposta l’aggiudicazione in favore della controinteressata M.C. Appalti di Cristini Mattia; d) l’aggiudicazione definitiva; e) la lettera di invito, se da interpretare nel senso della previsione dell’esclusione automatica delle offerte anomale; f) il comunicato esplicativo dell’ANAC del 5.10.2016; g) ogni atto presupposto, connesso e comunque consequenziale del procedimento.

A sostegno della sua domanda la ricorrente ha dedotto: violazione di legge, violazione e falsa applicazione degli artt. 83 e 97 del d.lgs. n. 50/2016, della lex specialis (e, in particolare, degli artt. 18 e 19 della lettera d’invito), dell’art. 55 della direttiva 2004/18/CE, dell’art. 69 della direttiva 2014/24/UE e dell’art. 97 della Costituzione; violazione e falsa applicazione dei principi dell’autovincolo, della par condicio concorrentium e del favor partecipationis, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, erroneità dei presupposti, travisamento di atti e fatti, erroneità della motivazione, illogicità e contraddittorietà, sviamento, sproporzione, manifesta ingiustizia.

Si sono costituite in giudizio la Centrale Unica di Committenza della XI Comunità Montana dei Castelli Romani e Prenestini e la controinteressata, impresa individuale M.C. Appalti di Cristini Mattia, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato.

Alla camera di consiglio del 14.12.2016, fissata per la discussione della sospensiva, la causa è stata, dunque trattenuta in decisione ex art. 60 c.p.a., sussistendone i presupposti di legge.

La ricorrente, che, nella procedura indetta dalla Centrale Unica di Committenza, da aggiudicarsi secondo il criterio del prezzo più basso, aveva presentato il maggior ribasso (40,500%) ed era stata per tale offerta automaticamente esclusa, ha impugnato la sua esclusione ed il rigetto da parte dell’Amministrazione della sua richiesta di autotutela su tale provvedimento, in primo luogo per violazione dell’art. 97 del d.lgs. n. 50/2016, deducendo che in mancanza di una espressa previsione nella lex specialis della possibilità di fare ricorso all’esclusione automatica così come disciplinata dall’art. 97 comma 8 del d.lgs.n.50/2016 la Stazione Appaltante non avrebbe potuto procedere all’esclusione automatica dell’offerta ritenuta anomala, ma avrebbe dovuto avviare il sub-procedimento di anomalia in contraddittorio con essa.

Tale censura è fondata e meritevole di accoglimento: il dettato dell’art. 97 comma 8 del d.lgs. n. 50/2016, che stabilisce che “per lavori, servizi e forniture, quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso…, la stazione appaltante può prevedere nel bando l’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi del comma 2. In tal caso non si applicano i commi 4, 5 e 6. Comunque la facoltà di esclusione automatica non è esercitabile quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a dieci”, è chiaro nel richiedere espressamente all’Amministrazione che intenda avvalersi dell’esclusione automatica delle offerte anomale di indicare tale facoltà nel bando di gara con apposita clausola.

Gli artt. 18 e 19 della lettera di invito, per cui “la valutazione delle offerte anormalmente basse” sarebbe avvenuta “sulla base dei criteri indicati dall’art. 97 del d.lgs. n. 50/2016” e “secondo cui “nell’esercizio della facoltà prevista dall’art. 97 comma 1 del nuovo Codice” si sarebbe proceduto “alla valutazione della congruità delle offerte ritenute anormalmente basse secondo le modalità indicate dall’art. 97 del nuovo Codice” non recano, invece, alcuna espressa previsione in tal senso, richiamando, tra l’altro, una disposizione come il comma 1 dell’art. 97 del Codice indicativa proprio dell’assenza dell’esclusione automatica, in quanto relativa ai chiarimenti che gli operatori possono fornire in caso di offerte che appaiano anormalmente basse.

Alla luce di tali considerazioni e della necessità di interpretare la lex specialis secondo i principi comunitari di massima partecipazione e di rispetto del contradditorio con le imprese partecipanti – che, avversi ad ogni rigido automatismo, impongono di avvisare i concorrenti sulle conseguenze che la formulazione delle loro offerte potrebbe avere, permettendo loro, così di elaborarle in modo consapevole – il ricorso deve essere dunque accolto, con annullamento dell’esclusione della ricorrente dalla procedura, del diniego di autotutela da parte dell’Amministrazione e di tutti gli atti connessi e consequenziali del procedimento.

Nessuna illegittimità può, al contrario essere riscontrata né nei ricordati articoli della lettera d’invito, non interpretabili nel senso attribuito loro dall’Amministrazione, né nel Comunicato dell’ANAC, relativo all’impossibilità di procedere all’esclusione automatica anche ove espressamente prevista, quando il numero delle offerte ammesse sia inferiore a dieci ed all’opportunità di specificare tare eventualità nella documentazione di gara.

L’annullamento dell’esclusione della ricorrente, che aveva formulato l’offerta con il maggior ribasso, e di tutti gli atti connessi, stante il potere- dovere della Stazione Appaltante di concludere la procedura, costituisce soddisfazione in forma specifica dell’interesse fatto valere con il ricorso e rende superflua ogni pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno per equivalente, proposta, del resto, solo in via subordinata.

Le spese tra la ricorrente e l’Amministrazione la seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, mentre le spese tra la ricorrente e l’ANAC e la controinteressata possono essere compensate in considerazione della riconducibilità alla Stazione Appaltante dell’errore interpretativo all’origine della controversia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis),

definitivamente pronunciando,

– accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla l’esclusione della ricorrente dalla gara e tutti gli atti connessi;

– condanna la Centrale di Committenza alla rifusione in favore della ricorrente delle spese di lite, liquidate in complessivi € 1.500,00 oltre al contributo unificato ed oltre agli accessori di legge;

– compensa le spese tra la ricorrente e l’ANAC e la controinteressata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Elena Stanizzi, Presidente

Antonella Mangia, Consigliere

Ofelia Fratamico, Primo Referendario, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Ofelia Fratamico Elena Stanizzi

IL SEGRETARIO

 

Giurdanella.it.

Indicazione CIG gare d’appalto: la sentenza del TAR Lazio

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appalti

Il TAR Lazio – Roma, Sez. II-Ter, con la sentenza n. 2115 dell’8 febbraio 2017 si è pronunciato sul momento in cui si applica l’obbligo di indicare il CIG della gara e sulla data di vigenza dell’obbligo stesso.

Il TAR lazio ha sancito che “in sede di redazione della lex specialis della gara, deve riconoscersi alla stazione appaltante un margine apprezzabile di discrezionalità nel richiedere requisiti di capacità economica, finanziaria e tecnica ulteriori e più severi rispetto a quelli normativamente previsti, con il rispetto della proporzionalità e ragionevolezza e nel limite della continenza e non estraneità rispetto all’oggetto della gara”.

Secondo i giudici la discrezionalità della stazione appaltante è in linea con i principi della massima partecipazione, concorrenza, trasparenza e libera circolazione delle prestazioni e servizi, a condizione che i requisiti individuati dal bando di gara siano adeguati e proporzionati all’oggetto dell’appalto.

Infine, l’obbligo di indicazione del CIG relativo alla gara di appalto non riguarda la fase di scelta del contraente ma il momento di esecuzione del procedimento di gara.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

Pubblicato il 08/02/2017

N. 02115/2017 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11997 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Società Suacotex S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Luca Tozzi, domiciliato ex art. 25 cpa presso la Segreteria Tar Lazio in Roma, via Flaminia, 189;

contro

Ama S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Fari’, Omar Hagi Kassim, Roberto Libretti con domicilio eletto presso Andrea Farì in Roma, via V. Veneto, 108;

per l’annullamento:

a) di tutti gli atti di gara e di quelli presupposti (determina a contrarre) laddove inibiscono a monte la partecipazione alla gara dei soggetti sforniti di impianto nella provincia di Roma (ovvero nei 30 km dal centro di Roma), anche quelli non ancora conosciuti con riserva espressa di esperire motivi aggiunti;

b) del disciplinare d’asta del 10.10.2016 avente ad oggetto la “Procedura d’Asta, 4 lotti, per la cessione di indumenti, accessori di abbigliamento ed altri manufatti tessili confezionati post-consumo (CER 20.01.10 – CER 20.01.11) provenienti dalla raccolta differenziata nel Comune di Roma: 24 mesi” laddove dispone, segnatamente al capo 6.1.3 che “lo/gli impianto/i sono ubicati entro 30 (trenta) km dal centro Città di Roma (trenta) km dal centro Città di Roma (da via del Campidoglio all’ingresso dell’impianto) secondo quanto stabilito nel capitolato Tecnico;”

c) del capitolato tecnico di gara laddove prevede che “La cessione del materiale dovrà avvenire a Roma, o in comune limitrofo, in un impianto di recupero autorizzato (R3 o R13), posto entro 30 Km dal centro della Città (distanza ricavata con i comuni software di individuazione percorsi, da via del Campidoglio all’ingresso dell’impianto), dotato di pesa certificata, di cui il partecipante si avvarrà.”;

d) di ogni altro atto connesso, presupposto o conseguente, laddove lesivo degli interessi della ricorrente.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ama S.p.A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2017 il Cons. Giuseppe Rotondo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in esame, la società SUACOTEX s.r.l. – premessa la propria qualità di operatore economico operante nell’ambito degli affidamenti pubblici dei servizi dello smaltimento e rigenerazione dei rifiuti da scarti tessili o indumenti usati dotato di un impianto di proprietà nel Comune di San Nicola La Strada in Provincia di Caserta – riferisce di avere manifestato il proprio interesse alla partecipazione alla procedura d’asta indetta da A.M.A. Roma s.p.a., suddivisa in quattro lotti, per la cessione di indumenti, accessori di abbigliamento ed altri manufatti tessili confezionati post-consumo (CER 20.01.10 – CER 20.01.11) provenienti dalla raccolta differenziata nel territorio del Comune di Roma.

Espone in fatto che:

-l’importo complessivo stimato per l’intera durata del contratto (24 mesi), per tutti e 4 i lotti, è pari ad € 2.520.000,00 oltre IVA;

-la procedura avrebbe come oggetto da parte dei concorrenti (muniti di impianti autorizzati) sia l’acquisto al rialzo, rispetto al prezzo posto a base di asta (pari ad € 350,00 a tonnellata), di indumenti e accessori di abbigliamento (classificati quali rifiuti riciclabili) già raccolti da terzi negli appositi contenitori dislocati nella città di Roma di proprietà della società AMA, che il servizio pubblico di smaltimento e riciclaggio dei rifiuti acquistati dalla stessa stazione appaltante e che, pertanto, la procedura in parola costituirebbe un ibrido tra la procedura di alienazione di beni pubblici e la concessione di servizi poiché l’aggiudicatario, acquistando i prodotti e smaltendo e riciclando gli stessi, verrebbe ad accollarsi a tutti gli effetti un rischio operativo definito dall’art. 3, co. 1, lett. zz), del D. Lgs. 50/2016;

-la lex specialis ha specificato che: i flussi destinati alla varie forme di recupero dovranno essere tracciati e periodicamente certificati; la “raccolta del materiale in oggetto è effettuata da AMA, o per conto di AMA, con modalità stradale mediante contenitori chiusi, con sistema di ingresso abiti basculante con maniglione in acciaio, avente funzione antiasporto ed antiintrusione al fine di evitare l’accesso al contenuto da parte di personale non autorizzato, con capacità utile effettiva ca m3 1,8/ 2,0. Tali contenitori chiusi evitano l’ingresso di acque meteoriche. Il successivo trasporto all’impianto o piattaforma di destino avviene a cura di AMA, o per conto di AMA, con automezzi chiusi. Il tutto consente di affermare che tale materiale verrà conferito asciutto”; Il capitolato, all’art. 2, definisce la citata “Piattaforma” quale “impianto autorizzato in R13 (messa in riserva) e/o R3 per la destinazione in cicli di consumo mediante selezione e igienizzazione. In piattaforma il materiale viene pesato, scaricato e messo in riserva (R13) e/o selezionato (R3) per separare gli indumenti e gli accessori da abbigliamento (scarpe, cinture e borse) per i quali è previsto un recupero attraverso il riutilizzo dei singoli pezzi e/o il riciclo in pezzame e fibre tessili.”.

-il disciplinare d’asta prevede al punto 6.1.3 che il concorrente debba dichiarare, oltre alla titolarità dell’impianto che verrà utilizzato per le operazioni da eseguire ai fini del corretto svolgimento del servizio de quo, anche “che lo/gli impianto/i sono ubicati entro 30 (trenta) km dal centro Città di Roma (da via del Campidoglio all’ingresso dell’impianto) secondo quanto stabilito nel Capitolato Tecnico”;

-più in particolare, il Capitolato Tecnico prescrive in proposito che “La cessione del materiale dovrà avvenire a Roma, o in comune limitrofo, in un impianto di recupero autorizzato (R3 o R13), posto entro 30 Km dal centro della Città (distanza ricavata con i comuni software di individuazione percorsi, da via del Campidoglio all’ingresso dell’impianto), dotato di pesa certificata, di cui il partecipante si avvarrà”.

Ciò premesso, la società istante reputa le suddette disposizioni della lex specialis di gara (punto 6.1.3 del disciplinare d’asta e relativo Capitolato Tecnico) illegittime, siccome di carattere immotivatamente escludente nonché lesive della par condicio dei concorrenti.

Di esse, pertanto, ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi.

1)Violazione e falsa applicazione di legge (art.49 Trattato UE, artt.30, 164, 166, 170 del d.lgs. 50/2016; artt.3, 26, 30 e 38 della Direttiva 2014/23 ovvero artt.18, 19 Direttiva 2014/24; art. 3, 97 e 120 Cost.) –Violazione della par condicio dei concorrenti – Illogicità ovvero irragionevolezza manifesta.

1.1)la AMA Roma, nonostante trattasi di settore escluso (o perché trattasi di cd. “contratto attivo” ovvero perché trattasi di concessione di servizi) si sarebbe comunque espressamente autovincolata al rispetto del nuovo codice dei contratti.

1.2)Le previsione della lex specialis per cui il concorrente alla procedura debba dichiarare il possesso e/o la titolarità di un impianto localizzato, a pena di esclusione, in linea d’aria entro e non oltre 30 km dal centro della città di Roma è discriminatoria, nonché lesiva dei principi normativi comunitari in tema di libera prestazione dei servizi (art. 59 del Trattato – oggi 49 Trattato U.E.) e di concorrenza, nei confronti degli operatori economici che, pur volendo concorrere alla gara in oggetto (in quanto in possesso della titolarità di un impianto autorizzato per la messa in riserva e per la destinazione in cicli di consumo mediante selezione e igienizzazione del materiale proveniente da raccolta differenziata), non possiedono detto impianto entro i prescritti 30 km dal centro della città di Roma; la “natura escludente di tale disposizione preclude in sostanza ed in radice la partecipazione alla procedura de qua a tutti gli operatori economici che non possiedano impianti autorizzati nel territorio della provincia di Roma in aperta e reiterata violazione delle norme nazionali e comunitarie rubricate”.

1.3)Le disposizioni impugnate creerebbero, altresì, una illegittima restrizione a monte del mercato dei concorrenti senza che esistano specifiche ragioni tecniche e/o giuridiche alla base detta scelta e senza che la stazione appaltante abbia motivato adeguatamente la decisone di deroga. Tale non potrebbe ritenersi, infatti, la circostanza per cui è la stessa AMA (attraverso un altro appalto) a provvedere al trasporto dei rifiuti nelle apposite strutture da individuarsi nel raggio di 30 km e che, conseguentemente, allorché queste ultime si trovassero ad una distanza maggiore di quella prescritta vi sarebbero maggiori costi del servizio, atteso che a fronte di tale vantaggio – che non costituirebbe un dato acquisito – vi sarebbe un’innegabile effetto distorsivo della concorrenza, limitandosi l’accesso ai soli operatori già presenti sul territorio romano.

1.4)La prescrizione del possesso ratione loci del citato impianto di trattamento entro 30 km dal Centro di Roma sarebbe, altresì, irragionevole e sproporzionata in quanto non terrebbe in alcun conto delle eventuali economie di scala che gli altri potenziali operatori economici del settore poterebbero porre in essere a vantaggio economico della AMA Roma Spa, né sarebbe sorretta da un precipuo interesse dell’Amministrazione concedente a che l’impianto in parola si debba trovare necessariamente ubicato entro il raggio di 30 km dal centro.

1.5)Anche il principio e/o l’obbligo di autosufficienza degli ATO nella gestione e nello smaltimento dei rifiuti, rappresentato dal d.lgs. 152/2006, non sarebbe applicabile al caso di specie trattandosi di rifiuto non pericoloso espressamente oggetto di raccolta differenziata e di riciclaggio. Sul punto, la ricorrente richiama la decisione della Corte di Giustizia UE, 5^, 12.12.2013 n. 292: le disposizioni del disciplinare e del capitolato tecnico quivi contestate violerebbero “apertamente e reiteratamente i principi indicati dalla richiamata pronuncia della Corte di Giustizia laddove non prevedono la possibilità ai proprietari di impianti oltre il raggio di 30 km di partecipare alla procedura di gara oggetto di causa”.

1.6)Il comportamento di AMA appare contraddittorio e restrittivo della concorrenza laddove, da un lato, l’Azienda bandisce una procedura per la raccolta di rifiuti urbani (composti da abiti ed indumenti usati) ed il successivo trasporto degli stessi in appositi impianti di trattamento, chiarendo sia che l’ubicazione di questi ultimi sarà meglio specificata in seguito all’aggiudicazione sia che gli stessi si trovano, entro 30 km dal centro città; dall’altra, bandisce una gara diretta alla vendita di tali rifiuti, prescrivendo che il concorrente che mira all’aggiudica, ovvero all’acquisto del materiale, debba dichiarare la titolarità di un impianto di trattamento idoneo entro 30 km dal centro città.

Sarebbero, pertanto, “presenti tutti i canoni individuati dalla succitata pronuncia della Corte di Giustizia, indicativi del contrasto con il regolamento CE 1013/2006, in quanto l’effetto del combinato disposto delle due procedure di gara disposte da AMA sostanzialmente prescrive l’obbligo … di trasportare tali rifiuti (ovvero rifiuti destinati al recupero) a un impianto di trattamento situato nel medesimo Stato membro” riconosciuto come “equivalente a una misura di portata generale, che non può ritenersi consentita dal regolamento n. 1013/2006 in quanto riguarda rifiuti destinati al recupero, qualora i produttori dei rifiuti in parola siano obbligati a consegnare tali rifiuti a detta impresa o a detto impianto.” (Corte di Giustizia UE, 5^,12.12.2013 n. n.292).

La ricorrente formula, pertanto, espressa richiesta affinché il Collegio “voglia adire in via pregiudiziale ex art. 267 TFUE la Corte di Giustizia Europea al fine di ottenere una interpretazione corretta della Direttiva 2008/98/CE e del Regolamento 1013/2006 al fine di appurare:” Se è legittima la previsione della Stazione Appaltante di destinare rifiuti differenziati destinati al recupero ad impianti di trattamento che si trovino esclusivamente in prossimità (30 km) del centro di Roma ai sensi della richiamata normativa comunitaria ovvero Direttiva 2008/98/CE e Regolamento 1013/2006 siano legittime le previsione della Stazione Appaltante”.

2 – Carenza di requisiti della procedura indetta dalla stazione appaltante per mancata attivazione del CIG.

2.1) Negli atti di gara non è dato riscontrare il numero di CIG. La richiesta e la comunicazione del CIG sono imposte dall’art. 3 della legge n. 136/2010).

La società istante conclude per l’accoglimento del ricorso e per l’annullamento dei provvedimenti impugnati.

Si è costituita in giudizio AMA s.p.a., che ha depositato documenti e memorie.

Parte resistente eccepisce, in via preliminare, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario assumendo che la controversia in esame, tenuto conto delle caratteristiche oggettive dell’appalto, non rientra nel campo di applicazione dell’art. 120 c.pa. avendo per oggetto un contratto attivo, ovvero la cessione a titolo oneroso di rifiuti; né l’atto di vendita costituirebbe esercizio di potere pubblico bensì, di prerogative privatistiche di AMA.

Nel merito, la resistente chiede il rigetto del gravame principiando dalle ragioni che l’hanno indotta ad abbandonare la gestione verticale integrata di tutta la filiera per una scelta organizzativa diversa intesa a separare la parte di servizio da quella di vendita del materiale, quale risposta alle segnalazioni di criticità evidenziate dalle vicende di malaffare di cui alla c.d. “ordinanza stracci”.

Assume la logicità e ragionevolezza del criterio basato sulla necessaria distanza massima dell’impianto di recupero rifiuti entro 30 Km dal centro di Roma, rispondente ad esigenze rappresentate dalla economicità dell’operazione complessiva posta in essere, dal contenimento dei costi per la collettività, da esigenze ambientali.

Con memoria del 3 gennaio 2017, parte ricorrente replica alle eccezioni di parte resistente (sul difetto di giurisdizione del g.a.) assumendo il carattere pubblico del servizio, così come indicato nel Capitolato speciale d’appalto, la natura pubblicistica dell’attività di gestione dell’intero ciclo dei rifiuti, affidata da Roma Capitale ad AMA – società per azioni con unico socio (Roma Capitale, che ne detiene il capitale sociale), rispondente al modello dell’in house providing, nonché l’esercizio di poteri autoritativi esercitati nella fattispecie dall’azienda. Nel merito insiste per l’accoglimento del gravame.

Con ricorso per motivi aggiunti, la società SUATEX s.r.l. ha impugnato la nota prot. 070804 del 30/12/2016 con la quale AMA s.p.a. ha escluso la ricorrente dalla gara per cui è causa.

Nel gravarsi avverso l’atto di esclusione, la ricorrente deduce i medesimi profili vizianti già dedotti in via principale.

Con memoria depositata il 5 gennaio 2017, AMA s.p.a. ribadisce la legittimità del proprio operato e delle scelte discrezionali di carattere organizzativo che hanno indotto la stazione appaltante ad optare per un modello di gestione per fasi rispetto ad un modello verticalmente integrato.

Con memorie di replica depositate il 12 e 13 gennaio 2017, parte ricorrente e resistente insistono rispettivamente nelle proprie tesi difensive.

All’udienza del 24 gennaio 2017, nel corso della discussione, il Presidente avvisa i difensori presenti che il Collegio valuterà l’opportunità di inviare il fascicolo di causa alla Procura della Repubblica in relazione alle affermazioni della società ricorrente secondo cui gli impianti ricadenti nel raggio di 30 Km dal centro Città, presso i quali stoccare i rifiuti per conto di AMA, sarebbero gestiti dalle stesse persone già oggetto di indagini nell’ambito di una inchiesta penale in corso.

Il difensore della ricorrente, avutane facoltà, precisa che le sue affermazioni volevano solo significare che alcuni impianti sono gli stessi ma che non è in grado di sapere se a gestirli sarebbero le stesse persone.

Terminatala discussione, la causa viene trattenuta per la decisione per essere definita con le modalità e nelle forme di cui all’art. 74 del c.p.a.

Preliminarmente, il Collegio deve farsi carico di esaminare l’eccezione sollevata da AMA s.p.a. in ordine al difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere dell’odierna controversia, in favore del giudice orinario.

L’eccezione è infondata.

La controversia in esame rientra, ad avviso del Collegio, nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

L’art. 133, c. 1, lett. p) devolve al giudice amministrativo le controversie in materia di gestione del ciclo rifiuti comunque connesse all’esercizio anche mediato del potere.

Nella fattispecie, il contestato appalto non par dubbio che inerisca ad un segmento di gestione del ciclo dei rifiuti, laddove affida all’aggiudicatario tutte le fase successive al trasporto fino alla commercializzazione del rifiuto differenziato.

L’oggetto dell’appalto comprende, infatti, la compravendita di indumenti e accessori di abbigliamento, previa pre-pulizia, selezione, disinfezione, finalizzata al recupero, attraverso il riutilizzo dei singoli pezzi e/o riciclo in pezzame e fibre tessili.

Ciò che rileva ai fini della giurisdizione è che la compravendita non riguarda il rifiuto bensì il prodotto finito all’esito della sua lavorazione, a seguito delle operazioni che lo trasformano da rifiuto in prodotto commerciabile.

La lavorazione del rifiuto costituisce anch’essa oggetto dell’appalto e viene posta a carico dell’aggiudicatario che, pertanto, si inserisce nel ciclo dei rifiuti con riguardo alla fase di selezione, trattamento, recupero e scarti di selezione.

Attività, queste, afferenti il complesso servizio pubblico affidato da Roma Capitale alla propria società in house providing, di cui essa è unico socio e che ha costituito per perseguire e garantire il servizio consistente nella pulizia delle strade della città, nella sanificazione e lavaggio delle aree e più in generale in tutte le attività che risultano necessarie alla gestione dell’intero ciclo dei rifiuti (raccolta, selezione, trattamento, recupero, smaltimento).

AMA, nell’esercizio dei propri poteri organizzativi inerenti le modalità di gestione dell’intero ciclo dei rifiuti (espressione di discrezionalità amministrativa), si è determinata nel senso di separare la fase di raccolta e trasporto del rifiuto da quella successiva di cessione del materiale previa lavorazione e trattamento del rifiuto per la sua trasformazione da rifiuti in materiale idoneo alla commercializzazione.

In pratica, il rifiuto viene prelevato dai contenitori stradali e trasportato da AMA fino all’impianto di “messa in riserva” (autorizzato in R13); qui il rifiuto viene sottoposto alla doppia pesatura, per determinare il corrispettivo a carico dell’impresa aggiudicataria dell’appalto de quo; dopo di che, presso un impianto autorizzato in R3 l’impresa aggiudicataria dovrà sottoporre il rifiuto ad uno specifico trattamento (di selezione, lavorazione, igienizzazione, disinfezione, raffinazione) per trasformarlo da rifiuto in materiale idoneo al suo riutilizzo; solo a ciclo finito (trattamento del rifiuto in impianto autorizzato in R3) il prodotto si trasforma, dunque, in prodotto idoneo alla commercializzazione.

Ne consegue, che l’appalto indetto da AMA, siccome afferente il complesso ciclo di gestione dei rifiuti ad essa affidato quale ente strumentale di Roma Capitale, rientra nella fattispecie di cui agli artt. 119 e 120 del c.p.a. e sconta la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi del successivo art. 133, c. 1, lett. p).

Nel merito, come seguono le considerazioni del Collegio.

L’azione impugnatoria proposta dalla società SUATEX s.r.l. è tesa (e circoscritta) all’annullamento degli atti impugnati, esclusivamente laddove questi inibiscono a monte la partecipazione alla gara di soggetti sforniti di impianto R3 e/o R13 nella provincia di Roma, ovvero nei 30 Km dal Campidoglio.

La ricorrente si ritiene pregiudicata, in parte qua, dal bando di gara perché titolare di un impianto di trattamento rifiuti ubicato in San Nicola La Strada (Caserta) distante circa 200 Km dal centro di Roma.

Essa contesta la clausola del bando perché di carattere escludente, dunque asseritamente lesiva dei principi di rango comunitario in tema di non discriminazione, libera concorrenza, trasparenza, libera circolazione e prestazione dei servizi, trasparenza (anche sub specie del favor partecipationis) e di essa ne assume l’illegittimità perché irragionevole, immotivata, illogica e sproporzionata in quanto priva di giustificazione sul piano economico e della opportunità.

Il ricorso è infondato.

AMA si è determinata a modificare l’organizzazione della raccolta differenziata dei tessuti, prevedendo la gestione separata del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti da quella successiva di alienazione, al fine del loro riutilizzo.

L’Azienda è dunque passata da un sistema verticalizzato integrato della gestione ad un sistema articolato per fasi: la prima, organizzata per la raccolta ed il trasporto dei differenziati (tessuti), curata direttamente o mediante autonomo appalto di servizio); la seconda, per la messa in riserva (deposito/stoccaggio: R13) dei rifiuti medesimi e la loro selezione e igienizzazione (R3).

I rifiuti in questione, una volta prelevati dai contenitori stradali a cura di AMA, vengono dunque trasportati presso la Piattaforma, ovvero l’impianto autorizzato in R13 (messa in riserva) e/o R3 per la destinazione in cicli di consumo mediante selezione e igienizzazione.

Orbene, dalla documentazione di gara (vedi in particolare il Capitolato d’appalto), il requisito richiesto dalla stazione appaltante per partecipare alla seconda fase del progetto, quello per cui è causa, non consisteva nel possesso dell’autorizzazione e nella disponibilità di impianti addetti alla messa in riserva (R13) e al trattamento (R3), essendo sufficiente – come chiarito e specificato anche nelle FAQ messe a disposizione delle imprese da parte di AMA – la disponibilità e/o l’autorizzazione relativa al solo impianto R13 (per il deposito/stoccaggio ad una distanza massima dal centro della Città non superiore ai 30 Km).

L’aggiudicatario avrebbe poi dovuto fornire, con reportistica concordata con il direttore dell’esecuzione del contratto, tutte le informazioni successive delle varie fasi fino alla commercializzazione.

Giova precisare, sul punto, che l’operazione R13 identifica esclusivamente la “messa in riserva” di rifiuti per sottoporli ad altre operazioni di recupero.

Più in particolare, in base all’ Allegato C) del D.Lgs. 152 del 2006, si intende per Operazione di Recupero R13 “La Messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti).

L’autorizzazione in R13 consente, dunque, di mettere in deposito il rifiuto che entra nella Piattaforma con un determinato CER; dopo di che, o il rifiuto medesimo esce esattamente con lo stesso CER, destinato ad impianti che effettivamente ed oggettivamente lo recuperano (nel caso di specie, R3), oppure, se l’impianto di stoccaggio è autorizzato anche al trattamento, potrà essere quivi anche selezionato e igienizzato.

Per cui, un impianto che svolge un’operazione di recupero da R1 a R12 deve necessariamente fare una messa in riserva “stoccaggio preliminare”, propedeutico all’operazione di recupero vera e propria, per cui tutti gli impianti di recupero autorizzati con operazioni da R1 a R12 sono autorizzati sempre in R13 + RX.

Non anche necessariamente il contrario, nel senso che un impianto autorizzato in R13 potrà limitarsi a mettere in deposito il rifiuto per il tempo strettamente necessario indicato dalla legge, per poi mandarlo da R13 a un (come nel caso in esame) R3 che, ovviamente, dovrà essere autorizzato R13 – R3.

Ora, considerando che il rifiuto non sarà trattato immediatamente, ovvero appena scaricato dal mezzo di trasporto, ma resterà per un periodo di tempo in R13, esiste la possibilità di passaggio da un R13 “puro” ad un altro R13 (non puro) in quanto dotato di autorizzazione all’effettivo recupero.

Si deduce facilmente che il passaggio da un R13 ad un altro è consentito solo se il secondo R13 è propedeutico ad un’altra operazione di recupero, per cui la norma permette il passaggio una sola volta in siti autorizzati con R13 “puro”, ovvero con sola messa in riserva.

Nella controversa fattispecie, la ricorrente è titolare di impianto autorizzato in R13 e R3 in provincia di Caserta, mentre AMA ha richiesto la disponibilità dell’impianto autorizzato in R13 o R3 ad una distanza massima di 30 Km dal centro.

La ricostruzione fattuale e giuridica nei termini di cui sopra dà conto delle ragioni per le quali sono infondate tutte le censure della ricorrente che muovano dall’erroneo presupposto della necessaria disponibilità degli impianti autorizzati in R3 nel raggio di 30 Km dal centro della Città.

Requisito di partecipazione era, infatti, avere la disponibilità di un impianto nel quale stoccare ovvero mettere in riserva il rifiuto, mentre analogo requisito non era necessariamente richiesto avuto riguardo alla contestuale disponibilità dell’impianto per il trattamento: quest’ultimo, infatti, avrebbe potuto essere ubicato a qualunque distanza e quindi, teoricamente, anche a distanza maggiore e, pertanto, anche in un’altra regione.

Sotto questo profilo, la previsione della lex specialis s’appalesa conforme al dettato dell’art. 181 del D.Lgs n. 152 del 2006 secondo cui “Per le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio ed al recupero è sempre ammessa la libera circolazione sul territorio nazionale”.

Ragion per cui, s’appalesano infondate anche le censure per violazione del D.Lgs n. 52 del 2006 e per contrasto con i principi comunitari di cui alla giurisprudenza europea richiamata dalla ricorrente.

Si tratta, a questo punto, di appurare se il requisito di partecipazione consistente nella disponibilità degli impianti autorizzati in R13 vìoli i principi di generali in tema di gare pubbliche e impedisca la partecipazione alla procedura de qua alle imprese – come la ricorrente – che dispongono di impianti situati a una distanza superiore a quella indicata nel suddetto capitolato di appalto.

Il Collegio ritiene che la clausola di bando, previsiva della disponibilità di un impianto a non eccessiva distanza dal Comune appaltante, sia legittima in quanto ragionevole e giustificata.

La giurisprudenza amministrativa ha sempre riconosciuto alla stazione appaltante un margine apprezzabile di discrezionalità nel richiedere requisiti di capacità economica, finanziaria e tecnica ulteriori e più severi rispetto a quelli normativamente previsti, con il rispetto della proporzionalità e ragionevolezza e nel limite della continenza e non estraneità rispetto all’oggetto della gara (ex plurimis, Consiglio di Stato, V, 8 settembre 2008, n.3083; VI, 23 luglio 2008, n.3655).

Tale esercizio della discrezionalità è stato ritenuto, dunque, compatibile con i principi della massima partecipazione, concorrenza, trasparenza e libera circolazione delle prestazioni e servizi purché i requisiti richiesti siano attinenti e proporzionati all’oggetto dell’appalto e la loro applicazione più rigorosa si correli a circostanze debitamente giustificate.

In questi limiti, la pretesa del possesso di requisiti più stringenti relativi alla capacità tecnica, economica e/o finanziaria non costituisce un ostacolo ingiustificato alla partecipazione delle imprese alla gara.

Orbene, nel caso in esame AMA – sulla scorta di valutazioni e ponderazioni che impingono la sfera di merito dell’azione amministrativa e che resistono al sindacato esogeno di legittimità, siccome non irragionevoli né arbitrarie né frutto del travisamento dei fatti – ha motivato la divisata prescrizione di bando sotto una molteplicità di ragioni tutte positivamente apprezzabili in quanto suggerite da rilievi di carattere organizzativo nonché supportate da pertinenti richiami ai principi propri della materia ambientale, alle norme in materia di gestione dei rifiuti, alle esigenze di riduzione dell’impatto ambientale del trasporto di rifiuti, agli obiettivi di economicità ed efficienza del servizio oltre che di contenimento dei costi a carico della collettività, altrimenti accresciuti dai maggiori oneri di trasporto dei rifiuti e di organizzazione del servizio presso Piattaforme di stoccaggio più distanti.

Esigenze alle quali si affianca l’obiettiva ed evidente opportunità, anch’essa plausibile e non certo di secondo piano, di effettuare agevolmente i dovuti controlli sui rifiuti trasportati.

La previsione del bando non appare, dunque, irragionevole né eccessivamente pregiudizievole per la concorrenza atteso che, effettivamente, essa consente che il servizio pubblico di raccolta sia fatto con mezzi di minor tonnellaggio con conseguenti economie di spesa nonché minore impatto ambientale.

Al riguardo, non appare persuasiva la tesi della ricorrente secondo cui la disponibilità di impianti anche ad una distanza maggiore di 30 Km, consentendo la partecipazione ad un numero maggiore di imprese, avrebbe potuto comportare un maggiore ribasso d’asta dovuto ad economie di scala.

In disparte la genericità del rilievo, va osservato che una cosa è la riduzione del vantaggio economico per l’acquirente del prodotto che deve preoccuparsi solo di acquisire la disponibilità di un impianto per lo stoccaggio momentaneo dei rifiuti; altra cosa è doversi avvalere di un impianto in disponibilità di altri presso il quale seguire non solo lo stoccaggio della merce ma anche il trattamento (che rappresenta la componente economica più dispendiosa) della stessa: circostanza che avrebbe sicuramente inciso sulla percentuale di ribasso, rendendola meno conveniente per la stazione appaltante.

La scelta operata da AMA s’appalesa altresì legittima anche rispetto ai parametri normativi di riferimento, tenuto conto delle regole contenute nel Testo unico ambientale in tema di gestione dei rifiuti che costituiscono regole precettive oltre che principi generali della materia, quali: 1) la autosufficienza dei territori; 2) il principio della minimizzazione della movimentazione dei rifiuti (esplicata nel divieto, se non in via eccezionale, di smaltirli in regioni diverse da quelle di produzione); 3) il principio dello smaltimento dei rifiuti urbani in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi.

Ragion per cui, la contestata previsione resiste alle censure di illegittimità anche dal punto di vista dei principi generali e delle regole giuridiche e tecniche in tema di corretta gestione dei rifiuti.

Deve pertanto concludersi per la logicità e ragionevolezza della divisata previsione, in quanto la discrezionalità esercitata da AMA nella fissazione dei requisiti di partecipazione s’appalesa proporzionata rispetto all’oggetto specifico dell’appalto e non va, pertanto, a restringere oltre lo stretto indispensabile la platea dei potenziali concorrenti né realizza effetti discriminatori, anche territoriali.

Neppure appaiono compromessi, per quanto sopra esposto, i principi della massima partecipazione, della trasparenza e della concorrenza anche perché ben potrebbero le imprese interessate consorziarsi per reperire la disponibilità dell’impianto.

In definitiva, non può dirsi irragionevole, limitativa della concorrenza e eccessivamente restrittiva, e anzi deve ritenersi pienamente rispettosa dei principi che regolano la materia della gestione dei rifiuti, la previsione di gara che, per il servizio in questione abbia preteso la “messa in riserva” dei rifiuti in impianto autorizzato in R13, a distanza massima di 30 Km dal centro Città, ovvero a non eccessiva distanza dal luogo di produzione dei rifiuti.

Con un secondo ordine di doglianze, la ricorrente ha censurato la violazione dell’obbligo di indicare il CIG di gara.

Il motivo è infondato.

L’obbligo di indicazione del CIG attiene non già alla fase di scelta del contraente bensì alla fase esecutiva del procedimento di gara, ovvero la stipula del contratto il cui contenuto deve recare la clausola relativa agli obblighi di tracciabilità, pena la nullità degli stessi (e non del bando).

Il profilo, infatti, trova esplicita disciplina all’art. 6, comma 1, del D.L. n. 187 del 2010, il quale dispone che “l’articolo 3 della legge 13 agosto 2010 n. 136 si interpreta nel senso che le disposizioni ivi contenute si applicano ai contratti indicati dallo stesso articolo 3 sottoscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge e ai contratti di subappalto e ai subcontratti da essi derivanti”.

Di conseguenza, devono, in primo luogo, ritenersi soggetti agli obblighi di tracciabilità i contratti sottoscritti dopo la data del 7 settembre 2010 e più in particolare:

a) i contratti sottoscritti dopo l’entrata in vigore della legge, relativi a bandi pubblicati dopo la data del 7 settembre 2010;

b) i contratti sottoscritti dopo l’entrata in vigore della legge, ancorché relativi a bandi pubblicati in data antecedente al 7 settembre 2010;

c) i subappalti ed i subcontratti derivanti dai contratti elencati.

Tali contratti devono recare, sin dalla sottoscrizione, la clausola relativa agli obblighi di tracciabilità, pena la nullità degli stessi, come espressamente disposto dall’art. 3, comma 8, della legge n. 136/2010.

Naturalmente, ciò che rileva è la data della stipula del contratto (ex art. 11, comma 13 del D.Lgs n. 163/2006, ratione temporis vigente) e non l’aggiudicazione definitiva, né tanto meno quella provvisoria (ex art. 11, commi 4 e segg. del Codice).

Ogni nuovo rapporto contrattuale, quindi, è sottoposto all’applicazione dell’art. 3, dal momento che, in occasione della stipulazione dei contratti, sarà possibile inserire anche le clausole sulla tracciabilità.

Per quanto sin qui argomentato, il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.

Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Il Collegio ritiene che, in relazione alle affermazioni contenute nell’atto di ricorso relative al dichiarato sospetto che il bando di gara avrebbe inteso surrettiziamente favorire determinate imprese coinvolte in un procedimento penale sui fatti che hanno riguardato alcuni appalti di Roma Capitale e della sua municipalizzata AMA, sussistano i presupposti per trasmettere gli atti del fascicolo di causa alla Procura della Repubblica di Roma per gli accertamenti ritenuti opportuni.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in euro 5.000,00 oltre accessori di legge.

Manda alla segreteria per l’invio del fascicolo di causa alla Procura della Repubblica di Roma.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Pietro Morabito, Presidente

Giuseppe Rotondo, Consigliere, Estensore

Maria Laura Maddalena, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giuseppe Rotondo Pietro Morabito

IL SEGRETARIO

Giurdanella.it.


Prove scritte di concorso: il TAR Lazio su violazione della regola dell’anonimato

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concorso scuola

Il TAR Lazio – Roma, Sez. III-ter, con la sentenza n. 3413 del 13 marzo 2017, sui casi in cui è giusto considerare violata la regola dell’anonimato nelle prove scritte dei concorsi pubblici, a causa di segni di riconoscimento all’interno dell’elaborato.

Nel caso di specie, l’elaborato conteneva al suo interno spazi vuoti nella c.d. bella copia, il titolo della traccia in maiuscolo sottolineato.

Secondo i giudici del TAR laziale, “nelle procedure concorsuali la regola dell’anonimato degli elaborati scritti, anche se essenziale, non può essere intesa in modo assoluto e tassativo tale da comportare l’invalidità delle prove ogni volta che sia solo ipotizzabile il riconoscimento dell’autore del compito, con la conseguenza che detta regola va intesa nel senso che non deve essere presente nell’elaborato alcun segno che sia ‘in astratto’ ed ‘oggettivamente’ suscettibile di riconoscibilità”.

Non può ritenersi nulla, per violazione della regola dell’anonimato, la prova scritta di un concorso pubblico, nel caso in cui l’elaborato presenti le seguenti particolarità: alcuni spazi vuoti nella c.d. bella copia, il titolo della traccia in maiuscolo sottolineato e il titolo della traccia in minuscolo sottolineato.

Tali caratteristiche, infatti, non presentano dei connotati di anomalia utili per provare “in modo certo ed inequivoco” la volontà dell’autore di fare in modo che siano facilmente identificati i propri elaborati dalla commissione o da un suo singolo rappresentante.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

Pubblicato il 13/03/2017

N. 03413/2017 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10055 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Ornella Orlando, rappresentata e difesa dagli avv.ti Paolo Leone, Francesco Foggia e Gennaro Orlando, elettivamente domiciliata presso la Segreteria del T.a.r. Lazio in Roma, Via Flaminia n. 189;

contro

Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato;

nei confronti di

Diego Solinas; Carlotta D’Amico; Maria del Carmen Taschini Otero;

per l’annullamento

(ric.)

– del provvedimento di non ammissione alle prove orali emesso dal Ministero degli affari esteri nell’ambito del concorso a 35 posti di segretario di legazione in prova, bandito in data 12.4.2013, di cui si è avuta notizia tramite sito web il 27.7.2013;

– della graduatoria pubblicata dal Ministero, dei verbali e degli atti attinenti al concorso, non meglio conosciuti;

– dell’avviso di procedura selettiva pubblica, per titoli ed esami, per il conferimento di 35 posti di segretario di legazione in prova, indetto il 12.4.2013, per quanto di ragione;

(mm.aa.)

– di tutta la documentazione conosciuta a seguito e in occasione dell’accesso alla documentazione amministrativa, avvenuto in data 22.10.2014, e dunque: 1) del verbale n. 1 dell’8.5.2013, nella parte in cui sono indicati i criteri, le modalità di scelta, la predisposizione e la valutazione delle prove scritte e delle prove orali; 2) dei verbali nn. 9, 10, 11, 12, 13 e 14 (in date tra il 15.7 e il 24.7.2013), in cui è descritta la procedura di valutazione degli elaborati e di attribuzione dei punteggi ai concorrenti; 3) della graduatoria finale di merito, non comunicata alla ricorrente e non recante l’indicazione del termine per l’impugnazione.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 13 gennaio 2017 il cons. M.A. di Nezza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso spedito per le notificazioni a mezzo del servizio postale il 14.10.2013 (dep. il 28.10) la dott.ssa Ornella Orlando, nel premettere di aver partecipato al concorso per 35 posti di segretario di legazione in prova indetto con bando del 12.4.2013 e di non avere superato la prova scritta in considerazione del punteggio conseguito (63 punti in storia delle relazioni internazionali, 74 in inglese, 60 in economia, 50 in diritto internazionale e dell’UE e 58 in francese, per una media di 61,3 punti con due insufficienze, a fronte della votazione media di 70, senza insufficienze, prevista per il passaggio agli orali), ha impugnato la determinazione negativa deducendo:

I) violazione della lex specialis; violazione dell’art. 3 l. n. 241/90; eccesso di potere per carenza istruttoria e carenza di motivazione: la commissione avrebbe escluso la ricorrente unicamente in forza del punteggio numerico attribuito alle prove, non risultando espressi giudizi, nemmeno in forma sintetica o di griglia, e non rinvenendosi sugli elaborati segni grafici o di correzione idonei a far comprendere le attività valutative;

II) violazione dell’art. 12 d.P.R. n. 487/94; violazione dei principi generali in materia di concorsi pubblici; violazione del principio di trasparenza; eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione: la commissione non avrebbe predeterminato i criteri di attribuzione dei punteggi per le prove scritte, così incorrendo in violazione dell’art. 12 d.P.R. n. 487/94.

L’amministrazione si è costituita in resistenza (con atto di stile depositato l’11.11.13) e ha depositato una documentata relazione sui fatti di causa (prot. 5014/P del 18.12.13; dep. 31.12.13).

Con ricorso per motivi aggiunti spedito per le notificazioni il 19.12.2014 (dep. il 12.1.2015), la ricorrente, nel dedurre di aver potuto esercitare l’accesso alla documentazione concorsuale (elaborati dei concorrenti; verbali della commissione; graduatoria) solo in data 22.10.2014, a seguito di favorevole pronuncia del Consiglio di Stato (sent. n. 4286/2014), ha esteso l’impugnazione agli altri atti indicati in epigrafe, prospettando ulteriormente:

I) violazione della lex specialis; violazione dell’art. 3 l. n. 241/90; eccesso di potere per carenza istruttoria e carenza di motivazione: la visione dei verbali della commissione confermerebbe la sussistenza del vizio di carenza di motivazione già denunciato con il ricorso introduttivo, tenuto conto in particolare della genericità dei criteri stabiliti per la valutazione delle prove;

II) violazione dell’art. 12 d.P.R. n. 487/94; violazione dei principi generali in materia di concorsi pubblici; violazione del principio di trasparenza; eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione: i criteri di valutazione degli scritti definiti dalla commissione nella prima seduta sarebbero illegittimi perché generici e irragionevolmente numerosi; si tratterebbe, in particolare, di parametri: a) indeterminati, in quanto consistenti in “formule vuote” (ciò con riferimento a “congruenza”, “capacità di esposizione”, “pertinenza”, “maturità culturale”), incapaci di orientare la discrezionalità dei commissari e dunque sostanzialmente inutili; b) non in grado di attagliarsi alla diversità delle materie oggetto delle prove scritte (storia delle relazioni internazionali, diritto internazionale, economia politica e lingue), tutte altamente specialistiche e pertanto meritevoli della fissazione di distinti o comunque specifici indici valutativi (anche qui a pena di inutilità);

III) violazione dell’art. 14 d.P.R. n. 487/94; eccesso di potere per carenza istruttoria; sviamento: gli elaborati di alcuni concorrenti ammessi a sostenere le prove orali (poi utilmente collocatisi in graduatoria) presenterebbero segni grafici di identificazione, con violazione della regola dell’anonimato; segnatamente: in un’ipotesi (busta n. 70), nel primo foglio della “prima copia” di ciascuna prova si riscontrerebbe un’interruzione dello scritto, con parti vuote non giustificabili (la scelta di lasciare spazi in bianco sarebbe comprensibile con riferimento alla minuta, in quanto in tal modo il candidato potrebbe procedere a successivi inserimenti di testo); in altra ipotesi (busta n. 59), i compiti recherebbero in epigrafe il titolo della traccia in carattere maiuscolo e sottolineato, con l’interposizione di un rigo bianco prima dello svolgimento del tema; in una fattispecie simile (busta n 174), i compiti recherebbero in epigrafe il titolo della traccia, in carattere minuscolo e sottolineato;

IV) violazione dell’art. 97 Cost. e del principio meritocratico; violazione dell’art. 3 l. n. 241/90; eccesso di potere per carenza istruttoria, illogicità e sviamento: il punteggio della ricorrente sarebbe manifestamente illogico, come attestato dal piano apprezzamento dei suoi elaborati, anche ove posti a raffronto con quelli dei concorrenti ammessi agli orali; la carenza di istruttoria sarebbe in particolare ravvisabile nelle prove di diritto internazionale e di lingua francese, sicuramente meritevoli di una migliore valutazione alla luce del parere degli esperti incaricati dalla ricorrente medesima (noti docenti universitari di diritto dell’Unione Europea e di Lingua Francese).

Tanto premesso, la dott.ssa Orlando ha chiesto, previa concessione di termine per integrare il contraddittorio nei confronti dei 35 vincitori del concorso (anche a mezzo di notifica per pubblici proclami), l’annullamento degli atti impugnati.

L’amministrazione ha eccepito l’inammissibilità del ricorso e ne ha dedotto l’infondatezza (mem. 3.3.2015).

All’odierna udienza, in vista della quale la ricorrente ha prodotto memoria di replica (15.12.16), il giudizio è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato, avuto riguardo all’orientamento di recente espresso dalla Sezione su fattispecie analoga con la sentenza 12 settembre 2016, n. 9669, cui si rinvia ai sensi dell’art. 74 c.p.a., e alla luce del consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa su questioni similari (v. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 5 gennaio 2017, n. 11).

Ciò consente per un verso di disattendere l’istanza di integrazione del contraddittorio avanzata dalla ricorrente, potendo farsi applicazione dell’art. 49, co. 2, c.p.a. (l’integrazione del contraddittorio “non è ordinata nel caso in cui il ricorso sia manifestamente irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondato; in tali casi il collegio provvede con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’articolo 74”), e per altro verso di non soffermarsi sulle eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa erariale.

2. Anzitutto, sono infondate le doglianze relative alla motivazione dei giudizi e ai criteri valutativi (nn. I e II ric. e mm.aa.).

Sotto il primo profilo, anche nella fattispecie all’odierno esame, come in quella presa in considerazione nella sent. n. 9669/16 cit., risulta come la commissione avesse stabilito “oltre ad alcuni fondamentali ‘criteri di massima da seguire ai fini della valutazione delle prove scritte’ (ossia, nella specie, il ‘livello adeguato di conoscenze in ciascuna delle discipline oggetto delle prove scritte’, la ‘capacità di esposizione’, lo ‘sviluppo logico del pensiero’ e la capacità di ‘ragionata sintesi redazionale e di persuasiva argomentazione’), anche precise ‘fasce di valutazione’ cui corrispondevano giudizi sintetici […] attraverso i quali, quindi, ben è possibile ricostruire la motivazione dei punteggi attribuiti ai singoli elaborati”; ciò si evince, in particolare, dal verbale n. 1 dell’8 maggio 2013.

Va, poi, ribadito che “il punteggio numerico è di per sé idoneo a sorreggere l’obbligo di motivazione richiesto dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990, senza bisogno di ulteriori spiegazioni o chiarimenti, se sono stati previamente determinati – come nella specie – adeguati criteri di valutazione, atteso che in tal modo si consente di ricostruire ab externo la motivazione di tale giudizio” (ciò in quanto “la motivazione espressa numericamente, oltre a rispondere ad un evidente principio di economicità amministrativa di valutazione, assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla commissione nell’ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa esercitato, beninteso sempre che siano stati puntualmente predeterminati dalla commissione esaminatrice i criteri in base ai quali essa procederà alla valutazione delle prove”).

Nel caso in esame, inoltre, nemmeno può sostenersi “l’assoluta indeterminatezza e/o genericità dei criteri valutativi predisposti dalla Commissione nel richiamato verbale n. 1, atteso che – pur nella loro obiettiva sinteticità – essi comunque risultavano adeguatamente integrati dalle richiamate fasce di valutazione, con conseguente possibilità, per gli interessati, di desumere con evidenza la graduazione e l’omogeneità delle valutazioni rese con il voto numerico”.

Il che esclude, altresì, la necessità di apporre “glosse o di segni grafici o indicazioni di qualsivoglia tipo sugli elaborati in relazione a eventuali errori commessi” (così Cons. Stato, sez. VI, 11 dicembre 2015, n. 5639, secondo cui, ancora, “solo se mancano criteri di massima e precisi parametri di riferimento cui raccordare il punteggio assegnato, si può ritenere illegittima la valutazione dei titoli in forma numerica”).

È altresì infondata la censura concernente il punteggio attribuito agli elaborati della dott.ssa Orlando (n. IV mm.aa.).

Come rilevato nel ridetto precedente (sent. n. 9669/16), le valutazioni espresse dalla commissione esaminatrice in merito alle prove di concorso “costituiscono espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica e culturale, ovvero attitudinale, dei singoli candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico o un errore di fatto o, ancora, una contraddittorietà ictu oculi rilevabile”, situazioni, queste ultime, non integrate nella presente fattispecie.

Mentre ai fini della confutazione del giudizio di una commissione di concorso “è irrilevante la presentazione di pareri pro veritate, atteso che spetta in via esclusiva a quest’ultima la competenza a valutare gli elaborati degli esaminandi e – a meno che non ricorra l’ipotesi residuale della abnormità – non è consentito al giudice della legittimità sovrapporre alle determinazioni da essa adottate il parere reso da un soggetto terzo, quale che sia la sua qualifica professionale e il livello di conoscenze e di esperienze acquisite nella materia de qua” (Cons. Stato n. 11/2017 cit.).

Si può osservare, infine, che l’allegazione con cui la dott.ssa Orlando denuncia la sottovalutazione dei propri elaborati, rispetto all’apprezzamento riservato ai compiti di altri candidati, non supera la soglia della genericità (e comunque non è in linea generale condivisibile, posto che “la gravità e l’incidenza di un errore non necessariamente risultano apprezzabili sulla base della lettura della sola parte dell’elaborato in cui è contenuto l’errore medesimo, dovendo tenersi conto di come questa s’inserisce all’interno dello svolgimento della traccia nel suo complesso”; così Cons. Stato n. 11/2017 cit.).

Tali conclusioni si pongono in linea con il pacifico indirizzo in materia di giudizi afferenti a prove di esame o di concorso, secondo cui: i) “il sindacato di legittimità del giudice amministrativo è limitato al riscontro del vizio di eccesso di potere per manifesta illogicità, con riferimento ad ipotesi di erroneità o irragionevolezza riscontrabili ab externo e ictu oculi dalla sola lettura degli atti”; ii) “il punteggio numerico vale come sintetica motivazione” (v. da ultimo Cons. Stato n. 11/2017 cit., che richiama Cons. Stato, sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 871, cui si rinvia ai sensi dell’art. 74 c.p.a.).

Va disatteso anche l’ultimo mezzo, concernente la pretesa violazione della regola dell’anonimato (n. III mm.aa.).

Per consolidata giurisprudenza, “nelle procedure concorsuali la regola dell’anonimato degli elaborati scritti, anche se essenziale, non può essere intesa in modo assoluto e tassativo tale da comportare l’invalidità delle prove ogni volta che sia solo ipotizzabile il riconoscimento dell’autore del compito” (dal momento che se tutte le prove “dovessero in tal caso venire annullate, sarebbe materialmente impossibile svolgere concorsi con esami scritti, giacché non si potrebbe mai escludere a priori la possibilità che un commissario riconosca la scrittura di un candidato, benché il relativo elaborato sia formalmente anonimo”), con la conseguenza che detta regola va intesa “nel senso che non deve essere presente nell’elaborato alcun segno che sia ‘in astratto’ ed ‘oggettivamente’ suscettibile di riconoscibilità”; questa situazione ricorre “quando la particolarità riscontrata assuma un carattere oggettivamente ed incontestabilmente anomalo rispetto alle ordinarie modalità di estrinsecazione del pensiero e di elaborazione dello stesso in forma scritta, in tal caso a nulla rilevando che in concreto la commissione o singoli componenti di essa siano stati, o meno, in condizione di riconoscere effettivamente l’autore dell’elaborato scritto” (così Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2013, n. 102).

Nella fattispecie in esame, le particolarità poste in evidenza dalla ricorrente (spazi vuoti nella c.d. bella copia, titolo della traccia in maiuscolo sottolineato e titolo della traccia in minuscolo sottolineato) non presentano quei caratteri di anomalia sufficienti a comprovare “in modo inequivoco” l’intenzione degli autori di rendere conoscibili i propri elaborati alla commissione o a un suo componente, con conseguente infondatezza della doglianza (giova precisare che nel caso deciso con la sent. n. 102/13 cit. venivano in rilievo le ipotesi di “stesura dello scritto a partire dal secondo rigo della facciata”, ritenuta modalità “del tutto consueta e assai frequente”, e quella, pur meno frequente, di “lasciare in bianco la facciata su cui è stata scritta la traccia, per iniziare la stesura dell’elaborato dalla seconda facciata”).

3. In conclusione, il ricorso e il ricorso per motivi aggiunti sono infondati e vanno respinti.

Sussistono peraltro giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. III-ter, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso e il ricorso per motivi aggiunti.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Giampiero Lo Presti, Presidente

Mario Alberto di Nezza, Consigliere, Estensore

Maria Grazia Vivarelli, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Mario Alberto di Nezza Giampiero Lo Presti

IL SEGRETARIO

 

Giurdanella.it.

Limiti di altezza nel reclutamento delle Forze Armate: la sentenza del TAR Lazio

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limiti di altezza forze armate eliminati

Il TAR Lazio – Roma, Sez. I-bis, con la sentenza n. 3632 del 17 marzo 2017, sulla legittimità o meno, a seguito dell’emanazione del D.P.R. n. 207 del 2015, attuativo della disciplina di cui alla L. n. 2/2015 (vedi articolo dedicato) della previsione nei bandi di concorso di limiti di altezza ed in particolare sulla legittimità o meno dell’esclusione da un concorso per posti di Vigile del Fuoco di una candidata alta 158 cm.

Il Collegio ha affermato che “è illegittimo il provvedimento di esclusione da un concorso per posti di Vigile del Fuoco (nella specie si trattava di un concorso riservato al personale volontario già applicato al Corpo) di una candidata che, dopo aver superato le prove di efficienza fisica, in sede di accertamenti sanitari, era ritenuta non idonea dalla Commissione medica, in ragione unicamente del ritenuto deficit di statura, rilevato in 158 cm”.

Ai sensi del D.P.R. 17 dicembre 2015 n. 207, attuativo della disciplina di cui alla L. n. 2/2015, l’altezza non è più un parametro per l’ammissione ai concorsi nelle Forze di Polizia e tale disciplina trova applicazione, pertanto, alle ammissioni successive alla data del 16.1.2016.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

Pubblicato il 17/03/2017

N. 03632/2017 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 84 del 2017, proposto da:
Lara Massimi, rappresentata e difesa dall’avv. Gabriele Bordoni, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Premuda 1/A;

contro

Ministero dell’Interno – Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, anche domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

del provvedimento del 26/10/2016, notificato in data 10/11/2016, di esclusione dalla procedura selettiva per titoli ed accertamento dell’idoneità motoria, per la copertura di posti nella qualifica di Vigile del Fuoco, riservata al personale volontario del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, di cui al decreto del Capo Dipartimento del 27 agosto 2007;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 1 marzo 2017 il dott. Ugo De Carlo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La ricorrente ha prestato servizio nel personale non stabilizzato presso ed alle dipendenze del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Bologna dal 2003.

Ella partecipava alla procedura selettiva per l’ammissione ai concorsi per l’accesso ai ruoli del personale del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, riservata al personale volontario già applicato al Corpo di cui al decreto del Capo Dipartimento pro tempore dei VVFF n. 3747 del 27 agosto 2007; in virtù della L.160/2016 era possibile in parte attingere alla graduatoria di quel concorso approvata con decreto 1196/2008 ed il Dipartimento dei Vigili del Fuoco sottoponeva la ricorrente ad accertamento del possesso dei requisiti di idoneità psicofisica e attitudinale, come da Regolamento di cui al D.M. n. 78 del 2008.

Quest’ultima superava le prove di efficienza fisica, come previste dalla procedura concorsuale, ma, in sede di accertamenti sanitari, era ritenuta non idonea dalla Commissione medica, in ragione unicamente del ritenuto deficit di statura, rilevato in 158 cm.

Il ricorso si fonda su un unico motivo che denuncia la contraddittorietà tra una valutazione di idoneità fisica complessiva sempre confermata nei molti anni di impiego come Vigile del Fuoco volontario e l’esclusione per motivi di altezza. Peraltro per tredici anni è stata considerata idonea nonostante l’altezza minima per i vigili volontari sia di mt. 1,62.

Si richiama pertanto al principio di affidamento che si sarebbe consolidato in questi lunghi anni di servizio volontario oltre alla giurisprudenza amministrativa che ha da tempo affermato l’illegittimità “dell’art. 3 comma 2, d.P.C.M. 22 luglio 1987 n. 411, modificato dall’art. 1 D.P.C.M. 27 aprile 1993 n. 233, nella parte in cui fissa in m. 1,65 il limite minimo di altezza per partecipare al concorso a posti di vigile del fuoco di ruolo, introducendo in parte qua una regola diversa da quella dettata per il personale volontario dello stesso Corpo dal regolamento emanato con D.P.R. 6 febbraio 2004, n. 76.

Il Corpo volontario dei Vigili del Fuoco svolge i medesimi compiti di servizio di soccorso del personale permanente; pertanto, il diverso limite di statura previsto per i volontari rispetto agli appartenenti a pieno titolo è illegittimo, giacché fondato su discriminazione manifestamente irragionevole.

Il Consiglio di Stato ha dato piena attuazione dei principi stabiliti con la direttiva comunitaria 2000/78/CE con il parere 2636/2015, secondo cui la finalità perseguita dal legislatore con la legge 12 gennaio 2015 n.2, è quella di “non precludere l’accesso ai Corpi suddetti [forze armate, alle forze di polizia e al corpo dei vigili del fuoco] in ragione della mancanza del requisito dell’altezza minima prevista dalle attuali disposizioni, ma di consentire la valutazione del soggetto in base a differenti parametri dai quali possa comunque desumersi in maniera imprescindibile l’idoneità del soggetto allo svolgimento del servizio militare o d’istituto”.

Il divieto di discriminazione all’accesso al pubblico impiego, peraltro, è esplicitamente esteso anche alle attività lavorative che richiedono particolari capacità fisiche, come quelle all’interno delle forze armate o dei servizi di polizia. Queste ultime possono certamente effettuare selezioni, purché non siano basate sul mero dato numerico, quanto su prove realmente selettive, come ad esempio quelle ginniche, dal momento che l’altezza non è parametro adeguato a rispecchiare le effettive capacità fisiche di un soggetto.

Si costituiva in giudizio il Ministero dell’Interno eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per non aver la ricorrente impugnato il bando che contiene la previsione di un’altezza minima per coloro essere selezionati. Nel merito concludeva per il rigetto del ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 207/2015 attuativo della disciplina di cui alla L. 2/2015 altezza non è più un parametro per l’ammissione ai concorsi nelle Forze di Polizia. La nuova disciplina si applica alle ammissioni successive alla data del 16.1.2016.

Nel caso di specie anche il concorso è stato effettuato nel 2008, l’arruolamento della ricorrente è avvenuto in epoca successiva all’entrata in epoca successiva all’entrata in vigore della nuova disciplina e pertanto l’esistenza dei requisiti fisici richiesti deve essere valutata secondo le norme vigenti attualmente.

Il ricorso va, pertanto, accolto, ma possono compensarsi le spese in considerazione della novità della disciplina.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Prima Bis, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate ad eccezione del contributo unificato che va restituito ove versato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Concetta Anastasi, Presidente

Ugo De Carlo, Consigliere, Estensore

Paola Patatini, Referendario

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Ugo De Carlo Concetta Anastasi

IL SEGRETARIO

Giurdanella.it.

I compiti del RUP nelle procedure di gara: la sentenza del TAR Lazio

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Il TAR Lazio – Roma, Sez. III-quater, con la sentenza n. 4951 del 27 aprile 2017, ha definito i compiti e le attribuzioni del RUP nell’ambito di una procedura di gara.

Nel caso di specie è stato contestato dalla ricorrente il principio secondo cui, tra le prerogative del RUP, rientrerebbe anche la possibilità di emanare un provvedimento di esclusione per difformità dei requisiti del soggetto escluso rispetto a quanto previsto dal bando di gara.

Si legge dalla sentenza: “Al riguardo, in linea con quanto dedotto in merito dalla resistente amministrazione, il Collegio osserva che:

a) l’art.31, comma 3, del D.lgvo n. 50/2016 prevede che “Il RUP, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, svolge tutti i compiti relativi alle procedure di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione previste dal presente codice, che non siano specificatamente attribuiti ad altri organi o soggetti”;

b) trattasi di una competenza residuale che comprende anche l’esclusione delle offerte conseguente alla preliminare attività di valutazione della documentazione amministrativa attestante il possesso dei requisiti indicati dalla lex specialis, non potendo tale compito essere assolto dalla Commissione giudicatrice che nelle gare, come quella oggetto del presente contenzioso, da aggiudicarsi sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è chiamata a valutare le offerte sotto gli aspetti tecnici ed economici;

c) tale interpretazione è stata, altresì suffragata dalle Linee Guida formulate dall’Autorità Anticorruzione la quale ha chiarito che il RUP è chiamato a controllare la documentazione amministrativa prodotta dai partecipanti e ad adottare le determinazioni conseguenti alle valutazioni effettuate;

d) poiché nella vicenda in esame l’esclusione dell’offerta delle ricorrenti dalla procedura di gara è stata disposta a seguito della verifica della documentazione amministrativa da parte del RUP, ne discende che quest’ultimo era legittimato ad adottare la contestata esclusione”. 

Pertanto, sulla base di tali considerazioni svolte, il TAR Lazio ha dichiarato che rientra tra le attribuzioni del RUP la possibilità di emanare tale provvedimento di esclusione.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

Pubblicato il 27/04/2017

N. 04951/2017 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 3215 del 2017, proposto da:
a) Società cooperativa sociale “Agatos” Onlus, in persona del legale rappresentante pro-tempore;
b) Società cooperativa sociale “Splendid”, in persona del legale rappresentante pro-tempore;
rappresentate e difesa, anche disgiuntamente, dagli avv.ti Domenico Tomassetti e Maria Cristina Manni presso il cui studio in Roma, Via Giovanni Pierluigi da Palestrina n.19, sono elettivamente domiciliate;

contro

Azienda Sanitaria Locale – ASL Viterbo -, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Angelo Tuzza presso il cui studio in Roma, Viale dei Santi Pietro e Paolo n.7, è elettivamente domiciliata;

nei confronti di

Soc. Coop. Sociale Samidad non costituito in giudizio;

per l’annullamento:

– del provvedimento dell’intimata amministrazione del 14.3.2017 con cui è stata disposta l’esclusione del costituendo raggruppamento Agatos-Splendid dalla procedura negoziata di cui all’art.36, comma 2, lett.b) del D.lgvo n.50/2016 volta all’affidamento del “Servizio integrativo nella gestione delle comunità psichiatriche SRSR di Viterbo e Montefiascone”;

– della lettera di invito a presentare offerta nella parte in cui, art.6, commi da 2 a 8, prevede cause di esclusione dalla gara de qua per mancata sanatoria di ipotesi di irregolarità delle offerte genericamente ed indefinitamente indicate come ” non conforme a quanto previsto nei documenti di gara”;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ausl Viterbo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2017 il dott. Giuseppe Sapone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Con il proposto gravame le cooperative ricorrenti, in qualità rispettivamente di mandataria (Agatos) e di mandante (Splendid) di un costituendo rti, hanno impugnato la determinazione, in epigrafe indicata, con cui è stata disposta l’esclusione dell’offerta presentata dal menzionato rti dalla procedura negoziata di cui all’art.36, comma 2, lett.b9 del D.lgvo n.50/2016, volta all’affidamento del “Servizio integrativo nella gestione delle comunità psichiatriche SRSR di Viterbo e Montefiascone.

In punto di fatto deve essere evidenziato che:

– la lex specialis prevedeva che:

a) l’appalto in questione, da aggiudicarsi sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, aveva come oggetto “il supporto delle attività assistenziali e riabilitative interne ed esterne prestate ai pazienti psichiatrici ricoverati presso le due strutture pubbliche S.R.S.R. “Binelli” Viterbo e S.R.S.R. “San Giuseppe” di Montefiascone;

b) la Direzione Sanitaria del Servizio era assicurata da un medico psichiatra designato dal Direttore della UOC Salute mentale Distretto A per la SRSR di Montefiascone e dal Direttore UOC Salute Mentale Distretto B per la SRSR di Viterbo;

c) con riferimento alle figure professionali necessarie per l’espletamento del servizio il medico e lo psicologo sarebbero stati forniti dalle ASL territorialmente competenti mentre le restanti figure professionali (infermiere, educatore, OSS, terapista occupazionale, assistente sociale) erano a carico dell’appaltatore;

d) gli operatori economici dovevano essere in possesso dei seguenti requisiti:

1) essere una cooperativa sociale che soddisfi le condizioni di cui all’art.143, comma 2, del D.lgvo 50/2016;

2) possedere un fatturato specifico relativo ai servizi analoghi a quelli oggetto della procedura, riferito agli ultimi tre esercizi finanziari il cui bilancio o altro documento fiscale o tributario equivalente sia stato approvato alla data di pubblicazione dell’avviso, non inferiore ad Euro 800.000,00 oltre IVA;

3) non trovarsi in alcuna delle situazioni previste dall’art.80 del D.lgvo 50/2016 nè da altre disposizioni che escludono la capacità di contrarre con la pubblica amministrazione;

4) la disponibilità a fornire il servizio richiesto secondo i requisiti minimi richiesti dalla normativa di riferimento alle strutture residenziali denominate SRSR;

– il rti era stato escluso in quanto, avendo offerto alcune attività che esulavano dall’oggetto della gara (Direzione Scientifica e coordinamento strategico) o che risultavano ultronee ed inconferenti con il suddetto oggetto (attività di controllo sulle applicazioni diagnostico-terapeutiche), l’intimata amministrazione ha ritenuto, alla luce della quantificazione della quota da destinare alle suddette attività, che Agatos non poteva garantire uno svolgimento del servizio pari al 60% e che la quota della mandante Splendid, pari al 40%, poteva essere sufficiente a sopperire a tale lacuna.

Il gravame è affidato ai seguenti motivi di doglianza:

1) Incompetenza del RUP sia nella emanazione degli atti impugnati sia nello svolgimento di attività valutative della documentazione di cui ai plichi A. B. C delle offerte presentate. Violazione e falsa applicazione dell’art.31 del D.lgvo n.50/2016 e dell’art.11 della lex specialis;

2) Nullità ex art.83, comma 8, del D.lgvo n.50/2016 della lettera di invito a presentare offerta, nella parte in cui all’art.6, commi da 2 a 8, prevede cause di esclusione dalla gara ulteriori rispetto a quelle del codice dei contratti. Violazione di legge con riferimento agli artt.80, 83 del d.lgvo n.50/2016 e dell’art.6 della lex specialis;

3) Violazione di legge con riferimento all’art.3 della L. n.241/1990. Eccesso di potere per manifesta carenza e difetto di istruttoria, illogicità, carenza di congruità, di ragionevolezza e di corretto apprezzamento dei fatti. Erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto. Sintomi di sviamento di potere.

Si è costituita l’intimata amministrazione contestando con dovizia di argomentazioni fa fondatezza delle dedotte doglianze e concludendo per il rigetto delle stesse con vittoria di spese.

Il ricorso – chiamato all’odierna camera di consiglio del 21.4.2017 per la delibazione dell’istanza cautelare proposta da parte ricorrente – viene ritenuto per la decisione del merito, ai sensi dell’art. 60 del d.lgvo n.104/2010, il quale stabilisce che ” In sede di decisione della domanda cautelare, purchè siano trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, il Collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata, salvo che una delle parti dichiari che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza ovvero regolamento di giurisdizione”

Ricorrono, quanto alla sottoposta vicenda contenziosa, i presupposti contemplati dalla citata disposizione al fine di consentire un’immediata definizione della controversia mediante decisione da assumere “in forma semplificata”.

Ciò premesso, palesemente infondato è il primo motivo di doglianza con cui è stata prospettata l’incompetenza del RUP ad adottare la contestata determinazione di esclusione.

Al riguardo, in linea con quanto dedotto in merito dalla resistente amministrazione, il Collegio osserva che:

a) l’art.31, comma 3, del D.lgvo n. 50/2016 prevede che “Il RUP, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, svolge tutti i compiti relativi alle procedure di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione previste dal presente codice, che non siano specificatamente attribuiti ad altri organi o soggetti”;

b) trattasi di una competenza residuale che comprende anche l’esclusione delle offerte conseguente alla preliminare attività di valutazione della documentazione amministrativa attestante il possesso dei requisiti indicati dalla lex specialis, non potendo tale compito essere assolto dalla Commissione giudicatrice che nelle gare, come quella oggetto del presente contenzioso, da aggiudicarsi sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è chiamata a valutare le offerte sotto gli aspetti tecnici ed economici;

c) tale interpretazione è stata, altresì suffragata dalle Linee Guida formulate dall’Autorità Anticorruzione la quale ha chiarito che il RUP è chiamato a controllare la documentazione amministrativa prodotta dai partecipanti e ad adottare le determinazioni conseguenti alle valutazioni effettuate;

d) poichè nella vicenda in esame l’esclusione dell’offerta delle ricorrenti dalla procedura di gara è stata disposta a seguito della verifica della documentazione amministrativa da parte del RUP, ne discende che quest’ultimo era legittimato ad adottare la contestata esclusione.

Pure da rigettare è il secondo motivo di doglianza con cui è stata prospettata l’illegittimità della Lettera di invito nella parte in cui sembrerebbe prevedere all’art.6, commi da 2 a 8 clausole escludenti dalla gara, ulteriori rispetto a quelle stabilite dal D.lgvo n.50/2016.

In merito deve essere osservato che:

I) non può essere seriamente contestato che la stazione appaltante aveva un potere latamente discrezionale di individuare e delimitare l’oggetto della gara tenuto conto della propria organizzazione;

II) in tale contesto, pertanto, la resistente amministrazione ha ritenuto che alcune attività offerte dalle ricorrenti erano di competenza del personale AUSL ovvero non rientravano nell’oggetto del servizio da affidare, così come dettagliatamente precisato dalla lex specialis;

III) alla luce di tali conclusioni, l’AUSL Viterbo, ha prima quantificato in termini percentuali il peso delle attività de quibus e successivamente ha concluso che la cooperativa Agatos non era in grado di rispettare la percentuale del 60% del servizio ad esso riservata e che appariva eccessiva la quota del 40% dichiarata da Splendid per l’attività non sanitaria;

IV) in sostanza l’esclusione è stata basata sulla circostanza che l’offerta presentata dalle ricorrenti, così come era stata formulata, una volta depurata delle attività ultronee ed estranee, non poteva assicurare lo svolgimento del servizio, così come discrezionalmente e correttamente individuato.

Nè è suscettibile di favorevole esame il profilo di doglianza con cui parte ricorrente ha lamentato la mancata attivazione del soccorso istruttorio, atteso che il ricorso a tale istituto non può essere consentito per rimediare a carenze sostanziali dell’offerta con riferimento all’oggetto del servizio, quale è quella posta a base della gravata esclusione.

Nè risulta fondato, infine, l’ultimo motivo di doglianza con cui le ricorrenti hanno contestato la fondatezza delle conclusioni cui è pervenuto il RUP in ordine alla estraneità all’oggetto dell’appalto dell’attività di controllo sulle applicazioni diagnostiche terapeutiche e alla riconducibilità al personale AUSL dell’attività di direzione sanitaria, alla luce di quanto dettagliatamente evidenziato in merito nella memoria (pagg.17, 18 e 19) della resistente amministrazione, versata agli atti il 18.4.2017.

Ciò premesso, il proposto gravame deve essere rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione III quater, definitivamente pronunciando sul ricorso n.3215 del 2017, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna le cooperative ricorrenti al pagamento, in parti uguali, a favore della resistente amministrazione, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 10.000,00 (Euro diecimila/00)

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Sapone, Presidente, Estensore

Pierina Biancofiore, Consigliere

Massimo Santini, Consigliere

IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Giuseppe Sapone

IL SEGRETARIO

Giurdanella.it.

Gestione procedura mobilità docenti: MIUR condannato a pubblicare algoritmo

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Il TAR Lazio – Roma, Sez. III-bis, con la sentenza n. 3769 del 22 marzo 2017, ha affermato che l’algoritmo con il quale il MIUR ha prefissato i trasferimenti del personale docente di provincia in provincia deve essere pubblicato, e ha intimato pertanto al ministero dell’Istruzione di rendere noto il sistema di calcolo con cui è stata gestita la mobilità dei docenti.

Si legge dalla sentenza: “Nell’istanza di accesso agli atti, il ricorrente ha testualmente richiesto “di poter essere messo a conoscenza dell’algoritmo utilizzato dal sistema informatico di codesto Ministero, per attuare la mobilità del personale docente”. Ne consegue che non può sussistere alcun dubbio in ordine al tenore della richiesta del medesimo con specifico riferimento all’oggetto dell’istanza di accesso”.

Conclude il Collegio: “Nella fattispecie, indubbiamente l’accesso richiesto si presenta particolarmente penetrante in quanto indirizzato proprio ai cd. codici sorgenti o linguaggio sorgente del software dell’algoritmo ma, tuttavia, deve ritenersi che l’interesse sotteso alla richiesta avanzata dalla parte ricorrente effettivamente non possa ritenersi essere stata adeguatamente soddisfatta dal memorandum richiamato e appositamente predisposto da parte della software house nella parte in cui contiene la descrizione del predetto algoritmo e del suo funzionamento in quanto, evidentemente e intuitivamente, la descrizione della modalità di funzionamento dell’algoritmo assicura una conoscenza assolutamente non paragonabile a quella che deriverebbe dall’acquisizione del richiesto linguaggio sorgente, atteso che, se non altro, la predetta descrizione è, comunque, atto di parte”.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

Pubblicato il 22/03/2017

N. 03769/2017 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11419 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Gennaro Di Meglio, rappresentato e difeso dagli avvocati Umberto Cantelli C.F. CNTMRT51B23H501K, Silvia Antonellis C.F. NTNSLV81E42I838H, Michele Bonetti C.F. BNTMHL76T24H501F e Santi Delia C.F. DLESNT79H09F158V, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Silvia Antonellis, in Roma, via San Tommaso D’Aquino n. 47;
Federazione Nazionale Gilda – Unams, rappresentato e difeso dagli avvocati Michele Bonetti C.F. BNTMHL76T24H501F, Santi Delia C.F. DLESNT79H09F158V, Umberto Cantelli C.F. CNTMRT51B23H501K, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Michele Bonetti, in Roma, via di S. Tommaso D’Aquino n. 47;

contro

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

nei confronti di

Chiara Giralucci e Laura La Manna, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

con il ricorso introduttivo

del verbale del M.I.U.R. – Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali – Direzione Generale per le risorse umane e finanziarie – Ufficio III, redatto in data 15.9.2016 a firma dei Dott. Paolo De Santis e Giuseppe Bonelli con il quale è stato denegato l’accesso all’algoritmo che gestisce il software relativo ai trasferimenti interprovinciali del personale docente ai sensi e per gli effetti del C.C.N.I. sulla mobilità 2016 di cui alla legge n. 107 del 2015.

e con il ricorso per motivi aggiunti

della nota di cui al prot. n. 3495, connessa al verbale del 15.9.2016 già impugnato con il ricorso introduttivo e con contenuto meramente confermativo di quest’ultimo, la quale era stata comunicata a un indirizzo PEC diverso da quello comunicato in sede di istanza di accesso agli atti e per il predetto motivo non immediatamente conosciuta

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2017 la dott.ssa Maria Cristina Quiligotti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1 – Con il ricorso in trattazione il sig. Gennaro Di Meglio, in proprio e nella qualità di Coordinatore Nazionale della Federazione Nazionale Gilda – Unams e la predetta Federazione hanno impugnato il verbale del M.I.U.R. – Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali – Direzione Generale per le risorse umane e finanziarie – Ufficio III, redatto in data 15.9.2016 a firma dei Dott. Paolo De Santis e Giuseppe Bonelli con il quale è stato denegato l’accesso all’algoritmo di calcolo che gestisce il software relativo ai trasferimenti interprovinciali del personale docente ai sensi e per gli effetti del C.C.N.I. sulla mobilità 2016 di cui alla legge n. 107 del 2015.

In particolare parte ricorrente ha dato atto che l’impugnato verbale, redatto in relazione alla seduta di accesso svoltasi nella medesima data, si limita a riportare meri riferimenti normativi della materia nonché la sola descrizione esemplificativa della procedura informatica con una conseguente casistica esemplificativa.

Con il successivo ricorso per motivi aggiunti del 18.11.2016 i ricorrenti hanno quindi impugnato la nota di cui al prot. n. 3495, connessa al verbale del 15.9.2016 già impugnato con il ricorso introduttivo e con contenuto meramente confermativo di quest’ultimo, la quale era stata comunicata a un indirizzo PEC diverso da quello comunicato in sede di istanza di accesso agli atti e per il predetto motivo non immediatamente conosciuta. Con il predetto ricorso per motivi aggiunti i ricorrenti contestano quanto rilevato nella predetta nota in ordine alla circostanza che i cd. codici sorgente dell’algoritmo di cui trattasi non integrerebbero gli estremi del documento amministrativo di cui agli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990 neppure con specifico riferimento alla lett. d) del predetto art. 22 e che, comunque, i predetti codici e quindi il relativo software costituirebbero opere dell’ingegno e in quanto tali sono tutelate dalla normativa in materia di proprietà intellettuale come riconosciuto anche dall’art. 6 del d.lgs. n. 97/2016 in materia di cd. accesso civico.

I ricorrenti, dopo avere diffusamente argomentato in ordine alla tempestività del predetto ultimo ricorso per motivi aggiunti nonché alla sussistenza del relativo concreto interesse a ricorrere ai fini indicati, hanno rilevato nel merito che:

– in realtà alcuna nuova richiesta di accesso è stata formulata nella seduta del 15.9.2016 rispetto a quanto già rappresentato con l’originaria istanza di accesso e la specificazione in ordine ai codici sorgente del software relativo all’algoritmo è esclusivamente conseguenza dell’interlocuzione con l’amministrazione che ha manifestato in quella sede il proprio orientamento decisamente contrario;

– l’algoritmo è un sistema informatico sostitutivo di un’ordinaria sequenza procedimentale amministrativa;

– l’algoritmo, pur non concretizzando in sé un atto amministrativo, tuttavia, è strettamente funzionale al contenuto dispositivo dell’atto con cui è disposta la mobilità del personale interessato ed è, pertanto, a quest’ultimo sostanzialmente assimilabile;

– l’algoritmo è, peraltro, detenuto dalla medesima amministrazione che lo utilizza al fine della gestione di un’attività che ha rilievo pubblicistico e, pertanto, la sua natura e provenienza di diritto privato non è dirimente;

– i soli limiti all’accesso che rilevano sono quelli di cui all’art. 24 della legge n. 241 del 1990;

– la richiesta di accesso è funzionale alla tutela giurisdizionale.

Il M.I.U.R. si è costituito in giudizio in data 12.12.2016 e ha depositato documentazione in data 22.12.2016 e memoria difensiva in data 4.2.2017, con la quale ha dedotto l’infondatezza nel merito del ricorso del quale ha chiesto il rigetto.

Alla camera di consiglio del 14.2.2017 il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla presenza dei difensori delle parti come da sperato verbale di causa.

2 – In via preliminare, si ritiene che il ricorso per motivi aggiunti, la cui tempestività non è stata messa in discussione da parte della resistente amministrazione, è stato, comunque, proposto nel rispetto dei termini di legge anche in considerazione della rappresentata circostanza inerente la sua comunicazione.

Nel merito sia il ricorso introduttivo del presente giudizio che il successivo ricorso per motivi aggiunti sono fondati e devono, pertanto, essere accolti sulla base di tutte le seguenti considerazioni.

Si premette che, nell’istanza di accesso agli atti, il ricorrente ha testualmente richiesto “di poter essere messo a conoscenza dell’algoritmo utilizzato dal sistema informatico di codesto Ministero, per attuare la mobilità del personale docente”. Ne consegue che non può sussistere alcun dubbio in ordine al tenore della richiesta del medesimo con specifico riferimento all’oggetto dell’istanza di accesso.

L’amministrazione, nel memorandum del 15.9.2016, depositato in copia agli atti, come si evince dalla sua lettura, dopo avere diffusamente illustrato nelle prime 5 pagine i riferimenti normativi della specifica materia nonché i relativi passaggi procedimentali, ha, nelle successive pagine, proceduto nella descrizione dell’algoritmo di cui trattasi e del suo concreto funzionamento.

In particolare, il M.I.U.R. ha proceduto alla “Descrizione dell’algoritmo”, specificando che la procedura informatica “si articola nei seguenti passi: Predisposizione dati di Input, Assegnazione ambiti e scuole, Diffusione risultati” e ha, quindi, descritto come operano in concreto i predetti tre distinti e successivi passaggi, riportando, altresì, a titolo esemplificativo alcune delle casistiche e dando atto che sono state rispettate al riguardo le disposizioni di cui all’O.M. n. 241 del 2016.

Nel contestuale verbale del 15.9.2016 l’amministrazione ha dato atto che, nel riscontrare l’istanza di accesso, si “procede alla consegna del documento (SG1-AA_MEM_Mobilità2016-17- descrizioneAlgoritmo) descrittivo dell’algoritmo che gestisce il software relativo ai trasferimenti interprovinciali del personale docente a.s. 2016/17.

In particolare, si consegnano i seguenti documenti:

1) Memorandum SG1-AA_MEM_Mobilità2016-17-DescrizioneAlgoritmo;

2) Lettera di trasmissione del documento di cui sopra della Società HPE Services Srl, acquisita al protocollo DGCASIS al n. 3025 del 09/09/2016;

3) Nota di trasmissione del memorandum alla Direzione Generale del Personale Scolastico, protocollo DGCASIS n. 3031 del 9.09.2016.”.

Nel predetto verbale si legge, altresì, che “A richiesta dell’Avvocato si verbalizza quanto segue. “Il documento consegnato non corrisponde in alcun modo a quanto richiesto con l’accesso agli atti trasmesso, di fatti a fronte della richiesta specifica dell’algoritmo contenente i codici sorgente del software realizzato è stato consegnato un mero documento riassuntivo denominato memorandum dove nelle prime cinque pagine riassume il contenuto del CCNI sulla mobilità e nelle successive pagine fa una descrizione riassuntiva dell’algoritmo, oggetto dell’istanza di accesso agli atti. E’ da evidenziare in ogni caso che anche la mera descrizione dell’algoritmo non contenga tutte le variabili previste dal contratto sulla mobilità come, ad esempio, descritte a pagina 12, par. 2.2 denominato “Assegnazioni ambiti e scuole” dove la semplice descrizione del programma utilizzato non prevede [a creazione di tutte le condizioni previste nel CCNI. Invita pertanto codesto ministero a fornire l’algoritmo richiesto e i codici sorgente che qui devono essere richiesti così come riproposti nell’istanza già notificata.”.

Nella nota di cui al prot. n. 0003495.14-10-2016 si legge, poi, testualmente che:

“ … il codice sorgente dei programmi in questione, non può essere assimilato ad un “documento amministrativo” ai sensi della legge 241/90 e s.m.i, Né, come sostiene la giurisprudenza consolidata, deve trarre in inganno la circostanza che l’art. 22, primo comma, lett. d), L. 7 agosto 1990 n. 241 definisce “documento amministrativo”, ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una Pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale. “La norma, infatti, individua le forme in cui può manifestarsi un atto amministrativo – e cioè non solo su supporto cartaceo ma anche magnetico e video – fermo restando che oggetto dell’accesso può essere solo l’atto che per sua natura sia qualificabile come amministrativo e che nella specie è inesistente” (Tar Lazio, III ter, 9 ottobre 2010, n. 32736, non appellata).

Infatti, il software è tutelato quale opera dell’ingegno, alla stregua delle opere letterarie, filmiche, ecc.. e, quindi, in quanto trattandosi di opera dell’ingegno, è caratterizzato da proprietà intellettuale, soggetta a tutela.

Addirittura, il recente D.Igs. n. 97/2016, recante la revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, prevede fra l’altro che il c.d. accesso civico generalizzato sia precluso, anzi vietato, onde evitare pregiudizio agli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale ed il diritto d’autore (art. 6 del D.Igs. 97/2016). Ciò premesso, ribadendo di aver già fornito e messo a disposizione per l’estrazione di copia, la descrizione dell’algoritmo del software che gestisce i trasferimenti interprovinciali del personale docente per l’anno scolastico 2016/17, si ritiene che l’ulteriore e peculiare richiesta di accesso non possa trovare accoglimento per le considerazioni suesposte”.

Da quanto esposto emerge con evidenza che le argomentazioni sulla base delle quali l’amministrazione ha denegato al ricorrente l’accesso ai cd. codici sorgente del software dell’algoritmo di cui trattasi sono esclusivamente le seguenti:

– la non assimilabilità del codice sorgente dei programmi in questione – in quanto sostanziantesi in un testo di un algoritmo di un programma scritto in un linguaggio di programmazione, compreso all’interno di un file – a un “documento amministrativo” ai sensi della legge n. 241/1990, nemmeno con riferimento alla lett. d) dell’art. 22 della predetta legge che si limita meramente a individuare le diverse forme in cui può manifestarsi un atto amministrativo;

– la tutela del software quale opera dell’ingegno.

Ne consegue che le argomentazioni spese nella memoria difensiva del M.I.U.R. di cui da ultimo in ordine all’inammissibilità dell’istanza in quanto finalizzata al controllo generalizzato dell’operato della pubblica amministrazione e in quanto l’atto richiesto rientrerebbe nella tipologia di cui alla lett. c) dell’art. 24 della legge n. 241 del 1990 non possono trovare legittimo e valido ingresso in questa sede.

Nel merito delle motivazioni in concreto esposte da parte dell’amministrazione, valgono le considerazioni di cui di seguito:

– l’algoritmo di cui trattasi è stato predisposto da parte della società HPE Services Srl su incarico del M.I.U.R. al fine di consentire all’amministrazione di potere agevolmente gestire in concreto la procedura della mobilità dei docenti per l’a.s. 2016/2017, procedura che è disciplinata nel CCNI indicato e conseguentemente nell’O.M. n. 241 del 2016 e che si articola in diverse fasi che interessano le diverse categorie di docenti e che, necessariamente, deve tenere conto, quanto alle relative risultanze, di tutte le variabili individuate nella relativa normativa di settore;

– il predetto algoritmo, nella sostanza, gestisce in modo automatico e per mezzo di un complesso sistema informatico il procedimento della mobilità dei docenti per l’anno di riferimento;

– l’algoritmo finisce, pertanto e in definitiva, per sostanziare esso stesso il predetto procedimento atteso che l’individuazione, in concreto, della concreta sede spettante al singolo docente nell’ambito della mobilità è individuata esclusivamente dal predetto algoritmo;

– gli atti endoprocedimentali di acquisizione dei dati necessari ai fini della relativa istruttoria nonché lo stesso atto finale del procedimento sono, conseguentemente, confluiti e si esauriscono nel solo funzionamento dell’algoritmo di cui trattasi con la conseguenza ulteriore che può e anzi si deve ritenere l’assimilabilità dell’algoritmo di cui trattasi all’atto amministrativo o meglio, come si dirà più diffusamente nel proseguo, il riconoscimento della diretta riconducibilità del software che gestisce l’algoritmo alla categoria del cd. atto amministrativo informatico di cui alla lett d) dell’art. 22 della legge n. 241 del 1990;

– d’altronde la scelta di procedere per mezzo dell’algoritmo ai fini della mobilità è stata assunta da parte del M.I.U.R. proprio al fine di una più razionale e agevole gestione della procedura di cui trattasi che, altrimenti, l’amministrazione avrebbe dovuto gestire in modo “tradizionale”;

– il ricorso e l’utilizzo a uno strumento innovativo, quale è quello del programma informatico, per soddisfare le predette esigenze proprie dell’amministrazione procedente non può, pertanto, riverberarsi in senso limitante dell’ampiezza del potere di accesso degli interessati dalla procedura stessa;

– la circostanza, poi, che questo Tribunale ritenga, con giurisprudenza oramai consolidata, la mancanza di giurisdizione del giudice amministrativo quanto alla mobilità del personale docente e, in particolare, e ai presupposti CCNI e O.M. M.I.U.R. n. 241 del 2016, non assume alcuna rilevanza dirimente nella fattispecie atteso che la materia della mobilità professionale del personale contrattualizzato rientra pacificamente nella giurisdizione del giudice ordinario ma la predetta circostanza non esclude che, comunque, la procedura della mobilità del personale docente concretizzi un’attività procedimentale di rilievo pubblicistico con la conseguente accessibilità in questa sede agli atti tutti in cui la predetta procedura si articola;

– la circostanza che, poi, l’algoritmo sia stato realizzato non direttamente da parte del M.I.U.R. per mezzo dei propri funzionari o personale dipendente ma a opera della società di cui sopra cui la creazione dello stesso è stata commissionata da parte dell’amministrazione a seguito di aggiudicazione di procedura di appalto e che costituisca, quindi, l’oggetto di una contrattazione di tipo privatistico, non è di per se ostativa proprio in quanto, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della disciplina sostanziale, l’algoritmo è diretta espressione dell’attività svolta dalla pubblica amministrazione che è indubbiamente attività di pubblico interesse in quanto interessante l’organizzazione del servizio pubblico rappresentato dalla pubblica istruzione e, infatti, il predetto algoritmo è entrato nella procedura quale elemento decisivo e lo stesso è, comunque, stabilmente detenuto dalla stessa amministrazione ministeriale che lo ha commissionato e, quindi, utilizzato per le proprie finalità.

In ordine alla qualificazione del software che gestisce l’algoritmo di cui trattasi in termini di atto amministrativo si ritiene necessario – premesso tutto quanto in precedenza rilevato al riguardo, che, nella sostanza integra le conclusioni del ragionamento al riguardo – proprio attesa la novità e la complessità della questione, soffermarsi più diffusamente sulla natura del cd. atto amministrativo informatico.

Rispetto all’atto materialmente redatto mediante lo strumento informatico e, quindi, sostanzialmente con un programma di videoscrittura, si pone ad un altro livello il cd. atto a elaborazione elettronica, ossia l’atto amministrativo che è predisposto mediante il computer. In questo caso l’elaborazione del contenuto dell’atto viene affidata interamente allo strumento informatico e, quindi, in definitiva alla macchina, la quale provvede direttamente al reperimento, al collegamento e alla interrelazione tra norme e dati assumendo, conseguentemente, un ruolo strumentale rispetto all’atto amministrativo conclusivo. Nella predetta fattispecie è l’elaborazione stessa del contenuto dell’atto che si svolge elettronicamente, elaborazione che consiste, appunto, nello svolgimento dell’iter logico che conduce alla redazione dell’atto finale in relazione al rispettivo contenuto e che concretizza la sua motivazione; il documento finale che contiene la predetta elaborazione, invece, può avere qualsiasi forma ammessa dall’ordinamento e, quindi, essere anche cartaceo, come avviene negli atti amministrativi di stampo tradizionale.

Alla luce della predetta differenziazione tra la forma elettronica dell’atto e l’elaborazione elettronica del medesimo, deve rilevarsi che, secondo una parte della dottrina, solo l’atto amministrativo in forma elettronica è definito atto amministrativo informatico in senso stretto, escludendo, pertanto, dalla riconducibilità alla predetta fattispecie l’atto amministrativo a elaborazione elettronica, con le relative possibili conseguenze anche sotto il profilo che interessa dell’accesso agli atti.

Al riguardo deve premettersi che, sotto l’indicato specifico profilo del procedimento amministrativo e dell’accesso alla documentazione amministrativa, il tenore testuale della lett. d) dell’art. 22 della legge n. 241 del 1990, come modificata e integrata dalla legge n. 15 del 2005, conduce a una nozione particolarmente estesa dell’atto amministrativo informatico, che tiene, pertanto, conto della sostanziale valenza amministrativa del documento piuttosto che della sua provenienza, atteso che è specificatamente previsto che sono ricompresi nella relativa nozione anche gli atti di natura privata quanto alla relativa disciplina sostanziale che, tuttavia, si inseriscono e utilizzano nell’ambito e per le finalità di attività a rilevanza pubblicistica, ossia gli atti funzionali all’interesse pubblico; deve, inoltre, ritenersi che vi sono, inoltre, ricompresi gli atti cd. endoprocedimentali, ossia gli atti che si inseriscono all’interno del procedimento e rappresentano i singoli passaggi del relativo iter e che sono funzionalizzati all’adozione del provvedimento finale nonchè anche gli atti cd. interni, ossia gli atti attraverso i quali l’amministrazione organizza la propria attività procedimentale.

La nozione di documento amministrativo informatico è, pertanto, di estrema rilevanza ai fini della esatta definizione del perimetro oggettivo di esercizio del diritto all’accesso alla documentazione amministrativa ai sensi della richiamata legge n. 241 del 1990.

Tanto premesso, sul punto non si ritiene, in questa sede, di accedere all’interpretazione restrittiva di cui sopra in ordine alla definizione dell’atto amministrativo informatico in senso stretto, per le considerazioni tutte che seguono.

Si è già detto in ordine alle specifiche caratteristiche dell’atto amministrativo a elaborazione elettronica quanto alla modalità di definizione del relativo contenuto dispositivo e ci si potrebbe al riguardo soffermare sull’ulteriore questione dell’esatta estensione dell’ambito di operatività della predetta specifica tipologia di atto amministrativo informatico quanto al diverso tenore della discrezionalità esercitata nella specifica materia da parte dell’amministrazione pubblica. E, infatti, si può agevolmente concordare in ordine alla circostanza che la predetta tipologia di atto informatico è giuridicamente ammissibile e legittimo quanto all’attività vincolata dell’amministrazione, atteso che l’attività vincolata è compatibile con la logica propria dell’elaboratore elettronico in quanto il software traduce gli elementi di fatto e i dati giuridici in linguaggio matematico dando vita a un ragionamento logico formalizzato che porta a una conclusione che, sulla base dei dati iniziali, è immutabile. Come è evidente, diversamente è a dirsi quanto all’attività discrezionale della pubblica amministrazione, nell’ambito della quale l’amministrazione ha la possibilità di scelta dei mezzi da utilizzare ai fini della realizzazione dei fini determinati dalla legge; al riguardo potrebbe ritenersi che, in realtà, l’ammissibilità dell’elaborazione elettronica dell’atto amministrativo non è legata alla natura discrezionale o vincolata dell’atto quanto invece essenzialmente alla possibilità, che tuttavia è scientifica e non invece giuridica, di ricostruzione dell’iter logico sulla base del quale l’atto stesso possa essere emanato per mezzo di procedure automatizzate quanto al relativo contenuto dispositivo.

Premesso che, allo stato, la prevalente dottrina ritiene che l’esercizio del potere discrezionale sia, con qualche riserva, incompatibile con l’elaborazione elettronica dell’atto amministrativo, si ritiene, tuttavia, di potere prescindere, in questa sede, dall’esame della relativa interessantissima questione giuridica, atteso che l’attività in cui si concretizza l’algoritmo di cui trattasi, ossia l’individuazione concreta della sede di spettanza del singolo docente in sede di mobilità per l’anno scolastico in corso appare – come emerge dalla stessa descrizione del funzionamento dell’algoritmo di cui trattasi e di cui al memorandum impugnato del 15.9.2016, redatto da parte della medesima società privata che, su incarico del M.I.U.R., ha predisposto il predetto algoritmo – frutto di attività vincolata dell’amministrazione; attività che si presenta, invero, particolarmente complessa esclusivamente in considerazione degli innumerevoli elementi che devono essere valutati ai predetti fini ma che prescindono, comunque, da una valutazione discrezionale degli stessi da parte dell’amministrazione, trattandosi di elementi di tipo oggettivo e di immediato riscontro, di talché l’amministrazione è tenuta, pertanto, soltanto a acquisirli tutti al procedimento e ad interrelazionarli correttamente tra di loro ai fini dell’adozione dell’atto finale, ossia appunto l’individuazione concreta della specifica sede di servizio di spettanza del singolo docente interessato dalla mobilità per l’anno in corso.

Tanto premesso quanto all’atto a elaborazione informatica, occorre a questo punto soffermarsi sulla natura giuridica del software sotto il profilo che interessa, atteso che l’algoritmo di cui trattasi funziona attraverso un apposito software del quale, si ribadisce, l’amministrazione, per mezzo della società privata che lo ha elaborato, ha fornito la descrizione a parte ricorrente ma del quale non ha invece messo a disposizione della medesima parte i relativi cd. codici sorgenti o linguaggio sorgente.

L’elaborazione elettronica è, infatti, generalmente affidata a un apposito software, ossia a un programma informatico specifico.

Il software è, quindi, l’espressione di un insieme organizzato e strutturato di istruzioni contenute in qualsiasi forma o supporto capace direttamente o indirettamente di fare eseguire o fare ottenere una funzione, un compito o un risultato particolare per mezzo di un sistema di elaborazione elettronica dell’informazione e con linguaggio o codice sorgente si intende il testo di un algoritmo di un programma scritto in un linguaggio ed in fase di programmazione e compreso all’interno di un file sorgente.

Il codice sorgente scritto dovrà essere opportunamente elaborato per arrivare a un programma eseguibile dal processore ponendosi dunque come punto di partenza (“sorgente”) dell’intero processo che porta all’esecuzione del programma stesso da parte dell’hardware della macchina, e che può includere altre fasi come precompilazione, compilazione, interpretazione, caricamento e linking (a seconda del tipo di linguaggio di programmazione utilizzato) per concludersi con l’installazione.

La scrittura del codice sorgente presuppone la risoluzione (a monte o di pari passo) del problema iniziale da risolvere e automatizzare sotto forma di algoritmo risolutivo (eventualmente ricorrendo ad un diagramma di flusso o ad uno pseudolinguaggio), di cui la fase di scrittura del codice rappresenta la fase implementativa (programmazione) ad opera di un programmatore tramite un editor di testo (spesso compreso all’interno di un ambiente di sviluppo integrato) rispettando lessico e sintassi del particolare linguaggio di programmazione scelto/utilizzato.

Tanto premesso quanto al linguaggio sorgente si rileva ulteriormente quanto segue.

Il software assume una rilevanza essenziale nell’ambito del procedimento amministrativo finalizzato all’adozione di un atto a elaborazione informatica e la sua stessa qualificazione giuridica in termini di atto amministrativo informatico è importante a diversi fini e, primo tra tutti, proprio ai fini della verifica dell’ammissibilità dell’accesso di cui agli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990 al relativo programma informatico e, in definitiva, al suo cd. linguaggio sorgente.

Gli argomenti che sono addotti da parte di chi dubita della predetta qualificazione giuridica del software sono essenzialmente i seguenti:

– il software ha natura prettamente informatica in quanto è compilato mediante linguaggi di programmazione che sono conosciuti esclusivamente dai programmatori informatici e che, di per sé, sono solitamente incomprensibili non solo al funzionario che ne fa uso ai fini dell’elaborazione della decisione finale del procedimento amministrativo ma anche al privato destinatario dell’atto stesso;

– il software non è solitamente imputabile all’amministrazione o a un funzionario pubblico in quanto il relativo programma informatico non è elaborato direttamente da parte dell’amministrazione pubblica ma da parte di un soggetto privato competente in materia anche se sulla base delle indicazioni puntuali sui criteri e le finalità di natura amministrativa;

– le decisioni dell’attività dell’amministrazione vengono, in realtà, prese a monte dell’elaborazione elettronica sia per quanto concerne il ricorso alla predetta tipologia di elaborazione che per quanto concerne la definizione dell’architettura stessa del software, che si limita, pertanto, a rendere effettive le determinazioni al riguardo dell’amministrazione e, quindi, il software è in sostanza l’esecuzione di una decisione amministrativa già presa e perfezionatasi, che è di per sé già direttamente produttrice di effetti giuridici;

– il software svolge una mera funzione di ausilio all’attività del funzionario pubblico in quanto la volontà dell’atto informatico è la volontà dell’autorità amministrativa procedente e non invece un mero prodotto di macchina;

– il software concretizza una mera modalità di esecuzione di una volontà dell’amministrazione che, tuttavia, è già stata espressa.

Sebbene non si sottovalutino in questa sede le predette argomentazioni che colgono alcuni degli aspetti specifici della questione, tuttavia, si ritiene che la qualificabilità in termini di atto amministrativo informatico del software ai fini che interessano possa essere fondatamente sostenuta sulla base delle seguenti considerazioni:

– è con il software che si concretizza la volontà finale dell’amministrazione procedente;

– è con il software che, in definitiva, l’amministrazione costituisce, modifica o estingue le situazioni giuridiche individuali anche se lo stesso non produce effetti in via diretta all’esterno;

– il software finisce per identificarsi e concretizzare lo stesso procedimento;

– la circostanza che il software sia compilato mediante linguaggi di programmazione che sono solitamente incomprensibili non solo al funzionario che ne fa uso ai fini della elaborazione della decisione finale del procedimento amministrativo ma anche al privato destinatario dell’atto stesso non appare dirimente atteso che, da un lato, la predetta circostanza è conseguenza della scelta, questa sì discrezionale dell’amministrazione di ricorrere a uno strumento innovativo, quale è ancora la programmazione informatica, per la gestione di un procedimento di propria spettanza e competenza e che, dall’altro, ai fini della sua comprensione e della verifica della sua correttezza, il privato destinatario dell’atto, in particolare, può, comunque, legittimamente avvalersi dell’attività professionale di un informatico competente in materia;

– la circostanza che il software non sia elaborato direttamente da parte dell’amministrazione pubblica ma da parte di un soggetto privato specificatamente competente in materia, anche se sulla base delle indicazioni puntuali in ordine ai criteri e alle finalità di natura amministrativa fornite dalla stessa amministrazione, parimenti, non assume valenza dirimente ai fini che interessano, in quanto già in precedenza si è rilevato come la stessa nozione di atto amministrativo informatico, per come elaborata in sede di accesso agli atti nell’ambito dell’art. 22, comma 1, lett. d), della legge n. 241 del 1990, sia idonea a ricomprendere in sé anche atti di provenienza e disciplina sostanziale di natura privatistica, purché utilizzati da un’amministrazione nell’ambito di un’attività di rilievo pubblicistico;

– quanto all’argomentazione centrale secondo cui il software costituirebbe in sostanza l’esecuzione mera di una decisione amministrativa già presa e che è di per sé già direttamente produttrice di effetti giuridici, si rileva che:

— quanto alla decisione di fare ricorso all’elaborazione elettronica ai fini della definizione del contenuto dell’atto, la predetta decisione si sostanzia, in realtà, esclusivamente nella metodologia prescelta dall’amministrazione ai fini dell’articolazione e dello svolgimento del procedimento amministrativo, che si presenta alternativa rispetto a quella tradizionale della materiale acquisizione al procedimento caso per caso di tutti gli elementi decisivi ai fini dell’assunzione della decisione finale e, pertanto, la decisione al riguardo dell’amministrazione assume essenzialmente una valenza di tipo organizzativo dell’attività amministrativa stessa ma non influisce sulla qualificazione giuridica del software stesso, una volta che sia stato commissionato e predisposto e quindi utilizzato per i fini cui è destinato all’interno del procedimento;

— per quanto concerne la definizione dell’architettura stessa del software, si rappresenta che, in realtà, per mezzo del software si attribuisce specifico contenuto ed effettiva concretezza a una decisione che l’amministrazione ha soltanto delineato nei suoi presupposti in via ordinaria e non può, pertanto, ritenersi che, per il solo fatto che si tratti di attività vincolata e delineata puntualmente nei suoi presupposti, si tratti esclusivamente di una modalità di esecuzione, atteso che è il software che, in concreto, tiene conto dei singoli passaggi procedurali in cui si sarebbe dovuto concretizzare il procedimento ordinariamente svolto da parte di un funzionario pubblico-persona fisica.

D’altronde è il ricorso a strumenti innovativi da parte dell’amministrazione per la gestione della propria attività procedimentale e provvedimentale che impone all’interprete di fronteggiare, con un approccio più aperto e non legato indissolubilmente alle logiche preesistenti, le problematiche di tipo giuridico che ne conseguono e non può, peraltro, fondatamente ritenersi che la scelta discrezionale dell’amministrazione di ricorrere a un programma informatico al fine di gestire un procedimento che la stessa amministrazione ha costruito in un certo articolato e complesso modo, alla luce delle varianti che la medesima ha ritenuto di dovervi introdurre al fine di giungere alla definizione del contenuto del provvedimento finale sulla base della normativa in materia, si rifletta in senso limitativo all’accessibilità conoscitiva da parte del destinatario dell’atto il cui concreto contenuto dispositivo è stato, in definitiva, elaborato esclusivamente attraverso un programma informatico appositamente elaborato.

Di qui l’affermata qualificazione in termini giuridici del software, ossia del programma elaborato con linguaggio tecnico informatico, quale atto amministrativo cd. informatico in senso stretto ai fini che interessano della sua piena accessibilità in sede di accesso agli atti ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241 del 1990.

Con riferimento alla fattispecie concreta, quindi, si ritiene che, sebbene l’amministrazione abbia effettivamente fornito a parte ricorrente, con il richiamato memorandum, le istruzioni espresse in lingua italiana e in forma di algoritmo in quanto descrittive della sequenza ordinata dei relativi passaggi logici, il che permette evidentemente di assicurare la comprensibilità del funzionamento del software anche al cittadino comune, tuttavia, non si può fondatamente escludere l’interesse e il diritto per il destinatario dell’atto, e nella presente fattispecie dell’associazione sindacale che rappresenta i predetti destinatari, di avere piena contezza anche del programma informatico che può aversi solo con l’acquisizione del relativo linguaggio sorgente, indicato nel ricorso come codice sorgente, del software relativo all’algoritmo di cui trattasi.

E’ evidente, infatti, che la mera descrizione dell’algoritmo e del suo funzionamento in lingua italiana non assolve alla medesima funzione conoscitiva data dall’acquisizione diretta del linguaggio informatico sorgente.

Quanto poi alla natura di opera dell’ingegno del software che gestisce l’algoritmo, valgono le seguenti considerazioni:

– con linguaggio sorgente si intende il testo di un algoritmo di un programma scritto in un linguaggio di programmazione da parte di un programmatore in fase di programmazione;

– il software è, quindi, l’espressione di un insieme organizzato e strutturato di istruzioni contenuti in qualsiasi forma o supporto capace direttamente o indirettamente di fare eseguire o fare ottenere una funzione, un compito o un risultato particolare per mezzo di un sistema di elaborazione elettronica dell’informazione;

– la qualificazione giuridica del software quale opera dell’ingegno è stata effettuata con la direttiva CEE91/250 recepita nel nostro ordinamento giuridico con il d.lgs. n. 518 del 1992 che ha modificato sul punto la legge n. 633 del 1941 sul diritto d’autore;

– il software è, tuttavia, tutelato nel nostro ordinamento come opera dell’ingegno se e in quanto abbia i requisiti tecnici per rientrare nella definizione di cui art 2, comma 1, n. 8 della predetta legge n. 633 del 1941 nella parte in cui si riferisce espressamente ai programmi per elaboratori;

– sono, pertanto, protetti come opere dell’ingegno anche i programmi per elaboratore, alla stregua di opere letterarie, nonché le banche di dati ma l’importante è che si possa ravvisare una creazione intellettuale dell’autore con riguardo alle scelte stilistiche, di organizzazione o di particolare disposizione del materiale;

– deve, pertanto, essere valutato se il codice di programmazione di un software abbia carattere creativo, essendo questo, il più delle volte, composto di nozioni semplici, comunemente conosciute dai programmatori;

– anche nel caso del software, quindi, al fine di stabilire se l’opera specifica, ossia il programma, sia frutto o meno di una elaborazione creativa originale, si rende necessario premettere e precisare che l’originalità e la creatività sussistono anche qualora l’opera in questione sia composta da idee e nozioni semplici comprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia propria dell’opera stessa, purché esse risultino formulate ed organizzate in modo personale ed autonomo rispetto alle precedenti e ciò che conta è, quindi, la formulazione e l’organizzazione personale ed autonoma ed è solo il modo in cui l’autore decide di rielaborare tra loro i contenuti, concatenarli, mescolarli e restituirli che fa nascere il concetto di creatività;

– non è, pertanto, il linguaggio di programmazione in sé a determinare la creatività ma il modo in cui questo viene concatenato al fine di rispondere un output specifico;

– in definitiva, il software può essere tutelato ai sensi della disciplina sul diritto d’autore, avuto riguardo al modo in cui questo viene sviluppato, organizzato ed elaborato;

– la creazione dell’opera dell’ingegno implica, poi, l’acquisizione in capo all’autore del diritto allo sfruttamento economico dell’opera e dei diritti morali;

– il diritto morale dell’autore, che si sostanzia nel diritto al riconoscimento della paternità dell’opera, è un diritto indisponibile della persona mentre, invece, i diritti all’utilizzazione economica dell’opera possono costituire oggetto di una cessione parziale o totale mediante la stipulazione di appositi contratti per i quali la forma scritta è prevista esclusivamente a fini probatori e trovano la loro disciplina quanto al programma per elaboratore nell’art. 64 bis della legge n. 633 del 1941;

– in particolare, nel caso di software personalizzato – ossia realizzato specificatamente per soddisfare le esigenze particolari di un cliente – realizzato su commissione, la regolamentazione dei diritti patrimoniali del programma per elaboratore non è predisposta dalla legge ma è rimessa alla libera pattuizione delle parti contrattuali nell’ambito del contratto per lo sviluppo del software;

– l’algoritmo di cui trattasi è stato commissionato dal M.I.U.R. all’indicata società privata HPE s.r.l. nella qualità di mandatario del RTI tra HPE e Finmeccanica s.p.a. aggiudicatario del lotto di gestione dei servizi applicativi del sistema informativo dell’Istruzione;

– il predetto software, appositamente commissionato per le esigenze dell’amministrazione e conseguentemente realizzato dalla predetta società, appare integrare effettivamente un’opera dell’ingegno secondo quanto dedotto nel riscontro dell’amministrazione in mancanza, in questa sede, di elementi che facciano propendere per la tesi negativa;

– in ordine ai diritti di sfruttamento economico del software che interessa, poi, nessuno specifico riferimento viene effettuato da parte dell’amministrazione al riguardo la quale si è limitata a invocare la natura di opera dell’ingegno del predetto software e la conseguenza necessità di assicurarne la tutela;

– deve, pertanto, presupporsi che negli accordi contrattuali con la società HPE s.r.l., realizzatrice e sviluppatrice del programma informatico che regge l’algoritmo, vi sia una pattuizione specifica che attribuisce proprio all’amministrazione il predetto diritto o comunque che evidentemente alcun diritto all’utilizzo economico sia riconosciuto in capo alla società privata;

– la predetta società privata, peraltro, nella redazione del predetto memorandum a essa direttamente attribuibile, non spende una parola al riguardo, motivo per il quale, peraltro, in questa sede non si è ritenuto, nonostante alcun cenno al riguardo sia stato effettuato nelle difese delle parti, che il ricorso fosse inammissibile per la mancata notificazione al controinteressato;

– la predetta circostanza di cui sopra, ossia della qualificabilità in termini di opera dell’ingegno del software di cui trattasi, tuttavia, non assume la rilevanza dirimente che l’amministrazione intenderebbe attribuirgli, come emerge dal verbale impugnato;

– e, infatti, in materia di accesso agli atti della P.A., a norma dell’art. 24 della legge n. 241/1990, la natura di opera dell’ingegno dei documenti di cui si chiede l’ostensione non rappresenta una causa di esclusione dall’accesso;

– in particolare, la disciplina dettata a tutela del diritto di autore e della proprietà intellettuale è, come in precedenza brevemente rappresentato, funzionale a garantire gli interessi economici dell’autore ovvero del titolare dell’opera intellettuale, mentre la normativa sull’accesso agli atti è funzionale a garantire altri interessi e, in questi limiti, deve essere consentita la visione e anche l’estrazione di copia;

– né il diritto di autore né la proprietà intellettuale precludono la semplice riproduzione, ma precludono, invece, al massimo, soltanto la riproduzione che consenta uno sfruttamento economico e, non essendo l’accesso lesivo di tale diritto all’uso economico esclusivo dell’opera, l’ostensione deve essere consentita nelle forme richieste da parte dell’interessato, ossia della visione e dell’estrazione di copia, fermo restando che delle informazioni ottenute dovrà essere fatto un uso appropriato, ossia esclusivamente un uso funzionale all’interesse fatto valere con l’istanza di accesso che, per espressa allegazione della parte ricorrente, è rappresentato dalla tutela dei diritti dei propri affiliati, in quanto ciò costituisce non solo la funzione per cui è consentito l’accesso stesso, ma nello stesso tempo anche il limite di utilizzo dei dati appresi, con conseguente responsabilità diretta dell’avente diritto all’accesso nei confronti del titolare del software;

– nella fattispecie, indubbiamente l’accesso richiesto si presenta particolarmente penetrante in quanto indirizzato proprio ai cd. codici sorgenti o linguaggio sorgente del software dell’algoritmo ma, tuttavia, deve ritenersi che l’interesse sotteso alla richiesta avanzata dalla parte ricorrente effettivamente non possa ritenersi essere stata adeguatamente soddisfatta dal memorandum richiamato e appositamente predisposto da parte della software house nella parte in cui contiene la descrizione del predetto algoritmo e del suo funzionamento in quanto, evidentemente e intuitivamente, la descrizione della modalità di funzionamento dell’algoritmo assicura una conoscenza assolutamente non paragonabile a quella che deriverebbe dall’acquisizione del richiesto linguaggio sorgente, atteso che, se non altro, la predetta descrizione è, comunque, atto di parte;

– le valutazioni in ordine alla funzionalità concreta del predetto algoritmo o anche a monte all’esistenza di eventuali errori nella programmazione possono, pertanto, essere effettuate esclusivamente alla luce della piena conoscenza del medesimo che può essere assicurata in modo completo soltanto con il richiesto penetrante accesso ai relativi codici sorgenti.

Per quanto attiene, poi, al richiamo all’art 6 del d.lgs. n. 97 del 2016, si premette che la predetta norma dispone testualmente che “2. Dopo l’articolo 5 sono inseriti i seguenti: «Art. 5-bis (Esclusioni e limiti all’accesso civico). – … 2. L’accesso di cui all’articolo 5, comma 2, è altresì rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati:

a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia;

b) la libertà e la segretezza della corrispondenza;

c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali. … 6. Ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui al presente articolo, l’Autorità nazionale anticorruzione, d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali e sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, adotta linee guida recanti indicazioni operative.”.

Al riguardo deve, tuttavia, rilevarsi che l’accesso generalizzato deve essere tenuto distinto dalla disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, ossia dall’accesso cd. documentale, in quanto la finalità dell’accesso documentale ex legge n. 241/90 è, in effetti, ben differente da quella sottesa all’accesso generalizzato ed è quella di porre i soggetti interessati in grado di esercitare al meglio le facoltà –

partecipative e/o oppositive e difensive – che l’ordinamento attribuisce loro a tutela delle posizioni giuridiche qualificate di cui sono titolari. Più precisamente, dal punto di vista soggettivo, ai fini dell’istanza di accesso ex lege 241 il richiedente deve dimostrare di essere titolare di un «interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e

collegata al documento al quale è chiesto l’accesso». Mentre la legge n. 241/90 esclude, inoltre, perentoriamente l’utilizzo del diritto di accesso ivi disciplinato al fine di sottoporre l’amministrazione a un controllo generalizzato, il diritto di accesso generalizzato, oltre che quello «semplice», è riconosciuto proprio «allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico».

Dunque, l’accesso agli atti di cui alla legge n. 241/90 continua certamente a sussistere, ma parallelamente all’accesso civico (generalizzato e non), operando sulla base di norme e presupposti diversi.

Tenere ben distinte le due fattispecie è essenziale per calibrare i diversi interessi in gioco allorchè si renda necessario un bilanciamento caso per caso tra tali interessi. Tale bilanciamento è, infatti, ben diverso nel caso dell’accesso ex lege n. 241 del 1990 dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti e nel caso dell’accesso generalizzato, dove le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti) ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni.

Vi saranno dunque ipotesi residuali in cui sarà possibile, ove titolari di una situazione giuridica qualificata, accedere ad atti e documenti per i quali è, invece, negato l’accesso generalizzato.

Da quanto esposto consegue che il richiamo al predetto art. 6 del d.lgs. n. 97 del 2016 nella parte in cui introduce l’art. 5 bis al d.lgs. n. 33 del 2013, non assume alcuna rilevanza dirimente ai fini che interessano.

Conclusivamente il ricorso deve essere accolto siccome fondato nel merito e conseguentemente deve essere ordinato all’amministrazione di procedere nei termini di cui al dispositivo che segue al rilascio a parte ricorrente di copia del linguaggio sorgente del software che gestisce l’algoritmo relativo alla mobilità del personale docente per l’a.s. 2016/2017 di cui all’O.M. M.I.U.R. n. 241 del 2016.

Attesa la peculiarietà e la novità delle questioni sottese, si ritiene di dover disporre tra le parti costituite la compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza bis), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati e ordina al M.I.U.R. il rilascio alla parte ricorrente di copia dei cd. codici sorgente del software dell’algoritmo di gestione della procedura della mobilità dei docenti per l’a.s. 2016/2017 di cui all’O.M. M.I.U.R. n. 241 del 2016 nel termine di 30 (trenta) giorni decorrenti dalla notifica a cura di parte o dalla comunicazione d’ufficio della presente sentenza.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Riccardo Savoia, Presidente

Maria Cristina Quiligotti, Consigliere, Estensore

Ines Simona Immacolata Pisano, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Maria Cristina Quiligotti Riccardo Savoia

IL SEGRETARIO

 

Giurdanella.it.

Rimborso spese legali: è competente il giudice ordinario

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Il TAR Lazio – Roma, Sez. II-bis, con la sentenza n. 5660 del 10 maggio 2017, ha affermato la competenza del giudice ordinario in una causa avente ad oggetto il rimborso di spese legali affrontate da un dipendente comunale per la difesa in un giudizio che lo vedeva coinvolto in prima persona.

Si legge dalla sentenza: “Come posto in luce dalla giurisprudenza prevalente, (ex multis, Cass. S.U. 20 maggio 2014 n. 11027, 24 marzo 2010, n. 6996 e 13 febbraio 2008, n. 3413; Consiglio di Stato, sez. V, 10 agosto 2010, n. 5557, sez. IV, 24 dicembre 2009, 8750; TAR Abruzzo, Pescara, sez. I, 19 febbraio 2015, n. 79; TAR Lazio, Roma, sez. II, 4 novembre 2013, n. 9368; TAR Piemonte, sez. II, 6 agosto 2013, n. 952; TAR Lazio, Latina, n 15 novembre 2007, n. 1232; TAR Veneto, sez. III, 19 luglio 2006, n. 2051), in caso di questione concernente il diritto al rimborso di spese legali sostenute a causa di fatti connessi allo svolgimento di pubbliche funzioni, la giurisdizione appartiene al Giudice Ordinario, quale Giudice del lavoro, giusta la previsione di cui all’art. 69, comma 7 del D.Lgs. n. 165/2001, secondo il quale, come noto, “Sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all’art. 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000”.

Inoltre, secondo i giudici del TAR laziale, “non incide, poi, evidentemente, sulla qualificazione della situazione soggettiva fatta valere e sulla spettanza della giurisdizione il fatto che la domanda azionata in questa sede dalla ricorrente sia diretta a contestare una determinazione assunta in via di autotutela dall’Amministrazione, atteso che questa risulta oggettivamente correlata alla gestione del rapporto di lavoro, non costituendo l’esercizio di un potere autoritativo, ma rappresentando l’espressione di una attività svolta dall’Amministrazione nell’ambito dei poteri del privato datore di lavoro (in tal senso Consiglio di Stato, sez. V, 10 agosto 2010, n. 5557)”.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

Pubblicato il 10/05/2017

N. 05660/2017 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 3163 del 2017, proposto da:
Rossella Solidoro, rappresentata e difesa dall’avvocato Vittorio Messa, con domicilio eletto presso il suo studio in Guidonia-Montecelio, via Mario Calderara n.4;

contro

Comune di Guidonia Montecelio, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Antonella Auciello, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Francesco Rivellini in Roma, via Montaione 48;

per l’annullamento

della d.d. n.178 del 30.12.2016 di revoca del rimborso delle spese legali sostenute dalla ricorrente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Città di Guidonia Montecelio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 maggio 2017 la dott.ssa Ofelia Fratamico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe la sig.ra Solidoro Rossella, dipendente del Comune di Guidonia Montecelio, ha chiesto al Tribunale di annullare, previa sospensione dell’efficacia, la determinazione dirigenziale n. 178 del 30.12.2016, con cui il Comune stesso, revocandole il rimborso delle spese sostenute in un processo penale dal quale era stata assolta, le aveva ingiunto di restituire la somma liquidatale, oltre interessi legali.

A sostegno della sua domanda la ricorrente ha dedotto 1) violazione di legge e regolamento (art. 16 DPR n. 191/79, art. 22 DPR n. 347/83, DPR n. 268/87, Delibera Giunta Comunale n. 160/2010, art. 28 CCNL di categoria del 14.09.2000; 2) eccesso di potere per erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, disparità di trattamento.

Si è costituito in giudizio il Comune di Guidonia Montecelio, eccependo, in via preliminare, il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo e, nel merito, in ogni caso, l’infondatezza del ricorso.

Alla camera di consiglio del 3.05.2017, fissata per la discussione della sospensiva, la causa è stata, quindi, trattenuta in decisione ex art. 60 c.p.a., sussistendone i presupposti.

Deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, formulata dal Comune di Guidonia Montecelio.

Tale eccezione è fondata e meritevole di accoglimento.

La pretesa azionata in questa sede dalla ricorrente riguarda, infatti, nella sostanza, il diritto ad ottenere il patrocinio legale di cui all’art. 28 del CCNL del comparto delle autonomie locali del 14.9.2000 e quindi, in quanto relativa ad una questione attinente alla gestione del rapporto di lavoro, sorta durante lo svolgimento dello stesso, non può che appartenere alla giurisdizione del Giudice Ordinario.

Invero, come posto in luce dalla giurisprudenza prevalente, (ex multis, Cass. S.U. 20 maggio 2014 n. 11027, 24 marzo 2010, n. 6996 e 13 febbraio 2008, n. 3413; Consiglio di Stato, sez. V, 10 agosto 2010, n. 5557, sez. IV, 24 dicembre 2009, 8750; TAR Abruzzo, Pescara, sez. I, 19 febbraio 2015, n. 79; TAR Lazio, Roma, sez. II, 4 novembre 2013, n. 9368; TAR Piemonte, sez. II, 6 agosto 2013, n. 952; TAR Lazio, Latina, n 15 novembre 2007, n. 1232; TAR Veneto, sez. III, 19 luglio 2006, n. 2051), in caso di questione concernente il diritto al rimborso di spese legali sostenute a causa di fatti connessi allo svolgimento di pubbliche funzioni, la giurisdizione appartiene al Giudice Ordinario, quale Giudice del lavoro, giusta la previsione di cui all’art. 69, comma 7 del D.Lgs. n. 165/2001, secondo il quale, come noto, “Sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all’art. 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000.”.

Non incide, poi, evidentemente, sulla qualificazione della situazione soggettiva fatta valere e sulla spettanza della giurisdizione il fatto che la domanda azionata in questa sede dalla ricorrente sia diretta a contestare una determinazione assunta in via di autotutela dall’Amministrazione, atteso che questa risulta oggettivamente correlata alla gestione del rapporto di lavoro, non costituendo l’esercizio di un potere autoritativo, ma rappresentando l’espressione di una attività svolta dall’Amministrazione nell’ambito dei poteri del privato datore di lavoro (in tal senso Consiglio di Stato, sez. V, 10 agosto 2010, n. 5557).

In conclusione, in relazione al presente ricorso deve essere, dunque, come anticipato, dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, per la spettanza della controversia alla giurisdizione del Giudice Ordinario.

Peraltro, alla declaratoria del difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo e all’affermazione di quella del Giudice Ordinario, consegue la conservazione degli effettivi processuali e sostanziali della domanda ove il processo sia tempestivamente riassunto dinanzi al Giudice territorialmente competente, nel termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza, ai sensi dell’art. 11, comma II del D. Lgs. 2 luglio 2010 n. 104.

In considerazione della peculiarità della vicenda oggetto di giudizio, il Collegio ritiene, infine, che sussistano giustificati motivi per compensare tra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis),

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

– dichiara il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo e la spettanza della controversia alla giurisdizione del Giudice Ordinario;

– compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 maggio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Elena Stanizzi, Presidente

Ofelia Fratamico, Consigliere, Estensore

Antonio Andolfi, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Ofelia Fratamico Elena Stanizzi

IL SEGRETARIO

Giurdanella.it.

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